È un lavoro accurato e lucido il volume di Gandolfo Cascio Dolci detti. Dante, la letteratura e i poeti, edito da Marsilio in occasione del settecentenario dalla morte di Dante. Il volume è il momentaneo punto di approdo di un lavoro di ricerca in fieri che, come evidenzia nella Nota bibliografica lo studioso, docente di Letteratura italiana e Traduzione all’Università di Utrecht e direttore del programma di ricerca Observatory on Dante Studies, si sta arricchendo di nuove ricognizioni in merito ai riferimenti danteschi in Sandro Penna ed è passibile di ulteriori sviluppi, per esempio in relazione alla sezione su Borgese.

Dolci detti è un vertiginoso viaggio attraverso la Commedia e le sue afterlives, compiuto nella consapevolezza eliottiana che «quel che accade quando si crea una nuova opera d’arte, è qualcosa che accade contemporaneamente a tutte le opere d’arte che l’hanno preceduta» e continua a dialogare con quelle che la seguiranno, in una sorta di tempo ontologico dell’Arte.

G. CASCIO, Dolci detti. Dante, la letteratura e i poeti, Marsilio 2021

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Ne consegue che Cascio percorre il poema dantesco ricercando in esso continianamente Un’idea di letteratura, in un movimento che non si limita esclusivamente all’opera che – come evidenziava Borgese in Goliath, the March of Fascism – finisce con il diventare quasi simbolo identitario della nostra nazione, la Commedia, ma si estende alla produzione delle Rime e non solo.

Cascio ricostruisce, nel primo capitolo Con gli amici, nello studiolo, per mare e su per la montagna, la fitta rete di relazioni sodali e intellettuali costruita dal fiorentino. In questi scambi di versi che accreditano Dante ben presto come figura di rilievo tra i suoi contemporanei, si inseriscono le interpretationes poetiche della visione vitanoviana. Se Cavalcanti e Cino rispondevano con toni in linea con la complessità e la gravità del “caso offerto”, sapida e vagamente oscena era la deminutio del dramma adolescenziale operata da Dante da Maiano. Quest’ultimo invitava l’Alighieri a improbabili lavaggi intimi per temperare “lo vapore / lo qual” lo faceva “favoleggiar loquendo”. Lo stesso Dante da Maiano si sarebbe imbarcato con l’Alighieri in una tenzone, il Duol d’amore, finalizzata alla riflessione su ‘ontologia’ e ‘fenomenologia’ del sentimento.

Il capitolo, con brevi, ma efficaci tratti, medita sui rapporti danteschi con Cavalcanti, sulla tenzone con Forese Donati e su tutta una costellazione di testi che l’autore del volume domina e intreccia con maestria.

Il capitolo Un’idea di letteratura nella Commedia, il più corposo, che, come si è già detto, riprende nell’intitolazione suggestioni continiane, prosegue nell’auscultazione del dialogo cui si faceva riferimento, soffermandosi sulle pagine del poema. Rivive tutta una serie di creature, tra cui Francesca da Rimini, rispetto alla quale Cascio si mostra immune dalle tante suggestioni romantiche che hanno caratterizzato la lettura del canto V dell’Inferno.

Condividendo l’immagine continiana della da Polenta come una sorta di “intellettuale di provincia” e “usufruttuaria delle lettere” e la sanguinetiana sua assimilazione a una Bovary ante litteram del XIII secolo, lo studioso evidenzia come, durante tale tappa del viaggio, Dante si interroghi sulle responsabilità della letteratura, in particolar modo in riferimento al peccato di lussuria”, il primo da cui l’Alighieri cerca di prendere le distanze. Cascio appare del resto ben consapevole delle osservazioni di Borges, il quale sottolineava il rischio di un impasse interpretativo derivante dalla necessità che il lettore del poema non avvertisse che “la Giustizia che emetteva la sentenze era, in fin dei conti”, Dante stesso. Ecco perché, se le sue reazioni possono apparire non coincidenti o coincidenti solo in parte con le decisioni divine, non bisogna mai, pena il rischio di abbandonarsi a osservazioni metodologicamente indebite, dimenticare le caratteristiche della fictio stessa cui il poeta dà vita.

