PROLOGO

Il 27 marzo 1991 fu rappresentato al teatro Petruzzelli di Bari, in anteprima nazionale, Il Paradiso – perché mi vinse il lume d’esta stella di Giovanni Giudici, una drammatizzazione della terza Cantica della Divina Commedia. Nei giorni precedenti c’erano state le rappresentazioni della Commedia dell’Inferno – un travestimento dantesco di Edoardo Sanguineti e de Il Purgatorio – la notte lava la mente di Mario Luzi1.

Tra le manifestazioni per il settecentenario della morte di Dante è stata prevista una riedizione della trilogia. Si comincerà con il Purgatorio – la notte lava la mente, che viene rappresentato al Teatro Grande di Pompei ai primi di luglio di quest’anno. Nel 2022 e 2023 seguiranno le altre due cantiche.

L’idea e la realizzazione di questa inusuale Trilogia era stata di Federico Tiezzi, regista e cofondatore dei Magazzini Criminali (gruppo teatrale di Prato), uno dei gruppi più trasgressivi e innovativi dell’avanguardia teatrale degli anni ’70 e ’80. Il nome del gruppo si trasformò poi semplicemente in Magazzini, sul finire degli anni ’80, mentre Tiezzi si stava convertendo al teatro di poesia.

Infatti un commentatore dell’opera di Tiezzi, L. Mango, considera la Trilogia come emblematica di un teatro di poesia, inteso come progetto di regia teso a realizzare con la lingua della scena, con la scrittura scenica, l’equivalente visivo, il correlativo, del ritmo, della costruzione e della geometria della poesia2.

D’altra parte la Commedia ha già di per sé un carattere teatrale, Auerbach in un suo famoso saggio scrive che nel poema l’aldilà diventa teatro
dell’uomo e delle sue passioni
3.

1 Commedia dell’Inferno e Il Purgatorio. La notte lava la mente hanno debuttato al Teatro Fabbricone di Prato rispettivamente il 27 giugno 1989 e il 2 marzo 1990.

2 L. Mango, Teatro di poesia. Saggio su Federico Tiezzi, Roma, 1994, p. 13.

3 Erich Auerbach, Farinata e Cavalcanti in Mimesis-Il realismo nella letteratura occidentale, Torino, 2000, vol. 1, pp. 189-221, in particolare le pp. 207-219.

Tuttavia l’adattamento del Sacro Monumento della nostra Lingua, come lo chiama Giudici, per la recitazione e la scena, comporta una deformazione dello stesso, cosa non facile su un testo arcinoto e su una vicenda già ben costruita. È ovvio che per superare le difficoltà serve sensibilità e formazione poetica.

Nel passato c’è voluto un poeta del calibro di Gabriele d’Annunzio per far rivivere in una tragedia storica la poesia dantesca. Alludo ovviamente alla Francesca da Rimini. Tiezzi ha avuto l’intuizione che sarebbe stato meglio se questo poeta avesse già mostrato, nelle sue opere, legami stilistici e tematici con la Commedia.

Forte della sua sensibilità di artista ha associato Sanguineti con l’Inferno e Luzi con il Purgatorio (anche se la poesia di Luzi, specie nelle sue ultime opere, evolve verso atmosfere paradisiache). È stato apparentemente più ardito l’abbinamento di Giudici con il Paradiso, ma in realtà lasciti e atmosfere dantesche, benché interpretate spesso in chiave parodica, sono sparse in tutta l’opera poetica di Giudici. Sono nate tre rappresentazioni in cui si avverte la tensione tra il desiderio creativo del poeta moderno e la riverenza intimidatoria che un testo come la Commedia ispira.

Nel seguito condurrò un’analisi delle tre trascritture sceniche4. Ciascun copione è accompagnato da un’Introduzione critica, da una Notizia scritta dall’autore, e dalla narrazione, a volte commossa, dello stesso Tiezzi sul suo incontro con i tre poeti. Vi è nella descrizione di questi incontri un notevole lirismo, mi soffermo solo su quello con Giudici: “E avevamo davanti le montagne della Lunigiana che, di là della Bocca di Magra, apparivano bianche di marmi, intoccabili, precocemente innevate, purgatoriali”; Giudici mastica un resto di sigaro, Tiezzi è silenzioso e a chiusura della nota conclude: “Avevamo davanti il mare, a Bocca di Magra, ‘quel mare a cui tutto muove’, madre e liquido amniotico, acqua santa, acqua vitale. Madre Acqua Paradiso” (Giudici 1991, pp 87 e 89).

4 Sanguineti E., Commedia dell’Inferno. Un travestimento dantesco, a cura di Niva Lorenzini, Roma, 2005 – Prima edizione 1989 – (Comprende Tiezzi F. Introduzione (teatrale) a commedia (cinematografica) e un’intervista a Sanguineti di Niva Lorenzini). In
 seguito indicato come “Sanguineti 2005”.
Luzi M. 1990, Il Purgatorio. La notte lava la mente, Genova, Costa&Nolan, (comprende Baldacci A., Il Dante di Luzi, e Tiezzi F., La fisica dell’assenza: per una regia del
 Purgatorio), 1990. In seguito indicato come “Luzi 1990”.
Giudici G., Il Paradiso. Perché mi vinse il lume d’esta stella. Satura drammatica, Genova Costa&Nolan (comprende F. Brioschi, Presentazione; Tiezzi F., Il silenzio e il
 discorso), 1991. In seguito indicato come “Giudici 1991”

Non parlerò di come Tiezzi abbia realizzato gli spettacoli. Ovviamente sarebbe interessante avere qualche elemento su questo aspetto. Fortunatamente è presente in Rete il filmato de Il Paradiso, registrato nel maggio 1991 al Teatro Argentina di Roma. Vedere questa registrazione può aiutare a capire il lavoro fatto insieme dai poeti e da Tiezzi. La prima cosa che noto è l’accessibilità al testo dantesco, dovuta indubbiamente ai brani scelti (alcuni molto noti) e alla bravura degli attori, in primis Sandro Lombardi, che ha interpretato Dante in tutte e tre le drammatizzazioni. Noto inoltre che Tiezzi, almeno in questa edizione non si è attenuto alle prescrizioni sceniche di Giudici dovendo tener conto evidentemente dell’effettiva location dello spettacolo.

NOTA: in queste drammatizzazioni assumono importanza le didascalie con le quali i poeti commentano passaggi importanti o descrivono le scenografie. esse saranno evidenziate tra virgolette e con un carattere tipografico diverso da Times New Roman e Calibri.

