Riporto oggi la mia prefazione(di qualche anno fa) a un testo di cultura popolare di Grazia Galante, la grande studiosa garganica.

Grazia Galante – ormai da diversi anni – va conducendo una serrata ricerca sulla cultura popolare garganica, tant’è che si può considerare un punto di riferimento obbligato per gli studi nel settore, un po’ come è avvenuto per Grazia Stella Elia per quanto riguarda il territorio di Trinitapoli o Sabino Armagno per Canosa di Puglia o ancora Marco I. de Santis per Molfetta (ma quest’ultimo studioso ha allargato le sue ricerche dialettologiche sino a dar vita ad un vocabolario dialettale di Barletta).

Ora, che sia una donna ad assumersi questo compito certamente arduo (si tratta di recuperare, attraverso interviste, studi, comparazioni, materiale folklorico ancora in gran parte sconosciuto o caduto nell’oblio) non è casuale: basterà rammentare che, in Puglia, la prima raccolta di fiabe popolari si deve alla straordinaria figura di Maria Conte di Cerignola nel 1910. E che – in Toscana – un lavoro similare si deve ad Emma Perodi. Donne che vanno ad aggiungersi valorosamente ai nomi ‘classici’ del mondo demologico, da Pitrè a Nigra, sino(nel territorio appulo-lucano), a Bronzini, Noviello, Giovine, La Sorsa, e tanti altri ancora che sarebbe ora troppo lungo elencare.

Grazia Galante,dopo corposi testi precedenti (ricordo soprattutto un grande lavoro su fiabe e racconti di San Marco in Lamis) dà alle stampe i Giochi di una volta, altro poderoso testo di oltre duecento pagine, che raduna centinaia di giochi popolari,distinti in ‘Giochi della prima infanzia’, ’Giochi femminili senza giocattoli’, ‘Giochi femminili con giocattoli’, ’Giochi maschili senza giocattoli’, ’Giochi maschili con giocattoli’, ’Giochi per ragazzi di entrambi i sessi senza giocattoli’, ’Giochi per ragazzi di entrambi i sessi’, sino alle Conte’ finali, che sono sostanzialmente degli scioglilingua, delle assonanze o rime giocose, a volte sul limite del surreale o del non-sense (ma il mondo del non-sense, si sa, è soprattutto quello inglese di Lear).

G. GALANTE, Giochi di una volta, Levante editori, Bari 2016

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Il libro della Galante ci immerge in un universo che ormai non c’è più: quella che è stata definita ‘la civiltà del vicolo’. Una civiltà in cui era la ‘strada’ il luogo dei giochi, dell’aggregazione, delle amicizie, della competizione.

La strada(o, appunto, il vicolo) era il ‘luogo formativo’, quello in cui si era costretti a crescere, a confrontarsi con gli altri, a risolvere problemi. D’altra parte – e lo ricordo bene – la civiltà di quei tempi (non troppo lontani, in verità) era, con tutti i suoi enormi problemi di sopravvivenza e di scarse opportunità di emancipazione sociale, era una sorta di ‘comunità educante’: gli adulti, indistintamente, erano gli educatori dei ragazzi.

In assenza del padre – magari in quel momento al lavoro – gli altri adulti intervenivano, se i ragazzi combinavano qualche marachella o davano disturbo. E il padre, al ritorno, saputo della cosa, ringraziava il vicino del suo intervento (e magari puniva severamente il figlio).

Voglio dire che il libro della Galante ci riporta a quel mondo in cui si poteva giocare in strada, anche perché passavano raramente delle auto. Ricordo piuttosto dei traini, che tornavano, la sera, dalle campagne.

Il libro di Grazia Galante diviene così una sorta di bibbia del gioco della civiltà contadina, un testo da tenere sul comodino e da sfogliare, appena si ha un momento libero, per ritrovare un filo rosso ormai quasi dimenticato. Rivediamo i giochi che tutti facevamo, dalla lippa a ‘Ntozzamùre’, dai giochi con le biglie al ‘soffio’ (le ragazzine giocavano invariabilmente con le cinque pietre). Tanti di questi giochi, quindi, appartenevano non solo alla cultura popolare di San Marco in Lamis e più genericamente del Gargano, ma a tutta la Puglia ed anzi a tutto il Sud.

Occorre qui soffermarsi su una considerazione generale: è impossibile definire con certezza il luogo di nascita di un lacerto di cultura popolare (una fiaba, un gioco, una contina). Ogni fiaba – ad esempio – si rintraccia in vari luoghi, sia pure con le inevitabili varianti: ho rintracciato la fiaba La gatta che si voleva maritare in decine di paesi pugliesi e lucani. Possiamo forse dire dove è nata questa fiaba? (Potremmo ampliare il discorso: le stesse fiabe si ritrovano anche in culture e nazioni diverse). Così è per i giochi: dov’è nato il gioco delle cinque pietre? Chi lo sa. Ciò che a noi importa – in ricerche di questo genere – è che quel gioco veniva praticato a San Marco in Lamis. Che le ragazze di quel luogo sono cresciute anche con quel gioco, si riconoscevano (e magari, guardandosi indietro, le donne di oggi ancora si riconoscono) in quel gioco.

Ecco perché sfogliare questo libro vuol dire fare illuminare improvvisamente la memoria, farci ridiventare bambini per un attimo. Tutto questo è anche -fortemente – un recupero di identità: noi pugliesi siamo così (coi nostri pregi e i nostri difetti) anche perché abbiamo giocato a quei giochi, ascoltato quelle fiabe, ci siamo riscaldati al braciere e giocato a pallone per la strada.

Questo di Grazia Galante è – quindi – un lavoro importante, che si basa certamente anche sullo studio di altre ricerche da parte dell’Autrice: ritrovo in bibliografia il testo di Felice Alloggio, i lavori del collega Pasquale Caratù, la felice citazione del grande Pasquale Soccio, i lavori di Angelo Capozzi e tanti altri formidabili raccoglitori di cultura popolare.

La Galante, insomma, è una studiosa che procede scientificamente, si documenta, poi indaga, rintraccia, recupera, strappa all’oblio.
Si tratta di un libro di grande valore. Una pietra miliare dei giochi popolari nella nostra regione.

Daniele Giancane