Mai dono fu più gradito. Già la premessa di Lord Byron è un programma. In poche elette parole condensa un profondo significato in un gioco tra ombre e realtà, ombre e creature della mente.

Attraversammo le porte del sogno è un titolo suggestivo che basta di per sé: include e allude. Lascia presagire qualcosa di insperato, di primigenio, di fiabesco: una fiaba appare l’incipit. È come una scenografia che man mano si compone, si definisce, si chiarisce, si apre, si allarga ed appare in viaggio/sogno Erevan, città capitale dell’Armenia.

Ma non è sola: entra in scena una gigantesca macchina da scrivere, simbolo anch’essa, ormai, di archeologia industriale, che si protende, tra le mani alzate del poeta verso il cielo. Si capisce presto che è da qui che verrà per il Nostro la fonte di ispirazione. Quando una poesia allude includendo le basta poco per incantare il lettore.

È questa una poesia da sorseggiare con il contagocce quasi un elisir di sopravvivenza, di survive, per dirla all’inglese, di surprise. Non è forse del poeta il fin la meraviglia? Il paragone della città con l’Italia, una penisola che sorge nel mezzo del nulla, lascia a bocca aperta e con lo sguardo perso mentre il sole picchia sulle basse terrazze/imbiancate di calce. Quel nulla di cui il poeta parla per l’Italia sarebbe il mare, ma in questo caso non è la licenza poetica ma quella del sogno a prevalere. L’immagine poi della Ford Capri1: Osservo alle prime case/sulla sinistra […] non può non riportarci ai giorni nostri e alle pellicole degli anni ’70.

1. C’è stato l’utilizzo della vettura, da parte dell’elegante Maurice Ronet, nel thriller di Leonard Kegel, Il cadavere dagli artigli d’acciaio

E dunque la poesia si riempie di simboli, concreti, che abitano il sogno: una città apparsa nel nulla, una macchina da scrivere…, un capannone di lamiera grigia ed una vecchia Ford Capri uscita sgommando verso chissà quale luogo diretta.

Il viaggio nel sogno procede e si aprono le porte su Astiage, re dei Medi, e dunque un interrogativo: se è più vera la veglia febbrile, ossia la preparazione al mondo notturno, o il sogno di cui il poeta rivendica negli antichi miti i suoi illustri antenati.

Il sogno in Daniele Giancane diventa romanzo in poesia, un faro che illumina il cammino, un continuo girovagare, un’occasione di racconto.

È importante appena svegli […] prima che il sogno scappi per sempre- rimembrare il sogno e raccontarlo / e scoprirne non solo / i suoi significati più profondi, […] ma il sentimento che quel sogno ci ha lasciato, / partendo per altri lidi.

E il poeta, divenuto ormai propositivo, si inventa la figura del conduttor dei sogni, ossia, il personal sleeping per governare i sogni.

Il sogno diventa una vita alternativa, parallela, una sorta di magia che evoca figure care (la mamma, in questo caso) e atmosfere ormai perdute dell’infanzia lontana.

D. GIANCANE, Attraversammo le porte de sogno, Tabula Fati 2021

È questo poemetto un’ altalenarsi tra il sonno/sogno e la veglia con la prevalenza del primo.

Il sogno non evoca solo ricordi, è anche profezia (vedi l’episodio di Costantino): È forse solo un sogno / quel sogno profezia /che muta gli eventi della storia / e fa sorgere / l’Editto di Tessalonica?

Il poeta chiama in causa Sigmund che scoprì il rapporto tra i sogni e i nostri desideri inespressi.

E così, quesito dopo quesito, gli interrogativi si moltiplicano fino a chiedersi cosa significa la parola “reale”: Siamo forse noi – che scompariamo in breve nel/ nulla -/reali? Il sogno diventa poesia e con il sogno il poeta ha ormai intrecciato un dialogo in versi. Tra sogni del passato e i sogni del presente un quesito rimane in sospeso: Fra mille anni e per sempre / chi sarà stato più sogno / io o tu, lettore, /o i sogni che / ci frequentarono la notte / imprevedibili?

L’attacco del poemetto con l’apparizione di Erevan mi riporta a “Le città invisibili” di Italo Calvino con le loro suggestioni ed incanti . È come se il sogno per Daniele Giancane fosse un’oasi, un rifugio da invocare ad libitum ogni qualvolta il “reale” diventa insostenibile. Una sorta di magia tipo la lampada di Aladino senza scomodare l’epigono Harry Potter.

Per la Szymborska il sogno può partire da una vecchia foto ed evocare antiche stagioni di una vita trascorsa (Sogno) oppure diventa un accumulatore di immagini che appaiono e scompaiono: montagne […]valli pianure, infrastrutture incluse che si realizzano attraverso i “senza”[…] E noi implumi riusciamo a volare, ma ciò che ci accomuna è il desiderio d’amore per – prima che suoni la sveglia. Il prodigio è che nelle nostre visioni […] a volte può capitare/anche un senso afferrabile (Sogni).

Daniele Giancane riesce a spaziare con naturalezza dalla quotidianità (il suo gatto che sonnecchia in giardino al primo tepore primaverile) alla Storia antica (re e imperatori come Artiage, Nabucodonosor e Costantino) ad antiche città (come Erevan, capitale degli Armeni) in una apparente e disinvolta sincronia che solo i sogni con la loro verità possiedono per concludere poi con Calderon della Barca: “Forse tutta la vita non è che un sogno continuo”.

Di qui l’epilogo: “E davvero, allora,/ tutto finisce /non quando la vita finisce, / ma quando finisce il sogno”.

Giulia Notarangelo