Commedia dell’Inferno. Un travestimento dantesco

Sanguineti è sempre stato uno scrittore sperimentale, a partire dalle sue radici avanguardistiche. Fin dalle prime fasi della sua poesia ha avuto un rapporto con Dante vitale e operante, sviluppato sotto il segno dell’Inferno. I due poeti hanno in comune la passione civile5, l’impegno esegetico nell’interpretazione della realtà, l’invenzione di uno stile.

5 Sanguineti fu eletto deputato (1979-1983) come indipendente nelle liste del PCI.

L’incontro col sommo Poeta risale al lavoro di tesi sui canti di Malebolge, svolto all’Università di Genova, sotto la guida di Giovanni Getto. Tesi poi diventata un saggio critico, Interpretazione di Malebolge (Firenze 1961).

Nel 1964 viene pubblicata la silloge Triperuno, una raccolta di tre poemetti (che Sanguineti chiama cantiche): Laborintus, Erotopaegnia, Purgatorio dell’Inferno, nella quale le suggestioni e le assonanze dantesche sono numerose. Già nel titolo il terzo poemetto dichiara il debito con Dante: il Purgatorio dell’Inferno è il sofferto percorso dalla crisi del dopo guerra allo sforzo per la ricostruzione.

Il rapporto con Dante si muoverà lungo il doppio binario scientifico-professionale e poetico. Del ’66 è il saggio Il realismo di Dante. Del ’65 è il libretto operistico (musicato da Luciano Berio) Laborintus II, composto su commissione della Radiotelevisione francese in occasione del settimo centenario della nascita di Dante. Il libretto mette in relazione i temi danteschi della memoria, della morte e dell’usura. Così come altri testi di Sanguineti e la stessa Commedia dell’Inferno si basa sulla tecnica del collage e del catalogo. Vi sono citazioni prese dalla Commedia, dalle Etimologiae di Isidoro di Siviglia (catalogo delle conoscenze medievali), da Pound (XLV dei Cantos, quello sull’usura), da Eliot, da poesie dello stesso Sanguineti6.

6 In Rete è possibile ascoltare una registrazione della cantata, registrata nel settembre
 2009 a la Cité de la Musique, Parigi

Non è difficile intravedere riferimenti danteschi, sparsi ma ricorrenti, nelle opere successive.
Leggiamo, per esempio, dalle Quintine, per Salvatore Paladino (1985) la quarta: è una città bella davvero, guarda/con prato puntigliato e cimitero:/vedi la piazza lì pazza e bastarda, /vedi la vispa vespa nel sentiero:/ vedi la vita giù nel pozzo nero. Il sanguinetiano giù nel pozzo nero è calco del dantesco giù nel pozzo oscuro (Inf. XXXII, 16), il vedi all’inizio di tre versi successivi rimanda a Inf. V, 64-67 (Elena vedi…e vedi il grande Achille …) e Inf. XX, 118-121. (Vedi Guido Bonatti e vedi Asdente…)7.

7 V. Pilone, Il postmoderno ha un cuore antico. Intertestualità dantesche in Edoardo
 Sanguineti, L’Alighieri, 30, 2007, p. 149

Si consideri Il gatto lupesco. Poesie 1982-2001 (Milano 2002), “raccolta di raccolte” in cui è facile riconoscere, nelle femmine di animali dell’Alfabeto apocalittico (le lonze, le leone, le lupesse / limano lingue di licantropesse), le tre fiere del primo canto dell’Inferno; e in cui la terzina iniziale della Commedia risuona chiaramente nella settima strofa dell’Arpa magica: tanta gente a cavallo, che ci viene, / se la trova nel mezzo del cammino: / se la ripesca nella selva oscura, / che stava mezza morta di paura.

Non meraviglia, quindi, che Tiezzi abbia chiesto a Sanguineti una
drammatizzazione teatrale dell’Inferno e che Sanguineti abbia accettato.
Del resto già aveva lavorato a riduzioni di opere letterarie (ricordo Orlando Furioso. Travestimento dall’Ariosto con la regia di Luca Ronconi, Faust. Un travestimento, trasformato poi da Luca Lombardi in commedia musicale).

La Commedia dell’Inferno si propone, nelle intenzioni di Sanguineti, «come saggio implicito, tutto dimostrativo, sopra la dimensione drammatica della Commedia8».

Ma qual è l’obiettivo della sua drammatizzazione dell’Inferno? Sanguineti vuole, come dichiara nella Notizia che accompagna il copione: «non solo disinnescare l’”intimidazione” dell’apparecchio letterario più intimidatorio di cui disponga la nostra poesia, ma, in qualche modo, per necessità, di approfittarne, rovesciandola come un guanto, puntando sopra la distanza tra il “poema sacro” e la sua scenica praticabilità concreta, suggerendo la massima divaricazione tra la “citazione” testuale e l’“incarnazione” drammatica9».

8 Cito Sanguineti, 2005, p. 98.
9 Ibidem.

L’operazione di disinnesco più vistosa è l’aver relegato Dante e Virgilio in posizione marginale, nel prologo e nell’epilogo dello spettacolo.
È omessa la maggior parte degli interventi di Dante e di conseguenza scompaiono gli incontri e i dialoghi con i personaggi del poema, con la conseguenza, a mio parere, che i discorsi dei dannati rimangono, a volte, sospesi.
Faccio un esempio: Brunetto Latini anche sulla scena conclude il suo discorso con la famosa raccomandazione finale a Dante: Sieti raccomandato il mio Tesoro/ nel qual io vivo ancora, e più non cheggio; solo che Dante non c’è, e il discorso rimane sospeso con un effetto straniante.
«I personaggi, lasciati senza alcun contesto narrativo, sono come gettati in scena a raccontare, nello spaccato di poche immagini dalle tinte forti e senza mediazione alcuna, il loro destino di dannati»10.

10 L. Mango, cit., p. 31.

La forma drammatica dell’Inferno sanguinetiano è il monologo.
Fra le altre strategie di disinnesco in questo gioco di travestimenti spiccano quella del collage e l’uso delle citazioni, che sicuramente derivano dalla familiarità di Sanguineti con il testo della Commedia, con l’apparato critico che si è consolidato nel corso dei secoli (Benvenuto da Imola, Boccaccio) e con quegli autori medievali e moderni (fra i quali figurano Andrea Cappellano, Chrétien de Troyes, Giacomo da Lentini, Ezra Pound, Eliot) che mostrano qualche affinità con la Commedia.

