Nel 2019, per i tipi dell’editore Solfanelli, ha visto la luce una nuova fatica di critica letteraria del molfettese Marco Ignazio de Santis, «È una scimmia pazza la mente». L’universo poetico di Daniele Giancane. Si tratta di un accurato percorso, in diciotto capitoli, connotati da densità e brevitas, nella produzione dello scrittore barese Daniele Giancane, fondatore e direttore responsabile della rivista letteraria La Vallisa. Quadrimestrale di Letteratura e altro, di cui de Santis è storico redattore.

La monografia desantisiana è il pregevole approdo di una continua attenzione critica del molfettese alla scrittura di Giancane (citeremo, tra gli altri, tutti contributi imprescindibili per chiunque debba occuparsi della
letteratura pugliese e lucana, Periferia centrale). Essa si pone accanto a un altro volume totalmente dedicato al lavallisiano, La fanciulla ermafrodita. Lettura emotiva dell’opera poetica di Daniele Giancane di Angela
De Leo (Solfanelli, Chieti, 2015).

Marco Ignazio de Santis

De Santis è critico raffinato e in grado, nella tessitura dei suoi scritti, di cogliere con acribia l’essenza di una silloge poetica, così come di evidenziarne le ascendenze. Ciò è possibile grazie al sostrato di una doctrina considerevole, che gli consente di collocare qualunque testo nel contesto della tradizione letteraria ed europea, individuando continui addentellati con essa. A queste doti de Santis aggiunge il requisito fondamentale di uno stile elegante, letterario esso stesso, ma sempre connotato da grande chiarezza. Stile che è a tratti impreziosito dalla presenza di latinismi e di numerosi francesismi, che non disturbano affatto il lettore, ma contribuiscono ad accrescere l’aura di preziosità dell’intera operazione compiuta. In più si coglie, nel caso specifico, quella partecipazione alla materia che non impedisce il giusto distacco del critico (che, infatti, coniuga l’esegesi con un’attenta valutazione dei testi, esprimendo chiare preferenze), partecipazione da attribuirsi al senso di sodalità che lega de Santis, e tutti i lavallisiani, al direttore e amico Giancane. Tra l’altro, l’amicizia è uno dei Leitmotive della scrittura del poeta barese e, quindi, anche della monografia di de Santis.

M.I. DE SANTIS, È una scimmia pazza la mente. L’universo poetico di Daniele Giancane,
Edizioni Solfanelli, 2019

Sarebbe un’impresa ostica ripercorrere nel breve spazio di un articolo quello ch’è il lungo itinerario poetico di Daniele Giancane, cui si è recentemente aggiunta la visionaria silloge La terra di «dove». 50 anni di poesia, edita da La Matrice. Tale itinerario è ricostruito da de Santis, partendo dal Giancane barricadiero e apocalittico delle prime raccolte, spirito che non si è mai perduto, ma semmai è stato temperato dall’esperienza. Il volume si chiude con l’esame del momento in cui l’artista medita sul proprio percorso esistenziale e intellettuale nella prima parte di Anima vagabonda, per poi offrire al lettore, nella seconda parte (con la sezione La felicità e altre storie), ancora «versi agili e limpidi sulla felicità, sull’amore, sul destino terrestre, sulla Natura, sull’altrove e sulla caducità umana come scintilla di poesia».

D. GIANCANE, La terra di «dove», 50anni di poesia, Edizioni La Matrice, 2019

Ci sembra che molto acutamente de Santis ne abbia individuato le tre
direttrici nell’utopia, nello sperimentalismo e nell’eclettismo. L’eclettismo ha condotto e conduce Giancane a sperimentare varie forme d’arte, dalla poesia (la prediletta) alla saggistica (è stato docente di Letteratura dell’infanzia presso l’Università degli Studi di Bari e di tale settore, spesso trascurato, è studioso raffinato), dalla critica militante al teatro e alla narrativa, soprattutto per i giovanissimi. Animatore infaticabile di poesia, il poeta ha lavorato per suscitare la ‘scintilla’ del verso, attraverso il metodo Koch, nei giovanissimi, ma anche nel contesto delle carceri.

L’elemento dell’eclettismo si intreccia con la tendenza allo sperimentalismo, sempre viva all’interno della produzione di Giancane. Ogni raccolta ha una sua fisionomia specifica ed è connotata da una ricerca che mai si adagia sugli obiettivi già conseguiti. Il primo Giancane ha un impatto straordinario, per effetto dell’immaginario apocalittico che squaderna le storture di una civiltà occidentale sul punto di implodere. In questa fase, il poeta non disdegna le punte dell’invettiva, dello scatologico e, a tratti, di un felice surrealismo, frutto di uno sguardo semprevergine sulle cose, capace di dare nuova vita alle parole, anche a quelle apparentemente logore e abusate. E che dire del profetismo di alcuni sezioni di Io & la scimmia pazza, in cui la magia verbale procede di pari passo con le «liane (…) di zigomorfi fiori tropicali» arrotolate dalla mente-scimmia pazza che dà il titolo alla raccolta?

Lo sperimentalismo innerva tutta la ricerca di Giancane sul versante della poesia popolare e dell’immaginario religioso o amoroso collettivo: si considerino, per esempio, Il tempo rimasto e i Santi in versi, connotati da freschezza e da un’impronta personalissima (si veda la bellezza di quel «sussulto / di perle e coralli» della morte del Cristo).

Il terzo fattore è quello dell’utopia che ci sembra la grande cifra di chi, attraverso la poesia, denuncia l’involuzione costante della nostra società, spesso esplorando una varia umanità derelitta o vittima del tempo della stasi (si considerino i personaggi del quartiere Libertà della prima sezione dello Specchio a tre facce) oppure immergendosi, nella trilogia dell’uomo interiore, nelle profondità della psiche compiendo – come Adorno auspicava per la poesia – un atto profondamente sociale. Perché solo riappropriarci della nostra anima ci aiuterà a cogliere l’anima delle cose e delle creature che
ci circondano.

D. GIANCANE, Specchio a tre facce, SECOP Edizioni, 2012

È l’utopia di una fratellanza cosmica che spinge Giancane – per recuperare un’espressione pascoliana – a cogliere nelle cose «il loro sorriso e la loro lacrima». A cercare la poesia non negli sdilinquimenti verbali, ma nel proprio giardino, per poi vederla ipostatizzarsi nella tartaruga (I canti della tartaruga), apparentemente così umile eppure più resiliente delle grandi civiltà del passato e dell’uomo stesso.
Senso utopico coniugato con la costante tensione verso l’Assoluto, che di volta in volta assume i contorni della fede bahá’í o della ricerca di Dio, sempre desiderato, ma mai assurto a saldo possesso della ragione.
Assoluto di cui vessillifera è la poesia, Dea ambigua che può squarciare
a tratti il velo di Maya e che si presenta ora nelle vesti di una fanciulla
ermafrodita ora nello sguardo enigmatico della ragazza di Pompei. Poesia
che, come evidenzia il montenegrino Dragomir Brajković nella Spoon
river
giancaniana di Anima vagabonda, resta innegabilmente «l’unica via
giusta».

D. GIANCANE, Anima vagabonda, Tabula Fati, 2018

Gianni Antonio Palumbo