Tanti sono gli scrittori e artisti con cui Dante si rapporta nella Commedia, a cominciare da Virgilio e da quella che Zingarelli definì “mamma Eneide”, sulla scorta delle parole dell’Alighieri stesso. Significativa la presenza di poeti e musicisti nella cantica del Purgatorio, connotata da un’atmosfera più soffusa, materiata di quel “dolce dolore” che chiamano malinconia. È il rapimento prodotto dalla musica di Casella a rivivere, ma anche la posa sdegnosa di Sordello da Goito, di cui Cascio analizza la presenza limitanea e la relazione tra la collocazione del trovatore nella seconda cantica e il suo lamento in morte del sire di Blacatz.

E poi ancora segnaliamo la riflessione sulle parole di Bonagiunta all’indirizzo dell’Alighieri e sulle presenze di Guinizzelli e Arnaut Daniel. La vera poesia è dettata da un “ordine supremo”, come asserirà Folchetto da Marsiglia nel Paradiso, ma ciò non toglie che Dante e il suo precursore Guinizzelli potessero mantenere “il diritto di lodare la loro scuola”, pur nella consapevolezza di un nuovo e diverso obbligo, quello “di trasformarsi, di progredire, migliorare”.

Molto interessanti le osservazioni sul rapporto Guinizzelli-Dante, che Cascio inquadra suggestivamente anche nei bloomiani termini di una anxiety of influence.

Il terzo capitolo è una bella rassegna di alcune Dante’s afterlives. Lo studioso analizza la ricezione da parte di Baretti, che, se brandiva il pugnace verso dantesco contro le accuse di “mollezza effeminata” mosse da Voltaire alla nostra lingua e al genio italico, non mancava di sottolineare anche le impervietà del testo della Commedia e di ridicolizzare l’enciclopedismo spesso pretestuoso dei commenti. Il lavoro prosegue con l’esame della figura di Borgese. L’influenza dell’Alighieri viene scandagliata nella produzione letteraria dello scrittore – considerando il “ciclo dei romanzi” come una “sorta di costruzione dantesca” – e nell’attività critica dello stesso, con particolare attenzione a On Dante Criticism e alle divergenze di lettura rispetto all’impostazione crociana.

L’ultimo viaggio critico-romanzesco approda a Come donna innamorata del compianto Marco Santagata, di cui Cascio mostra di apprezzare, più che la sezione beatriciana, le pagine dedicate al controverso rapporto con Cavalcanti e alle differenti concezioni dell’Amore rispecchiate dai due poeti.

L’ultimo capitolo, in perfetta circolarità, si riconnette all’idea iniziale della corretta modalità di concepire un’opera d’arte, da inquadrarsi in una dimensione di appassionata conversazione che travalica la storia. Così,
assumendo la specola dell’esilio come punto di riferimento, Cascio pone a confronto Ovidio, Dante e Mandel’štam, con quest’ultimo a fungere da trait d’union, in quanto autore di Tristia e di Conversazione su Dante.

L’atteggiamento di Ovidio rispetto alla patria, rammemorata in un movimento a nostro avviso affine al cogitans fingo, appare diverso da quello di Dante, per il quale – come intuì Picone – “l’esilio, da fattore di alienazione sociale, diventa un potente mezzo di identificazione spirituale”. E forse anche questa è una delle chiavi di volta di quella “contemporaneità (…) inesauribile, incalcolabile e inestinguibile” che Mandel’štam seppe ben cogliere nella Commedia. Modernità che Gandolfo Cascio squaderna con perizia in questo lavoro originale, raffinato e acuto nella scrittura, percorso da una sottile ironia che, a mo’ di basso continuo, coesiste con l’emozione del dialogo con il mondo e con sé stessi, da sempre epifanica occasione dischiusa dalla grande letteratura.

Gianni Antonio Palumbo