In questa rielaborazione Sanguineti punta molto sulle didascalie, che, come ho già detto, forniscono prescrizioni sceniche e commenti al testo.
Il lavoro si divide in due parti, nel Primo Tempo recitano personaggi dei primi diciassette canti dell’Inferno11, nel Secondo Tempo sono in scena personaggi di Malebolge12.

11 Personaggi dell’Inferno in questo Primo Tempo sono: Caronte (canto III), Minosse (canto V), Pluto (canto VI-VII), Paolo e Francesca (canto V), Ciacco (canto VI), Farinata e Cavalcante (canto X), Pier delle Vigne (canto XIII), Capaneo (canto XIV), Brunetto Latini (canto XV), Rusticucci (canto XVI), Reginaldo degli Scrovegn (canto XVII), Gerione (canto XVII-XVIII).

12 Personaggi dell’Inferno di questo Secondo Tempo sono: Niccolò III (canto XIX), i diavoli di Malebranche (canti XXI-XXII-XXIII), Vanni Fucci (canto XXIV), Caco (canto XXV), Ulisse (canto XXVI), Guido da Montefeltro (canto XXVII), Maometto (canto XXVIII), Pier da Medicina (canto XXVIII), Bertram de Born (canto XXVIII), Griffolino (canto XXIX), Capocchio (canto XXIX), Mastro Adamo (canto XXX), Sinon (canto XXX), Ugolino della Gherardesca (canto XXXIII), Alberig (canto XXXIII), Lucifero (che è solo una macchina).

La scena iniziale è costituita da un circo. Entrano due presentatori – imbonitori o clowns- che recitano, con voci alterate dalla inflessione farsesca, frasi delle Esposizioni sopra la Comedia di Dante di Boccaccio.
Nella seconda scena altoparlanti urlano brani dal Comentum super Dantis Comœdiam di Benvenuto da Imola. Solo nella terza scena entra Dante, che recita le terzine sull’incontro con le tre fiere, seguono gli altoparlanti che urlano il commento di Benvenuto sulle fiere. Nell’economia di questo scritto non sarà possibile soffermarsi su tutte le scene.

Francesca e Paolo, i due amanti sono dentro una grande voliera mobile, una gabbia da zoo per uccelli, portata sospesa nel vuoto, da una macchina a gru. Paolo, che nel Poema è un personaggio silenzioso, prende la parola recitando versi di Giacomo da Lentini (amor è un desio che ven da core) e da un sonetto de la Vita Nova (amor e il cor gentil sono una cosa).
Francesca narra la sua storia. Le terzine dantesche sono inframezzate da due interventi degli altoparlanti: un breve brano dal De amore di Andrea Cappellano, ed uno più lungo da Lancelot ou Le chevalier de la charette di Chrétien de Troyes.
In quest’Inferno sanguinetiano i dannati non possono comunicare né con Dante né con Virgilio e perdono l’ultima, esile occasione di dar notizia di sé nel mondo dei vivi.

Più oltre, al termine del primo tempo, gli altoparlanti annunciano l’entrata di Gerione, che recita brani dal Canto XLV (quello sull’usura che abbiamo già incontrato) di Pound.

Il secondo tempo si apre su Malebolge: “sopra un grande schermo si proietta la Torre di Babele di Brueghel, rovesciata; attraverso dissolvenze incrociate, seguono, come in una lenta metamorfosi, altre immagini della struttura infernale, ricavate da opere pittoriche (compresi gli schemi dell’”imbuto” infernale dantesco nei manuali scolastici)”.

Nella scena dedicata ai consiglieri fraudolenti: “i dannati sono uomini-fiamma: sono fantasmi che si aggirano, ma in lenzuola rosse, con buchi neri per gli occhi ben segnati, trascinando catene ai piedi: nei movimenti si comprende come sono travestiti, agitano le braccia come fossero lingue di fiamma, grottescamente…Ulisse e Diomede, ovviamente, sono in due in un lenzuolo solo, doppio fantasma…”.

In fondo a tutto l’Inferno, come si sa, c’è Lucifero, immerso nel lago ghiacciato, che agita le sue ali di pipistrello. Nella Divina Commedia Dante e Virgilio avanzano verso il gigantesco diavolo, che da lontano appare come un mulin che al vento gira. Dante ricorre alla similitudine con una delle più grandi macchine medievali (allora per altro da poco inventata) per significare le dimensioni gigantesche del re dei diavoli e il movimento meccanico delle sue ali. Man mano che i due poeti si avvicinano essi scorgono meglio i particolari.

Nella rappresentazione scenica di Sanguineti Lucifero è una macchina in movimento verso gli spettatori: “dal fondo oscuro – recita la didascalia – prima appena visibile, sempre più evidente progressivamente, avanza una gigantesca macchina, una vera macchina infernale…è un insieme caotico di meccanismi in funzione…sobbalzante, che avanza minacciosa verso gli spettatori…rudere da prima rivoluzione industriale… parti della macchina, mentre avanza, rotolano (viti, molle, ecc.) a terra… il mostro meccanico, a mano a mano, rivela aspetti antropomorfici, che, con i suoi movimenti in avanti, e con i suoi interni spostamenti (leve, stantuffi, catene, ecc.) si definiscono sempre meglio …pare un busto di gigante, con la testa a tre facce: quella centrale si colora in rosso, quella destra in giallo e bianco, quella sinistra dell’azzurro da oscuramento bellico delle luci…il busto del gigante ha due grandi ali a pale meccaniche ai lati…”13

13 Sanguineti, 2005, p. 95.

La macchina infernale si va disintegrando progressivamente. Tornano in scena Dante e Virgilio, hanno un breve dialogo, Dante recita gli ultimi versi della Cantica: …E quindi uscimmo a riveder le stelle. I due poeti cominciano ad arrampicarsi sulla macchina, giunti in cima scompaiono alla vista del pubblico, come introducendosi negli occhi del mostro meccanico. Le luci si spengono, gli altoparlanti tacciono di colpo, e finisce Commedia dell’Inferno.

In conclusione siamo di fronte ad un personalissimo adattamento della Commedia, che si muove nella scia del dantismo delle opere precedenti di Sanguineti e dove sono entrati in gioco simultaneamente il poeta e il saggista.

