La poesia non è solo elevazione dei sentimenti ma è la rappresentazione di ogni sentimento umano, sino alla rabbia, all’invidia, alla crudezza, al cinismo, all’erotismo…

O madre di Allen Ginsberg

Un modo nuovo (ancora) e dissacrante (ma dolcissimo) di scrivere sulla madre. qualcuno si scandalizzera’? Bene,la poesia è fatta anche per questo. Si dicono e si diranno e scriveranno molte frasi fatte e banali sulla mamma. Leggiamo questo testo:

O madre
quello che ho tralasciato
O madre
quel che ho dimenticato
O madre
addio
con una lunga scarpa nera
addio
e una calza smagliata
addio
con sei peli sulla cisti del tuo seno
addio
con il tuo vecchio vestito e una barbaccia nera
intorno alla vagina

addio
con la tua pancia gonfia
con la tua bocca di brutti racconti
con le tue dita di mandolini legnosi
con le tue braccia di grasse verande Paterson
con la tua pancia di scioperi e fumaioli
con la tua voce che cantava a stremati stramazzati operai
con il tuo naso male collocato
col tuo naso d’odor di salamoia di Newark
con i tuoi occhi
con i tuoi occhi di senza quattrini
con i tuoi occhi di falsa porcellana
con i tuoi occhi di zia Eleanor
con i tuoi occhi che pisciano nel parco
con i tuoi occhi d’America che cadono
con i tuoi occhi di pianista fallita
con i tuoi occhi di parenti in California
con i tuoi occhi a lezione serale di pittura nel Bronx
con i tuoi occhi di nonna letale
con i tuoi occhi che corri nuda fuori di casa
urlando sul ballatoio
con i tuoi occhi legata sul tavolo operatorio
con i tuoi occhi di pancreas asportato
con i tuoi occhi d’operazione di appendicectomia
con i tuoi occhi di aborto
con i tuoi occhi di ovaie asportate
con i tuoi occhi di trauma
con i tuoi occhi di divorzio
con i tuoi occhi di ictus
con i tuoi occhi
con i tuoi occhi
con la tua Morte piena di fiori.

A. GINSBERG, Poesie 1947-1995, Il Saggiatore 2019
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Sylvia Plath al padre: Ammazzarti avrei dovuto

Mi è stato chiesto se ci sono corrispettivi “di genere” alla poesia di Ginsberg. Certo che ce ne sono ed anche tanti. Per esempio, Sylvia Plath, una delle più grandi poetesse americane dell’ultimo secolo.

Se Ginsberg è crudo, ma tra le righe s’avverte molta dolcezza (per chi sa leggere), qui andiamo più in là: c’è l’odio di una figlia per un padre. Ed anche questa è poesia, perché ci colpisce, ci intristisce, ci spiazza. E non è proprio questo che deve fare la poesia?

La poesia – ripeto per l’ennesima volta – non ha nulla a che fare con la pedagogia, la psicologia, la sociologia, la teologia. E ci deve far restare svegli: se una poesia addormenta, non è poesia, è ninna-nanna. È tale, invece, se ci provoca una forte emozione, di qualsiasi genere. E il testo seguente di Sylvia Plath certo lo fa.

Non servi, non servi più,
O nera scarpa, tu
In cui trent’anni ho vissuto
Come un piede, grama e bianca,
Trattenendo fiato e starnuto.

Papà, ammazzarti avrei dovuto.
Ma sei morto prima che io
Ci riuscissi, tu greve marmo, sacco pieno di Dio,
Statua orrenda dal grigio alluce
Grosso come una foca di Frisco

E un capo nell’Atlantico estroso
Al largo di Nauset laggiù
Dove da verde diventa blu.
Un tempo io pregavo per riaverti.
Ach, du.

In tedesco, in un paese
Di Polonia al suolo spianato
Da guerre, guerre, guerre.
Ma il paese ha un nome molto usato.
Un amico mio polacco

Mi dice che ce n’è un sacco.
Così non ho mai saputo
Dov’eri passato o cresciuto.
Mai parlarti ho potuto.
Mi s’incollava la lingua al palato.

Mi s’incollava a un filo spinato.
Ich, ich, ich, ich,
Non riuscivo a dir di più di così.
Per me ogni tedesco era te.
E quell’idioma osceno

Era un treno, un treno che
Ciuff-ciuff come un ebreo portava via me.
A Dachau, Auschwitz, Belsen.
Da ebrea mi mettevo a parlare,
E lo sono proprio, magari.

Le nevi del Tirolo, la birra chiara di Vienna
Non son molto pure o sincere.
Per la mia ava zingara e fortunosi sbocchi
E il mio mazzo di tarocchi e il mio mazzo di tarocchi
Qualcosa di ebreo potrei avere.

Ho avuto sempre terrore di te,
Con la tua Luftwaffe, il tuo gregregrè.
E il tuo baffo ben curato
E l’occhio ariano d’un bel blu.
Uomo-panzer, panzer, O tu –

Non un Dio ma svastica nera
Che nessun cielo ci trapela.
Ogni donna adora un fascista,
La scarpa in faccia, il brutale
Cuore di un bruto a te uguale

Tu stai alla lavagna, papà,
Nella foto che ho di te,
Biforcuto nel mento anziché
Nel piede, ma diavolo sempre,
Sempre uomo nero che

Con un morso il cuore mi fende.
Avevo dieci anni che seppellirono te.
A venti cercai di morire
E tornare, tornare a te.
Anche le ossa mi potevano servire.

