Shakespeare nella commedia La tempesta (atto IV, scena 1a) mette in bocca a Prospero, duca di Milano e mago, la frase: «Noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno».

Dunque, se dobbiamo credere a questo assunto, l’effimera esistenza umana è sostanziata e avvolta dalla dimensione onirica. Meditando sul sogno, Daniele Giancane si è soffermato sull’incipit del poemetto The Dream di Byron: «Duplice è la nostra vita: il Sonno ha il suo proprio mondo, / un confine tra le cose chiamate impropriamente / morte ed esistenza».

Questo input extratestuale sta all’origine dei versi di Attraversammo le porte del sogno (Tabula Fati, Chieti 2021), anche se per rispondere alla propria domanda: «Non viviamo tutti in un sogno, / in una ininterrotta sonnolenza?» (p. 14) il poeta pugliese cita espressamente Byron in inglese, ma introduce una variante semantica nella propria reinterpretazione: «Duplice è la vita / e il sogno ha il suo proprio mondo» (il corsivo è mio).

D’altra parte nell’esergo Giancane riporta in originale i versi 17-19 di The Dream, i quali non sono altro che degli interrogativi sui sogni che fanno da ponte tra passato, presente e futuro e scuotono gli umani con dileguanti visioni: «Ma sono veramente così? / Non è forse tutto un’ombra il passato? Cosa sono? / Creazioni della mente?».

Con questo viatico l’itinerario onirico di Giancane ci proietta subito sull’altipiano di Erevàn (pp. 7-9), che secondo la leggenda fu il primo abitato scorto da Noè dopo il diluvio universale, e da questa «città magica» fa incursioni nella storia antica, nella letteratura, nella mitologia, nella psicanalisi, nella Bibbia e nell’arte. Del resto il fuoco dell’arte trova la sua scintilla proprio nel sogno o, come scrive Viktor Šklovskij: «Il sogno è un archetipo dell’arte».

Giancane ritiene artificiosa la divisione tra veglia e sonno, perché «noi viviamo già in uno stato di veglia febbrile». Per questo si chiede e si risponde dubitativamente: «Chi decise e chiamò vita vitale il giorno / e tempo perso o falso il sogno? / Forse noi fummo creati / per il sogno», per andare incontro «a un’altra verità ignota / a noi diurni» (pp. 11-12). Perciò, appena svegli, dovremmo fissare in narrazione il sogno, non solo per carpirne «i significati profondi», avvertiti come autentici esclusivamente dai sognatori, ma anche per conservare il sentimento dominante prima del dileguarsi del sogno stesso (p. 13).

D. GIANCANE, Attraversammo le porte del sogno, Tabula fati 2021

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Perfezionando la conoscenza delle modalità e delle tecniche oniriche, si potrebbero forse «governare i sogni» e asservirli ai propri desideri, per esempio inducendoli a farci rivivere e dialogare con persone care, come vorrebbe per incanto lo stesso autore: «e il sogno opplà obbedisce: / mia madre appare, / io converso / con la mia bionda genitrice, / lei mi ricorda i vecchi tempi / dell’infanzia, / la piccola casa con l’orto / e le marmellate estive» (p. 15).

Cicerone nelle Tusculanae disputationes (I, 92) scrive: «Habes somnum imaginem mortis eamque cotidie induis (Hai il sonno come immagine della morte e ogni giorno l’accogli)». Giancane, conscio di questa fase del ritmo circadiano, si scopre in bilico tra sonno e stato cosciente: «La piccola morte è trascorsa. Mi desto, / quel mondo notturno è finito, / quest’altro mi appare, confuso e / non so più in quale dei due regni / mi avvierò, traballante» (p. 17). Il poeta si chiede poi, a proposito dei sogni profetici, come mai possano zampillare: «perché tutto è già scritto / nei disegni ultraterreni?» (p. 20).

Imprescindibile è la menzione di Freud, che affermò: «Il sogno è un fenomeno psichico pienamente valido, e precisamente l’appagamento di un desiderio». Ribaltando l’enunciato freudiano, Giancane obietta: «Sigmund proclamò che i sogni non son altro / che i nostri desideri / espulsi dall’inconscio, / ma non sono forse desideri / tutti i nostri atti / quotidiani?» (p. 21). Come valutare, d’altro canto, i pensieri? «E i pensieri sono fantasmi / che attraversano la mente / incontrollati / o esseri reali?» (p. 22).

Spingendosi oltre, l’autore nell’adiacente tappa poetica s’interroga inevitabilmente sul concetto di realtà: «E che significa, alfine, la parola “reale”?» (p. 23). La brevità della vita umana nell’universo sembrerebbe deporre per il subitaneo annientamento di ogni comparsa ipotizzata come effettuale: «Siamo forse noi – che scompariamo in breve nel nulla – / reali?» (p. 24). E nella dimensione dell’eternità, chi avrà maggiore consistenza onirica, l’autore e i lettori oppure i sogni che li «frequentarono la notte, / imprevedibili?» (p. 34).

Quando i sogni sono trasparenti e i personaggi ben individuati in essi, il confine tra giorno e notte, tra individui diurni e figure notturne addirittura si annulla: «Quale differenza con coloro / che incontro per strada la mattina, / quando mi reco al bar / per un caffè rigenerante?» (p. 26). Allo stesso modo, che differenza fondamentale c’è tra un rispecchiamento contemplativo e un sogno? L’esempio del poeta è il seguente: «Ora guardo il giardino», / è mattino inoltrato / e il gatto sonnecchia / al primo tepore / primaverile. / È forse questa immagine / meno labile di un sogno?» (p.33). Il linguaggio del sogno, inoltre, pare tradursi «in metafore», come attingendo alle figurazioni della poesia (p. 27), anche se i suoi procedimenti simbolici richiedono un continuo sforzo interpretativo (p. 28).

Altra citazione ineludibile è quella di Calderón de la Barca e della sua commedia filosofica La vita è sogno. Alla fine del secondo atto il principe Sigismondo, solo sulla scena, sentenzia: «Che è la vita? Una follia. / Che è la vita? Un’illusione, / un’ombra, una finzione. / E il più grande dei beni è poca cosa, / perché tutta la vita è sogno, / e i sogni sono sogni». Gli fa eco Giancane, che scrive: «Forse è davvero tutto un sogno, / come dice Calderon de la Barca / e noi che ci crediamo viventi / non siamo che larve di sogni» (p. 36). La conclusione del poeta, di conseguenza, è che la vera fine degli umani non consiste nella consunzione dell’esistenza, ma nello svanire dei sogni: «E davvero, allora, / tutto finisce / non quando la vita finisce, / ma quando finisce il sogno» (p. 36).

Se Virgilio nell’Eneide (VI, 893-899) ci ha fatto conoscere le geminae Somni portae, una cornea per l’uscita delle ombre veraci e l’altra eburnea per la fuga dei sogni fallaci, Daniele Giancane, con Attraversammo le porte del sogno, ci guida in un viaggio che si snoda in suggestive tappe meditative nelle terre del mondo onirico, per farci scoprire insospettati guizzi del pensiero divergente e l’altrove che abita in noi nel flusso osmotico di vita e sonno.

Marco Ignazio de Santis