Il Purgatorio. La notte lava la mente

Luigi Baldacci, introducendo la drammatizzazione di Luzi del Purgatorio, sottolinea che il dantismo tendenzialmente “paradisiaco” di Luzi ha carattere sostanziale: «la poesia della Commedia è bensì la grammatica e la sintassi della stessa poesia di Luzi: e ciò avviene quando egli più deliberatamente sperimenta e saggia un punto massimo di realismo e insieme di accensione visionaria […] sono di Dante la grammatica e la sintassi mentale».14

In Luzi il percorso di avvicinamento a Dante è progressivo a partire dalla seconda guerra mondiale. Non è nello scopo di questo articolo ripercorrere l’itinerario poetico di Luzi e il suo rapporto con Dante, evidenzio qualche tappa15.

14 Luzi, 1990, pp. 5-8.
15 Vedi paragrafo su Luzi in Filippo Silvestri, Dante e i poeti del Novecento, in La Vallisa, n. 115, luglio-dicembre 2020, pp. 30-33.

In un suo famoso saggio del 1945 (L’inferno e il limbo), Luzi pone al centro di ogni possibilità di poesia, dopo una così tragica rovina di civiltà, il recupero di Dante come speranza per il futuro, contro la chiusura di Petrarca nel proprio Limbo. In Onore del vero (1957) risalta la poesia che chiude la raccolta, La notte lava la mente, che presenta atmosfere infernali purgatoriali: file d’anime lungo la cornice, / chi pronto al balzo, chi quasi in catene.

Nel Magma (1963) la presenza dantesca s’intensifica: molte poesie si fondano su una componente strutturale del poema dantesco: l’incontro, che può essere anche uno scontro. In Presso il Bisenzio sin dal primo verso ci troviamo immersi in un paesaggio infernale: La nebbia ghiacciata affumica la gora della concia, che si allaccia alla morta gora (Inf. VIII 31) del canto di Filippo Argenti.

Dalla nebbia esce un gruppo di quattro: sono uomini della resistenza, partigiani. Vi è un confronto-scontro tra Mario (il poeta, che non è stato partigiano) e due del gruppo, ma l’atmosfera è adesso purgatoriale perché alle diverse strade che i protagonisti continueranno a percorrere si aggiungono raccomandazioni e ammonizioni.

Giungiamo, in una sorta di percorso ascensionale verso visioni paradisiache, a Frasi nella luce nascente, che unisce le raccolte più recenti (Per il battesimo dei nostri frammenti 1985, Frasi e incisi di un canto salutare 1990, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini 1994). Nel Viaggio tra i tanti sintagmi che si richiamano alla Commedia l’esempio più esplicito, anzi dichiarato, è in Di quel flusso di vita, dove Simone, chiudendo una delle sezioni del suo viaggio, s’interroga: quando, / quando Dante la rivestita carne alleluiando? richiamo di «la revestita voce alleluiando» (Purg. XXX, 15) e insieme della resurrezione dei corpi di Par. XIV, 43-45: Come la carne gloriosa e santa / fia rivestita, la nostra persona / più grata fia per esser tutta quanta.

A fianco dell’attività di poeta c’è anche quella di drammaturgo. Tra le sue opere teatrali ricordo Libro di Ipazia (1978); Rosales (1983); Hystrio (1987); Corale della città di Palermo per Santa Rosalia (1989); Io, Paola, la commediante (1992).
Fino alla fine la poesia di Luzi rimane fedele alla parola e allo spirito del poema dantesco. Come osserva Maria Sabrina Titone: Quello di Luzi è un dantismo ideologico…Dante insegna a Mario Luzi la via della speranza che attraversa cammini di dolore, ma che punta in alto, alla salvezza16.

16 Maria Sabrina Titone, Cantiche del ‘900. Dante nell’opera di Luzi e Pasolini, Firenze, 2001, p.139

In questo percorso s’inserisce la drammatizzazione del Purgatorio, scritta su invito di Federico Tiezzi.
Accettata la proposta, Luzi cominciò a ricercare l’elemento unificante che unisce i personaggi del Purgatorio: Lo trovai nello scorrere del Tempo: Il Purgatorio è l’unico regno e l’unica cantica in cui il tempo vige: e vige nel suo doppio potere di nostalgica rammemorazione del passato e di tormentosa remora all’eterno su cui il desiderio si sposta…È un filo che unisce pena, pazienza ed attesa: e unisce anche le anime espianti con i due grandi testimoni e pellegrini, Dante e Virgilio, in una comune esperienza ascensionale – all’interno di se stessi.

Seguendo questo filo furono scelti, da Luzi e Tiezzi, gli episodi da far entrare nella rappresentazione e che si dovevano disporre come una progressione, ma sempre tenendo presenti le attitudini contrastanti dello spirito purgatoriale: da quella che, sia pure pacificata con il Giudice supremo non è in pace con la propria fine violenta (Jacopo del Cassero, Buonconte, Pia de’ Tolomei), a quella che, nel distacco e nella equità resa possibile dal proscioglimento della passioni, non può fare a meno di riaccendersi delle ambizioni (Marco Lombardo) e dei miraggi dell’arte (Sordello, Stazio, Bonagiunta, Guinizzelli, Arnaut Daniel), a quella, più toccante dell’amicizia riscoperta (Forese).

La forma drammatica del Purgatorio luziano è il dialogo.
Per Luzi il Purgatorio era già di per sé drammatico e il protendersi della parola dantesca scandiva già un evento teatrale che il dialogo o il contrasto tra le persone completava17.

17 Tutte le citazioni precedenti in Luzi,1990, pp.74-75.


Da qui la decisione di escludere manipolazioni, interpolazioni, inserimenti di elementi estranei nel testo.
Tuttavia Luzi ha inserito alcune sue brevi liriche intese a coinvolgere
maggiormente il pubblico, a cominciare da La notte lava la mente, e in
seguito due liriche inedite di cui si dirà. Più interessanti sono le didascalie, indicazioni di scena o brevi commenti, che accompagnano il viaggio ascensionale e delimitano l’azione e gli incontri. Vi sono poi tre personaggi inventati: il Poema, la Voce fuori Campo, il Coro.

Il Poema diventa un’entità (lo chiamerò nel seguito Poema-personaggio), anzi un personaggio guida, “rappresentato da un mascherone simile ad una bocca della verità, ad una fontana che versa acqua e che rappresenta la perennità della voce umana”. Al Poema-personaggio sono affidati i momenti descrittivi: sia come raccordo in alcuni dialoghi, sia nell’introdurre personaggi ed episodi a cui Luzi assegna un particolare significato: Sordello, Stazio.

