Ogni tanto, quasi come un refrain, pubblico un testo di Garcia Lorca, l’immenso poeta che pare (dice Carlo Bo) sempre ispirato, in ogni poesia. È assai raro trovare una poesia di Lorca che sia brutta o inconsistente e questo è una sorta di miracolo, perché tutti i poeti – ed anche i Grandi – hanno scritto versi memorabili e versi da cestinare.

Lui no, lui è sempre in stato di estasi poetica: «tacciono le campane e i sentieri sembrano impenetrabili / il cuore diventa isola dell’infinito /e il finale inarrivabile, ovvero la moneta d’argento che singhiozza nel taschino». Non comprendiamo bene il senso? Cos’è questa moneta che singhiozza nel taschino? E perché bisogna mangiare frutta verde e gelata? E che fa, i testi di Lorca sono manuali di magia della parola, non è importante capirli sino in fondo, tanto ci prendono con la loro musicalità e lo sfolgorio delle immagini.

Quando spunta la luna
tacciono le campane
e i sentieri sembrano
impenetrabili
Quando spunta la luna
il mare copre la terra
e il cuore diventa
isola nell’infinito
Nessuno mangia arance
sotto la luna piena
Bisogna mangiare
frutta verde e gelata
Quando spunta la luna
dai cento volti uguali,
la moneta d’argento
singhiozza nel taschino.

Io sono uno spagnolo ma sono un uomo del mondo

Credo che nessuno abbia saputo dire, come Federico Garcia Lorca, che apparteniamo a un luogo (come tradizioni, abitudini, cibo, lingua, carattere), ma siamo anzitutto cittadini del mondo.

Ancor oggi è un concetto che fa fatica a divenire universale, ma lui già lo espresse nel 1936: ah,i poeti… e poi sicuramente Lorca faceva poesia sempre, anche quando parlava normalmente, anche quando camminava o faceva teatro o comprava le mele dal fruttivendolo. Mi sarebbe piaciuto essere il fruttivendolo di Garcia Lorca….Il testo che segue è prosa, ma c’è sempre la poesia:

Io sono uno Spagnolo integrale e mi sarebbe impossibile vivere fuori dai miei limiti geografici; però odio chi è Spagnolo per essere Spagnolo e nient’altro, io sono fratello di tutti e trovo esecrando l’uomo che si sacrifica per una idea nazionalista, astratta, per il solo fatto di amare la propria Patria con la benda sugli occhi. Il Cinese buono lo sento più prossimo dello spagnolo malvagio. Canto la Spagna e la sento fino al midollo, ma prima viene che sono uomo del Mondo e fratello di tutti. Per questo non credo alla frontiera politica.

Mi accomiaterò

Mi accomiaterò
al crocevia.
Accorsero in lacrime,
le persone amate!
Mi accomiaterò
al crocevia.
Per entrare nel sentiero
della mia anima.

Restiamo con l’immenso Garcia Lorca. I suoi amici (e che amici: Dalì, Bunuel, Machado…) hanno sempre detto che Lorca non se ne stava mai in ozio: o si appartava per scrivere poesie o suonava il pianoforte o si dedicava alla chitarra. Oppure scriveva teatro. Faceva egli stesso teatro. Era un’anima artistica per eccellenza.

Ma fermiamoci ora a questa breve poesia (otto versi), in cui c’è – come sempre – l’orma del genio ed l’incontro / cozzo di due tempi verbali: mi accomiaterò (futuro), accorsero (passato remoto). Qualsiasi altro poeta avrebbe scritto: accorreranno.

L’iterazione: mi accomiaterò al crocevia, come una ballata. Al crocevia perché lui è diviso fra tante strade. E il finale: finalmente entrerò «nel sentiero della mia anima». La morte sarà una liberazione e persino un ritrovare se stesso, finalmente.

Daniele Giancane