Traduzione dell’intervista apparsa su El Pais ad opera di Berna Gonzáles Harbour dal titolo: Ida Vitale: “Respeto a mi abuela sì, soy joven” del 15 novembre 2021

La poetessa uruguayana parla della sua lettura compulsiva sin da bambina e a 98 anni pubblica la sua nuova silloge Tiempo sin claves (Tempo senza chiavi).

Con un secolo alle spalle non c’è disgrazia che possa esaurire le energie e la vivacità di Ida Vitale, poetessa uruguayana che ha vissuto dittature, esili e perdite che non le hanno cancellato umorismo e capacità di scrivere. Con i suoi 98 anni la “Premio Cervantes” porta a compimento un itinerario con una nuova silloge nel suo percorso dal titolo Tiempo sin claves («Tempo senza chiavi», Tusquets 2021) in cui si va liberando di tutto ciò che molesta. Roda da fare invidia.

Lezione di umiltà ed erudizione di Ida Vitale

di Berna Gonzáles Harbour

La presentazione interna del testo la definisce come la poetessa più giovane dell’America Latina.

«(Ride), Va bene così. Le battute funzionano come pubblicità. Io credo che nessuno desideri davvero che gli si dica la verità.

Si sente ancora giovane?

Rispetto a mia nonna sì (e continua a ridere). Tuttavia preferisco non pensarci perché certi limiti mi stanno superando.

Una delle sue poesie dice che dopo gli 80 rifiuta il peperoncino, lo zafferano e l’ego. Sono i vantaggi dell’età?

Potrebbe essere lo stesso senza dover arrivare agli 80. Se risparmi il tuo proprio ego. Di quello degli altri sorrido.

IDA VITALE, Tiempo sin claves, Tusquets 2021

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Le sue poesie sono piene di domande…

Sono sempre più certe delle risposte. La vita te le pianta davanti ad ogni passo: o sei una cosa neutra o ti fai domande. È un dovere umano.

Come legge?

Sempre in un libro di carta; poi lo metti in biblioteca e di tanto in tanto lui ti saluta.

Più romanzi o più poesia?

In generale più romanzi. Il primo che lessi nell’adolescenza fu Guerra e Pace perché stava sotto il telefono ma ad una età inappropriata. Non è roba per bambini. Avevo uno zio medico assolutamente odioso e leggevo i suoi libri di medicina quando non mi vedeva.

Riusciva a capirli?

Dovevo essere un po’ sadica perché mi affascinava questa orribile carrellata di malattie, come una biblioteca dell’orrore; lui non se n’è mai accorto.

Com’è passata dai libri di medicina a quelli di poesia?

La poesia è arrivata molto dopo. La cosa strana è che leggesse racconti di fate. Anch’io li lessi, per intero. Di certo erano più piacevoli di quei libri di medicina.

Quando cominciò a comprarli e a sceglierli lei, cosa cercava?

Vivevo a tre isolati dall’Università e curiosavo per vecchie librerie leggendo in modo assolutamente scriteriato. Ci fu un periodo in cui dovevo terminarlo un libro prima di andare a letto.

È stata ad Alcalà, a Madrid, a Juzbado (Salamanca). Da qui andrà a Milano. Le piace il contatto diretto con i lettori?

Non con i lettori: con la gente (ride). Non è che mi venga in mente di arrivare a Juzbado e chiedere chi mi abbia letto! È un paesello divino: è stato molto bello.

Come definirebbe questo libro?

L’Addio, forse. O all’improvviso no! La prosa mi tenta molto e questo richiede più tempo, più energie, più idee, più progettualità.

Credo che lei abbia scritto romanzi che non ha pubblicato…

Non tanto. Ho qualche bozza ma rispondono a un momento preciso e quando le lasci andare poi non tornano più. Siccome il giudizio critico funziona, non mi tenta poi tanto proseguire con quello.

Addio, dice. Da suo marito defunto?

No, da tutti. Mio marito è morto anni fa e poco dopo ci fu un libro però non l’ho collegato all’addio. Non sia mai che dopo entri in una stanza buia e scopri esserci una maniera di comunicare (ride).

La Spagna deve chiedere perdono per i suoi trascorsi coloniali?

Dovremmo ringraziare la Spagna, non parlare di perdono sebbene – è ovvio – i presidenti devono accontentare il popolo. È una cosa assurda! Chiedere perdono al passato! E noi, allora? Ne siamo immuni? Questo fatto di recriminare è assurdo. Tutto ciò che è successo forma parte di noi. È grottesco. Capisco che i paesi colonizzatori possano essere colpevoli, però bisogna vedere se in questo processo non si sia verificato anche il riscatto di un paese. Vale anche per l’Africa che è la grande vittima. Che ne sarebbe dell’Africa se non si fosse verificato un intervento dall’esterno? Ci starebbe ancora divorando? (ride). Che so io. C’é da entrare in pieno nel passato? Agli uruguayani che sono stati vittime – come direbbero oggi – chiedo se fra di noi non abbiamo fatto  mai vittime? Il mondo è complicato.


Fonte: https://elpais.com/cultura/2021-11-15/ida-vitale-respecto-a-mi-abuela-si-soy-joven.html?utm_source=Facebook&ssm=FB_CM#Echobox=1636983632


Berna Gonzáles Harbour

Giornalista di El Pais, è stata inviata speciale in zone di guerra, corrispondente da Mosca e vicedirettore responsabile di  InternacionalDomingoSociedadWeb o Babelia. Si occupa di interviste e critica culturale, è editorialista nella sezione Opinión e analista di Hoy por Hoy, nella Cadena Ser.Premio Dashiell Hammett per El sueño de la razón (Il sogno della ragione).

Vito Davoli