La Voce Fuori Campo ha essa pure compiti di descrizione e di commento, ma è incorporea. Essa dialoga con il Poema-personaggio e con il Coro, a quest’ultimo è affidata ad esempio l’invettiva contro l’Italia. Espongo brevemente il procedere dello spettacolo, mettendo in risalto le didascalie e le liriche di Luzi, brevi ma pregnanti. Per il resto, come detto, è rispettato il testo della Commedia.

La scena si apre su una Base oceanica, forse una Base artica, la luce è quella di una notte nordica. Siamo nell’Antipurgatorio: “stasi di spaesamento, incertezza, dubbio”. Le anime appena sbarcate cominciano ad entrare sulla scena e in coro domandano: Esiste il tempo? La Voce Fuori Campo risponde: Si, ed esiste il travaglio. La stessa Voce recita La notte lava la mente. C’è poi l’incontro con Casella (Purg. II), ma mentre tutti sono fermi per ascoltarne il dolce canto, spunta da dietro un vitrage, Catone, che rimprovera le anime perché devono proseguire (siamo come in una stazione di arrivo e di partenza) (Purg. I).

Dopo gli incontri con Manfredi, i morti per forza (Jacopo del Cassero, Buonconte da Montefeltro, Pia de’ Tolomei), Sordello, Dante è arrivato sulla soglia del Purgatorio.
Luzi prescrive alla regia: “visione folgorante dell’angelo sulla soglia che si impone splendido nella sua statura. Dante si approssima all’angelo e si fa imprimere le sette P sulla fronte. È un’azione secca, ma icastica”.

Lo spettatore è proiettato nel Purgatorio. “La Montagna è la protagonista e la luce l’avvolge. Il Purgatorio è una montagna che ha una vita propria e ininterrotta al di là delle tribolazioni individuali: la condizione purgatoriale è transeunte ma la Montagna permane”.

Quando comincia la salita del Monte Purgatoriale (ricordo l’esortazione di Virgilio a Dante: Questa montagna è tale/ che sempre al cominciar di sotto è grave/ e quant’om più va su, e men fa male -Purg. IV 88-90) la Voce fuori Campo recita una poesia di Luzi, composta per l’occasione, sempre sul tema del tempo: …Salite, salite la montagna. / Salendo la montagna il tempo si riduce, / il tempo si annulla e si distrugge/ più prossimo all’eternità imperante.

Anche per la bella drammatizzazione di Luzi non potremo soffermarci
su tutte le scene18.

18 Personaggi del Purgatorio che compaiono sulla scena: Catone (canto I); Casella (canto II), Manfredi (canto III), Jacopo del Cassero, Buonconte da Montefeltro, Pia De’ Tolomei (canto V), Sordello (canti VI-VIII), Giudice Nino (canto VIII), Omberto degli Aldobrandeschi (canto XI), Sapia (canto XIII), Marco Lombardo (canto XVI), Papa Adriano V (canto XIX), Stazio (canto XXI), Forese (canto XXIII), Bonagiunta (canto XXIV), Guido Guinizzelli, Arnaut Daniel (canto XXVI), Matelda (XXVIII), Beatrice (canti XXX-XXXIII)

A sottolineare l’entrata nella cornice degli iracondi: “Il fumo, epifania assoluta, invade la scena (è il fumo, appunto, della cornice degli iracondi). Dal fumo esce Marco Lombardo. Parla per prosopopea, conforme alla solennità della figura e al suo senso di superiorità”.

Luzi riporta per intero, (confermando che è ben consapevole dell’istanza politica della Commedia) le meditazioni di Marco Lombardo (quasi un alter ego di Dante) sul libero arbitrio, la corruzione del mondo, il rapporto tra Chiesa e Impero. In seguito a questo incontro Dante rimane perplesso e si lascia sfuggire, nella finzione scenica, la dolente invocazione di Par. XXV: O mente mia…/ Se mai continga che il poema sacro…

Prima dell’ingresso nel Paradiso terrestre si celebrano sulla scena la poesia e l’amicizia.
La poesia antica: Stazio, come nel Poema, appare dopo il terremoto che ha scosso la Montagna e spiega che quel terremoto segna il liberarsi di un’anima che sale al cielo, in questo caso è lui stesso19.

19 Canti XXI, XXII, XXIV, XXV, del Purgatorio

S’incrocia con Stazio l’amico Forese Donati: che, al termine del colloquio con Dante, fa quella struggente domanda: Quando fia ch’io ti riveggia? E Dante: Non so quant’io mi viva! (Purg. XXIV 75-76).

È di scena adesso la poesia moderna. Guido Guinizzelli, Arnaut Daniel, quest’ultimo parla in provenzale (come nel Poema)20.

20 Purg. XXVI.

Per entrare nel Paradiso Terrestre bisogna superare, come si sa, un muro di fuoco. Luzi descrive lo stato d’animo di Dante: “Ammira e teme il fuoco” e qui si inserisce una poesia di Luzi stesso sul fuoco purificatore (recitata sempre dalla Voce Fuori Campo): …Ardete a questo fuoco/ bruciate a questo rogo/ ogni vostra impurità/ tutto, fino all’essenza./ Trasformatevi dolorosamente /nella vostra/ incipiente divinità. Ma prima dell’ingresso Virgilio, come nel Poema, annuncia a Dante che ormai è signore di se stesso: Non aspettar mio dir più né mio cenno/ libero, dritto e sano è il tuo arbitrio (Purg. XXVII 139-140).

È un crescendo di emozioni che ci prepara alla visione del Paradiso Terrestre. Ed è anche un susseguirsi di situazioni sempre più incalzanti: il giardino del Paradiso; Matelda; la Processione simbolica (che Luzi prescrive appaia sulla scena) la cui descrizione è affidata al Personaggio-Poema; la scomparsa di Virgilio; l’apparizione di Beatrice.
Quindi l’ultimo intervento di Luzi: “Viene ora introdotto l’elemento puro dell’Acqua: acqua come flusso, acqua come riflesso. Il Letè è stato presupposto. Invece si dovrebbe veder l’Eunoè”. Dante beve l’acqua di quest’ultimo e recita gli ultimi versi della Cantica, egli ora: è puro e disposto a salire alle stelle.

Nel Purgatorio. La notte lava la mente si riconosce una fedeltà rispettosa del testo dantesco. I penitenti gravitano intorno al tempo, passando progressivamente dal dolore e dal rimorso per gli errori passati all’attesa di giungere alla visione di Dio, in questa condizione provvisoria si sviluppa e si rafforza l’impulso all’ascesa alla conquista di sé.
Non posso non notare, infine, che attraverso le didascalie e le poche, significative liriche si avverte la presenza del poeta moderno nella sua intima e commossa rilettura della seconda Cantica.