Ma mi tirarono via dal sacco,
Mi rincollarono i pezzetti.
E il da farsi così io seppi.
Fabbricai un modello di te,
Uomo in nero dall’aria Meinkampf,

E con il gusto di torchiare.
E io che dicevo sì, sì.
Papà, eccomi al finale.
Tagliati i fili del nero telefono
Le voci più non ci possono miagolare.

Se ho ucciso un uomo, due ne ho uccisi –
Il vampiro che diceva essere te
E un anno il mio sangue bevé,
Anzi sette, se tu
Vuoi saperlo. Papà, puoi star giù.

Nel tuo cuore c’è un palo conficcato.
Mai i paesani ti hanno amato.
Ballano e pestano su di te.
Che eri tu l’hanno sempre capito.
Papà, carogna, ho finito.

traduzione di Giovanni Giudici

S. PLATH, Tutte le poesie, Mondadori 2019
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Patrizia Valduga e la poesia erotica

Mi soffermo ancora sulla poesia ‘disturbante’ (almeno per alcuni). La Valduga (lasciamo stare la biografia), maestra di poesia erotica, si presenta qui col suo testo più famoso, direi magnifico col suo ritmo rapido e sinuoso.

Vieni, entra e coglimi, saggiami provami…
comprimimi discioglimi tormentami…
infiammami programmami rinnovami.
Accelera… rallenta… disorientami.
Cuocimi bollimi addentami… covami.
Poi fondimi e confondimi… spaventami…
nuocimi, perdimi e trovami, giovami.
Scovami… ardimi bruciami arroventami.
Stringimi e allentami, calami e aumentami.
Domami, sgominami poi sgomentami…
dissociami divorami… comprovami.
Legami annegami e infine annientami.
Addormentami e ancora entra… riprovami.
Incoronami. Eternami. Inargentami.

P. VALDUGA, Medicamenta e altri medicamenta, Einaudi 2020
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ASSUNTA FINIGUERRA: la poesia “disturbante” della più grande poetessa lucana di sempre

Continuiamo con la poesia ‘disturbante’. almeno per qualcuno. Per me  tutto, persona oggetto animale, può diventare poesia: «homo sum, humani nihil a me alienum puto». La frase di Publio Terenzio Afro è perfetta. Non ci sono contenuti ‘vietati’ nella poesia, è la sua libertà e la  sua enorme differenza con la pedagogia, l’etica, la psicologia, la teologia & c.

Qui è la volta di Assunta Finiguerra, poetessa lucana – la più grande poetessa lucana  di sempre – di cui spesso abbiamo parlato. Poesia di rivolta, contro il mondo e contro Dio.

Ero nuda e tu mi hai vestita
ero nuda e mi hai messo in croce
ero nuda e mi hai dato del dolce
con un cucchiaio d’argento ramato

a truppe le nebbie ho visto nel cielo
ero nuda e tu mi hai vestita
che strana cosa…io ti ho creduto
ero nuda e mi hai messo in croce

o anche:

Ti ho sognato da mille anni e mille
sono gli anni che piango in culo al tempo
in culo alla vita che mi porta vento e a mio padre che mi ha fatto nascere

ma poi, dolcissima:

Avrei voglia di far l’amore col vento
e restare in cinta di una giornata

Tutte sono traduzioni in italiano del dialetto sanfelese (PZ) e tratte dal volume Tatemije (ed.Mursia).

A. FINIGUERRA, Tatemije, Mursia 2010
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Vado per caso al mio funerale
e vedo poca gente sconfortata,
il prete con la croce e scoglionato
cerca di dare un tono all’omelia
‘Oggi è morta una donna anormale
salve regina e con tanti pensieri,
christe eleison redarguiva i mazzieri
se aveva senno leggeva il giornale
se ci penso signore onnipotente
era strana pure all’anima sua
l’ho capito quando si confessava
che importanza dava al sentimento
un’altra cosa mi ha tanto impressionato
-ricordati di lei beato eterno-nelle pupille aveva l’inferno
vi si vedeva l’anima dannata’

…inde a re nènne tenije l’inferne
nde se vedije l’ànema dannate’

Perché piace a tutti la poesia di Assunta Finiguerra? Perché trasuda di verità. In un testo scrive: «sono figlia di cafoni». Molti tendono a eliminare origini modeste, ma invece sarebbe lì la sorgente della poesia.

Assunta è una dolce anima dannata. È quasi un’ossimoro, ma è così. È una ribelle contro l’umanità, la falsità, la vita, Dio (memorabili le sue liti col parroco del paese), eppure è in cerca dell’anima perduta:

Ho perso l’anima da qualche parte
non so dov’è finita, non la trovo
anche nel nido dove la chioccia cova
ho guardato, per la miseria!
Vedi che sorte
Voi del vicinato pieni di giudizio
che fate parlare pure le pietre
chiedete ai fili d’erba nella creta
se possono trovarmi qualche indizio

Certo, c’è sapienza letteraria (senza la quale non si fa nulla, in poesia), ma c’è anzitutto verità, senza la quale non si fa nulla ugualmente. Noi, in tante sillogi di poesia, avvertiamo che non c’è verità, non c’è anima. C’è solo gioco letterario. Qui chiaramente sentiamo che c’è un’anima in fermento, in movimento, che qui abbandona per un attimo invettive e rancori, per lasciarsi andare (ma c’è sempre ironia) ad un parlare piano, ma anche disperato.

Daniele Giancane


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