Ben scritto, poliziesco (?), labirintico, ma non è tutto qui. Tanti ambienti circoscritti e una girandola di personaggi. Ogni capitolo è una storia a sé, quasi una monografia. Ci ho messo un po’ ad addentrarmi in questa lettura anche perché il giallo, come recita il frontespizio, è un genere che frequento poco.

La copertina dai toni blu/buio e dal dolce viso di donna con una farfalla che chiude la bocca, quasi fosse il sigillo di uno scrigno, mi frenavano.
Mi sono data coraggio proponendo una lettura a “quattr’occhi” e coinvolgendo una persona a me vicina. E così, a piccoli passi, mi sono addentrata nel buio/blu varcando la scura “barriera”.

Potenti il fascino e la suggestione che “la veste” del libro esercitano sul lettore ignaro accanto al titolo, in questo caso, prezioso e colto, specie se letto nella sua interezza: “PER LUIGI (XVI) NON ODIO NÉ AMORE. (Odio soltanto i suoi misfatti)” [cit. Robespierre].

G. A. PALUMBO, Per luigi non odio né amore, Scatole Parlanti 2020

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Chi scrive, di certo, non si fa mancare nulla: per lui la Cultura (sia classica che moderna) è un fatto naturale, spontaneo. Le citazioni e i riferimenti di cui il libro abbonda (la spiegazione si trova a piè di pagina e non sul retro), facilitano il lettore nel cammino e, lungi dall’appesantire lo svolgimento dei fatti, invogliano a fermarsi per approfondire. È dunque una lettura che deve necessariamente procedere senza fretta (FESTINA TARDE) e che conduce ad una sorta di seraficità che appaga.

La Classicità è nel sangue dell’autore e si riflette ovunque, anche sui “figuranti”. Risalta lo scavo interiore dei personaggi, una voglia di approfondimento che ce li rende vicini e reali.
Tanti gli attori e i comprimari di questa fiaba nera (come leggo sulla
quarta di copertina) sul palco della vita di due importanti istituzioni: il
Collegio Principe Amedeo e l’Accademia Amaranta in un paese della
provincia brindisina dal nome immaginario: Candevari.

Ogni personaggio è fortemente caratterizzato (vedi, ad esempio, la cuoca e la governante dell’Amaranta). Ci si sente trasportati nelle atmosfere del Romanzo inglese dell’Ottocento alla Wilkie Collins o in quelle del primo Novecento (v. Irene Nemirovsky).

È un’opera piena di anfratti, di scale, di cavità occulte, di esseri misteriosi, ma anche di scenari di una Natura in apparenza idilliaca (penso alla scena del bagno di Giulio Ancona nel fiume); è un’opera che contiene un universo bello in apparenza, ma ricco di asperità. Bello perché sfaccettato e pieno di aspetti a volte sconcertanti. Un universo di perbenismo, di esteriorità, di ipocrisia, di pettegolezzi, di vox populi, di dicerie, di sentito dire, che ruotano attorno a due poli, distanti solo per censo e classi sociali, ma in realtà molto simili nel bene e nel male: un’Accademia (di rango): l’Amaranta ed un Collegio (aperto a tutti): il Principe Amedeo.

Il MALE cova, s’insinua e ratto s’apprende ovunque anche nelle creature dall’aspetto angelico. Tutto è reso con una leggerezza e una perizia che non possono non catturare il lettore.

Il capitolo ultimo è da Tragedia (greca). Tragedia anticipata da mille indizi e dai toni oscuri di un prologo ricco di mistero. Rimane pur sempre l’epilogo che fa intravedere al lettore un seguito possibile.

Mi chiedo come sia venuta in mente una storia così permeata di Sapere, ma reale e immersa in una quotidianità, se pur talvolta di nicchia, una storia che scava nel profondo dell’anima fino a cogliere le radici di atti e comportamenti.

Gianni Antonio Palumbo

Un dramma moderno-antico a volte claustrofobico, un’armonia delle imperfezioni, in somma. La intensità dei personaggi mi riporta a “Sei personaggi in cerca d’autore”.

Classico e moderno sono miscelati a comporre una nuova e inusitata armonia. Ogni capitolo è un mondo a sé. Tanti atti di una tragedia che si presenta dapprima con un’indagine per la sparizione di un giovane, il nipote della direttrice dell‘Istituto Principe Amedeo. Man mano il nucleo principale si dipana e si ramifica in tanti episodi talvolta (apparentemente) slegati ma che poi, ci offrono il perché del non detto, delle omissioni, dei sottintesi, delle allusioni.

Un mondo sotterraneo.
E un sotterraneo c’è davvero nell’Accademia Amaranta con una vestale, Irene, che appare e scompare. E, come sfondo, c’è il fascino della provincia pugliese (in questo caso Brindisi) con quei modi di dire salentini che la caratterizzano e quegli squarci di paese che ci fanno sentire a casa. Ma certe abitudini e modi di pensare sono universali e cosmopoliti. Non a caso richiamano alla mente opere come I peccatori di Peyton Place.

Il romanzo potrebbe quindi svolgersi ovunque pur nella forte connotazione di un Sud Italia colto e perbenista, un Sud di facciata, un Sud in apparenza solare, dai fondi oscuri e melmosi che ogni tanto affiorano, come in uno stagno le chiazze di vegetazione non verde o variopinta, ma dai colori del fango.

Un omaggio alla Rivoluzione francese, non quella borghese, ma quella “democratica”, che aveva già in sé i germi della Dittatura napoleonica. Il periodo in cui si svolgono gli eventi è circoscritto (se non lo fosse potrebbe essere ambientato nell’epoca che la fantasia del lettore preferisce), ma carico di emozioni. Siamo alla fine degli anni Settanta, in particolare al periodo del 1978 che riguarda il rapimento di Aldo Moro e le dimissioni di Giovanni Leone… È un periodo che ben ricordo in quanto muovevo i primi passi nell’insegnamento.

La Scuola, e tutto ciò che le gravita attorno, sono l’habitat naturale del nostro autore. C’è quindi un omaggio alla Scuola e a tutto ciò che la circonda: la vita vissuta senza sconti per nessuno. Ma è una vita che, pur tra luci e ombre, è permeata di ARTE, dalla Pittura alla Letteratura, dal Cinema al Teatro e alla Musica in uno sguardo d’insieme compiaciuto e appagato.

Questo romanzo è un inno alla Cultura in generale in una sorta di Enciclopedismo di base che affonda le sue radici nel Medioevo (con le Arti del Trivio e del Quadrivio di cui la Commedia è l’esempio più illustre) con quella variabilità e pluralità di toni che contribuiscono a comporre quell’armonia delle imperfezioni a cui fa riferimento uno degli “attori” principali delle vicende, Salvo Molteni.

Giulia Notarangelo