Paradiso. Perché mi vinse il lume d’esta stella

Giudici racconta che quando Tiezzi gli propose di scrivere una drammatizzazione del Paradiso rimase perplesso, soprattutto perché non aveva con il Sacro Monumento della nostra Lingua21, la dimestichezza di Sanguineti e di Luzi. Era proprio così? Non penso ed infatti la critica recente ha rilevato tutti i lasciti e le vicinanze del poeta alla Commedia22.

21 Giovanni Giudici, Il Paradiso. Perché mi vinse il lume d’esta stella, Costa&Nolan, Genova, 1991, p. 83.

22 Vedi Ronald de Rooy, Il poeta che parla ai poeti - Elementi danteschi nella poesia italiana ed anglosassone del secondo novecento, Firenze, 2003, pp. 118-157.
 Carlo Ossola, Giovanni Giudici, L’anima e il nome, in Giovanni Giudici. I versi di una vita, a cura di Rodolfo Zucco, Milano, 2000, pp. XI-XLIV.

Qualche esempio della sua riscrittura di episodi e sintagmi dalla Commedia: In Port-Royal (La vita in versi, 1965) viene descritta una scena decisamente di sapore infernale: …dal gruppo dei tranquilli animali, / piroettando tre sagome messaggeri/ infernali partirono contro di me./Latranti mi s’avventarono i tre piccoli cani neri,/ alle mie spalle il bosco era greve di pioggia, / e io fango e sudore (e sangue – chissà- fra poco).

Qui si mescolano le tre furie infernal di sangue tinte di Inf. IX 38; i veltri ch’uscisser di catena di Inf. XIII 126 e la piova/ etterna, maladetta, fredda e greve che batte sui golosi in Inf. VI 7-8.

A volte le citazioni sono usate in maniera parodica: Il celebre verso: da la cintola in su tutto ‘l vedrai (Inf. X 33), lo ritroviamo in una (immaginata?) scena d’amore giovanile (La nudità, da Autobiologia): …sul letto coricato su di lei/ sicchè in gran fretta dietro la sponda la nudità// dalla cintola in giù nascosi ancora intento/ fingendomi a un’opera interrotta/ inginocchiato- e lei sconvolta dalla vergogna/ e dall’avvento forse della madre.

O beatrice (volutamente il nome è scritto con l’iniziale minuscola), la poesia che chiude la raccolta omonima (1972), è una specie di litania, con numerosi riferimenti al Paradiso Terrestre. Ecco alcuni versi, nei quali la figura appare ridimensionata: O beatrice senza manto/senza cielo né canto/…O beatrice senza santi/senza veli né canti. Gli attributi manto e veli – di cui la beatrice di Giudici è sprovvista- sono una reminiscenza (Purg. XXX 31-33) dell’incontro con Beatrice: sovra candido vel cinta d’uliva/ donna m’apparve, sotto verde manto/ vestita di color di fiamma viva.

In Quanto spera di campare Giovanni (1993) c’è un sintagma dantesco utilizzato per elevare il tono del discorso: (L’Approccio): Si, certo, giù le mani! Ma da cosa? / Giù le mani dal Vietnam! Giù le mani/ Gridai, dalla Corea! / Sotto l’usbergo di quei nomi strani (Inf. IX 63).

Tornando a noi Giudici accetta la proposta di Tiezzi al di là delle proprie inibizioni: Del resto, mi è spesso capitato di pensare che senza un pizzico di incoscienza non sia possibile nemmeno scrivere una poesia, se è vero che il suo specifico comunicativo è essenzialmente un salto della ragione23.

23 Notizia, in Giudici 1991, p. 84.

Qui iniziano le difficoltà. Giudici trova che nel Paradiso viene narrato
l’inenarrabile, descritto l’indescrivibile, e rievocato l’irrevocabile, e così
la trasposizione teatrale rappresenta l’irrappresentabile. Di qui la “violenza” che non si poteva non arrecare all’integrità del testo
24.

Qual è la soluzione che permette a Giudici di affrontare la teatralizzazione? Il primo passo è quello dello sdoppiamento del personaggio Dante in un Auctor, colui che narra e descrive, e in un Viator, colui che agisce nel narrato e descritto,25 entrambi alter ego di Giudici nella lettura-riscrittura della Cantica.

24 Ivi, p. 85.
25 Ibidem.

Inoltre inventa un simulacro di Coro nelle vesti del Chierico e del Letterato Moderno, anch’essi alter ego di Giudici. Il secondo passo è stata la scelta di episodi significativi. Il terzo l’evidenziazione di figure retoriche, come ad esempio le numerose professioni di indicibilità e irricordabilità. Bisogna aggiungere che insieme a queste operazioni apparentemente innocue e quasi dovute, Giudici ne ha fatte di piuttosto audaci sul testo del Paradiso. Prima di tutto montando e tagliando i frammenti danteschi e in secondo luogo inserendo parecchie voci moderne (i testi e i poeti che fanno parte del suo bagaglio culturale: Machado, Kafka, Noventa, Sant’Agostino, Coleridge, Frost, Eliot, Pound), che rompono il tono alto dell’originale. Giudici si sentiva come autorizzato ad inserirle per rendere il suo lavoro vivo.

Nella Notizia che accompagna il copione del Paradiso, Giudici racconta che ha riletto la Commedia dopo trent’anni, negli anni ’80 e in quell’occasione si è reso conto della forza delle immagini che si sprigiona dalle terzine e che leggere il poema è in fondo più semplice di quanto si pensi.

La drammatizzazione del Paradiso è organizzata in un Prologo e in nove Scene recanti ognuna come titolo un verso dantesco. Nel Prologo incontriamo già alcuni dei principali personaggi: l’Auctor, il Chierico, il Letterato Moderno. La recitazione è animata e concitata. Sulla scena uno scrittoio ed uno studiolo da scienziato rinascimentale.
L’Auctor, un vecchio uomo, sta scrivendo, terminata la pagina rilegge quelli che sono gli ultimi versi della Cantica: Omai sarà più corta mia favella/etc l’amor che move il sole e l’altre stelle (Par. XXXIII 106-145). (Così la fine della Cantica precede il suo inizio: la conseguenza di questa inversione si vedrà alla fine del dramma). Il vecchio poi si accascia quasi arreso al sonno. Si entra in un’atmosfera di sogno che accompagnerà tutta la drammatizzazione. Nel dormiveglia sente dei versi che sono di Machado: Ayer soñé que veía/…26 e si riscuote. Si affiancano il Chierico e successivamente il Letterato Moderno che descrivono la struttura del Paradiso, e si interrogano sulla sua essenza. Vi è un insieme di citazioni da Coleridge e da Sant’Agostino.

26 Verso iniziale di una quartina di Machado: Ieri sognai che vedevo/ Dio e che a Dio parlavo;/e sognai che Dio m’udiva…/Di poi sognai che sognavo.

Dopo questo Prologo la scena cambia:
“La scena si compone sotto la specie di una vasta cupola leggermente inclinata in modo da risultare visibile da tutti gli spettatori. Luci si
accenderanno in corrispondenza dei singoli corpi celesti, nei cui cieli si
manifestano al Viator gli spiriti beati. Le loro apparenze corporee sono
fittizie e particolari accorgimenti contribuiranno a dissimularne in varia
maniera i lineamenti”27.

27 Nel Paradiso i volti dei Beati si distinguono appena nel cielo della Luna: Quali per vetri trasparenti e tersi…tornan d’i nostri visi le postille (Par. III 10-18), negli altri cieli i beati compaiono come luci e splendori.

Riassumo brevemente la successione degli episodi28.
La prima scena è centrata sul I del Paradiso.
L’Auctor declama i primi versi della Cantica. Compaiono Beatrice e il Viator, e Beatrice spiega al Viator che non sono più in terra, ma sono saliti al cielo della Luna.

28 I personaggi del Paradiso che compaiono sulla scena sono: Sant’Agostino, Beatrice, Piccarda (canti III-IV), Giustiniano (canto VI), Cunizza (canto IX), Folchetto di Marsiglia (canto IX), San Tommaso d’Aquino (canti X-XI-XIII), Bonaventura da Bagnoregio (canti XII), Salomone (canti XIII-XIV), Cacciaguida (canti XVI-XVII-XVIII), l’Aquila (canto XVIII), Pier Damiani (canto XXI), Benedetto da Norcia (canto XXII), i santi Pietro, Giacomo, Giovanni (canto XXIV XXVI), Bernardo (canto XXXI-XXXIII), Sibilla Cumana (canto XXXIII, 66).

All’inizio della seconda scena siamo nel cielo della Luna.
Il Letterato Moderno spiega che il Viator è in una condizione d’inferiorità rispetto ai Beati con i quali dialoga, infatti questi ultimi: gli leggono i pensieri, gli fotografano il cervello, benché non direttamente ma attraverso la suprema luce di Dio… Il Viator si trova dunque, in rapporto a loro, nella condizione di chi non vede ed è visto, di uno che è nudo e non lo sa e anche sapendolo non avrebbe mai di che coprirsi29.
Si sale al cielo di Mercurio dove compare Giustiniano.

29 Giustamente Mango commenta: le anime parlano con Dante ma guardano oltre di lui, gli occhi immancabilmente rivolti a tendere all’infinito. (Mango, cit, p. 45).
Per il vedere dei beati vedi Par. XVII 13-18; 37-45. 

Nella terza scena ascendiamo al cielo di Venere: gli spiriti amanti. Il Letterato spiega perché due signore, Cunizza da Romano e Raab, che pur non si negarono alla sete, / di ciò che in Terra chiamano amore30, si trovino in Paradiso: esempi d’amore terreno sublimato nel divino. Cunizza illustra la sua vicenda terrena: Perché mi vinse il lume d’esta stella, etc.
Contemporaneamente “scorre una serie d’immagini suggerenti situazioni erotiche dove agisce, in una sorte di flash-back, la stessa Cunizza”. In soccorso interviene un testimone d’eccezione, Ezra Pound, il quale recita passi dei suoi Cantos XXIX e VI (dedicati a questa giovane donna), che si intrecciano con il discorso di Cunizza.

30 All’inizio della terza scena il Letterato recita una poesia composta dallo stesso Giudici, contenente questi versi.

Cunizza indica a questo punto Folchetto di Marsiglia che, recitando un misto di versi in provenzale31 e del Canto IX del Paradiso, introduce (come avviene nel Poema) la seconda signora: la meretrice Raab, della quale il Chierico legge la storia dalla Bibbia.

31 E pos Amor mi vuol honrar…, l’inserimento dei versi di Folchetto è originale di Giudici e non c’è traccia nella Commedia.

Scena quarta. S’illumina a questo punto il simbolo del cielo del Sole: gli spiriti sapienti. Tommaso d’Aquino (frate domenicano come si sa) intesse le lodi di San Francesco (Par. X-XI), e una voce fuori campo recita il Cantico delle Creature.

Nella scena quinta campeggia Bonaventura da Bagnoregio, al quale è affidato l’elogio di San Domenico (XII). Ma il Santo viene interrotto dal Chierico e dal Letterato Moderno, i quali ricordano le scelleratezze dell’inquisizione domenicana e le tante vittime del loro Gott mit uns.
Con la sesta scena ci troviamo nel cielo di Marte. Si fa incontro al Viator Cacciaguida. I due si riconoscono e Cacciaguida tesse il suo elogio dei costumi della Firenze antica. Giudici allora prende spunto per inserire una poesia di Giacomo Noventa (in dialetto veneziano), recitata da una voce femminile fuori campo. Il Viator chiede a Cacciaguida di fargli conoscere quale sarà il suo futuro e qui s’inserisce (provocatoriamente) l’indovino Tiresia (con femminee mammelle raggrinzite) del terzo movimento di The Waste Land, con la sua visione-descrizione di un rapido amplesso metropolitano. Cacciaguida riprende, quindi il suo discorso e pronuncia la sua profezia: Tu lascerai ogni cosa diletta

Segue il passaggio al cielo di Giove e poi a quello di Saturno (settima scena). Sempre nella settima scena si passa poi nel cielo delle Stelle Fisse e qui l’Auctor descrive la visione dell’aiuola che ci fa tanto feroci.
Il Chierico recita alcuni versi di Villon32.

32 Finablement, en escripvant,/ Ce soir, seulet, estant en bonne... Nello scrivere intento finalmente/ stavo stasera ed ero solo e quieto…François Villon, Le lais (Il Lascito), XXXV.

Ottava scena. “Nel cielo delle Stelle Fisse la cupola è tutto uno sfavillìo di minuscole luci”. La scenografia è quella di un’aula di tribunale. Il Viator sostiene l’esame sulle tre Virtù Teologali (Par. XXIV-XXVI).
Beatrice svolge per il Viator la perorazione. Intervengono Pietro, Giacomo e Giovanni. Giudici vuole sulla scena altri due personaggi. Adamo, “silenzioso testimone dell’umanità intera”; l’Uomo del Pubblico, che prenderà la parola alla fine e si rivelerà essere Kafka. L’Uomo del Pubblico interviene (non invitato) asserendo che solo con la cacciata dell’uomo il Paradiso si è potuto salvare e viene rimproverato da Pietro.

Nell’ultima scena dal cielo delle stelle fisse passiamo al Cristallino e infine all’Empireo. Dei canti tra il XXVIII e il XXXIII sono riportati diversi frammenti, Entra in scena Bernardo che recita la preghiera alla Vergine. Vi sono brevi scambi tra il Chierico e il Letterato Moderno, nei quali viene ribadita la fede per il materialismo storico guidato dalla teologia (e qui si citano Benjamin e Robert Frost). Alla fine di tutto, mentre il Viator si accascia, vinto dai fulgori dell’Empireo, l’Auctor riconosce che la memoria della visione celeste si è persa (Par. XXXIII 58-66), come al vento si perdevano le sentenze di Sibilla. Dovrebbero seguire i versi conclusivi della Cantica, ma, come si ricorderà, li abbiamo già incontrati all’inizio. Di conseguenza la chiusa viene notevolmente modificata da Giudici che elabora la similitudine della Sibilla. Un Coro Di Voci Chiare domanda: Che cosa vorresti, Sibilla? L’indovina risponde: Morire, morire33.

33 Il riferimento è all’epigrafe di The Waste Land sulla Sibilla Cumana, tratta dal Satyricon di Petronio Arbitro.

Personalmente trovo ci sia una relazione tra questa conclusione e quanto Giudici scrive nella Notizia: quale altro desiderio, se non di morire, dovrebbe nutrire il poeta una volta apposta la parola fine alla sua opera capitale? Infatti la stesura degli ultimi canti ha coinciso con gli ultimi mesi di vita di Dante (p. 84).

In questa riscrittura c’è molto dell’esperienza letteraria e delle letture
di Giudici. Le citazioni di autori antichi e moderni sembrano come appunti presi via via che andava avanti la lettura. Si può dire che viene descritto non tanto l’incontro con Dante e il suo poema, quanto l’incontro di Giudici con se stesso che legge Dante34.

34 Simona Morando, Giudici/Paradiso, in La trilogia dantesca di Federico Tiezzi, in Dante e l’arte I, 2014, p.135.

Conclusione

Queste tre drammatizzazioni della Divina Commedia sono state composte alla fine del secolo breve. Un secolo che ha visto i poeti ricorrere al realismo, al plurilinguismo e al pluristilismo di Dante come chiavi per poter descrivere i drammi e le paure causati dai tragici avvenimenti del ‘900: le due guerre mondiali, la Shoah, la bomba atomica, la guerra fredda, la Corea, il Vietnam, il terrorismo. Accanto lo sviluppo industriale, l’urbanizzazione, l’emergere di nuove classi sociali35.

35 Vedi: Filippo Silvestri, cit., pp. 20-22

Scrive Luzi: La cultura del nostro tempo si è riappropriata di Dante strappandolo al dantismo puramente accademico e facendolo diventare un elemento suo, vivente36.

36 Mario Luzi, Eterna lettura in Letture Classensi, 30/31, 2002, p.28.

Infatti tre grandi poeti hanno voluto partecipare, sul limite del secolo, al coraggioso e rischioso progetto teatrale di Federico Tiezzi.
Ovviamente non era da loro proporre una mera recitazione del testo, e d’altro canto la Commedia è congegnata in modo così perfetto, è così nota, che era difficile pensare ad una alterazione delle terzine (anche se qualche tentativo provocatorio è stato fatto da Sanguineti e da Giudici).
I poeti potevano intervenire sulla scelta degli episodi da rappresentare; sull’allestimento scenico che poteva servire a introdurre interi episodi o sostituire brani del Poema puramente descrittivi; e, quasi in “contrappasso” con la tendenza degli autori novecenteschi di inserire nelle proprie poesie versi, lacerti o ricordi danteschi, introdurre accanto alle terzine del Poema poesie e brani di autori antichi e moderni, a modo di sommesso commento o di attualizzazione di alcuni episodi. Quasi sottolineando gli aspetti sperimentali già presenti nel testo di Dante: il plurilinguismo e il pluristilismo. Approfondisco alcuni elementi.

La sequenza degli episodi e i discorsi delle anime sono quelli della Commedia.
Apposite didascalie descrivono le ricercate scenografie, che presentano elementi fantastici e innovativi. Sono molte, ma qui ne ricordo solo alcune: all’ingresso di Malebolge Sanguineti colloca la proiezione della Torre di Babele di Brueghel capovolta, il Purgatorio di Luzi si apre sull’immagine di una base artica, nel Paradiso di Giudici c’è una cupola leggermente inclinata (in modo da essere visibile dagli spettatori) sulla quale sono riprodotti i simboli dei pianeti.

I discorsi dei dannati o dei beati sono accompagnati da citazioni e poesie antiche e moderne (come del resto succede nella Commedia, penso ad esempio a Casella che canta addirittura una ballata dello stesso Dante, ad Arnaut Daniel che recita versi in provenzale e come dimenticare il Pape Satàn…). Sono introdotti brani di antichi commentatori (Boccaccio, Benvenuto), di filosofi (da Sant’Agostino a Frost), di poeti medievali (le ballate (in provenzale) di Chrétien de Troyes e di Folchetto di Marsiglia, il Cantico delle Creature di San Francesco, ma soprattutto di poeti moderni (Pound, Machado, Eliot, Kafka, Noventa, Coleridge); incontriamo anche brevi liriche dei poeti stessi: Luzi dà addirittura come sottotitolo al suo Purgatorio il verso: La notte lava la mente, della poesia omonima che sarà poi presente per intero nel testo.

In conclusione a me sembra che nella Trilogia non confluiscano solo i percorsi letterari personali di Sanguineti, Luzi e Giudici, ma è come se tutte le rivisitazioni di Dante nel ‘900, viste attraverso il cristallo della loro poesia, confluiscano in queste tre drammatizzazioni dantesche.

Filippo Silvestri