Riporto qui un articolo che pubblicai alcuni anni fa sul poeta polacco Alexander Nawrocki (da poco scomparso), col quale – grazie all’infaticabile opera di Ioanna Kalinowska – si è messo a punto uno straordinario gemellaggio letterario con la Polonia.

«Venite, o poveri, con letizia e bevete senza spese l’acqua che vi fornì Bona regina di Polonia». Questa scritta molti baresi devono aver letto, nell’anno del Signore 1536, allorquando la duchessa di Bari – granduchessa di Lituania e Russia, nonché regina di Polonia – fece edificare molte cisterne di pubblica utilità, a Bari, sapendo bene che la maledizione atavica dei pugliesi, a parte le scorrerie dei Turchi e le sistematiche occupazioni di eserciti stranieri, era pur sempre la siccità, che avrebbe continuato a essere un grave problema sino al Novecento.

Ma chi era Bona Sforza? Era figlia di Isabella Sforza milanese, famiglia potente che si trovò impigliata in lotte senza quartiere, tanto da convincere Isabella e l’infante Bona a fuggire verso il Sud e poi a stabilirsi a Bari, accompagnate da molte famiglie milanesi che poi si integrarono perfettamente: i Capitaneo e gli Scarli avrebbero fatto la storia del territorio. Isabella si dette a opere gigantesche, a Bari (ottenne anche che ogni convento affidasse a due frati il compito di insegnare alla popolazione), mentre Bona cresceva nel castello cittadino, divenuto centro di umanisti, medici, letterati (cfr. Angela Campanella, Bona Sforza, regina di Polonia, duchessa di Bari, ed. G. Laterza, 2008).

A. CAMPANELLA, Bona Sforza. Duchessa di Bari, Regina di Polonia, ed. G. Laterza, Bari 2008

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Bona è allieva nientemeno che del Galateo (ma la mamma era stata addirittura allieva di Leonardo da Vinci!). A sedici anni si trasferisce a Napoli, per una malattia e lì si trattiene alcuni anni. Non sapeva cosa il destino covava per lei: Sigismondo I, re di Polonia, vedovo e senza discendenti maschi, la chiese in moglie. Certo, lei era molto più giovane, ma accettò e si trasferì in Polonia con una corte di 345 tra dame e gentiluomini. In Polonia fa cose straordinarie (oltre a dar alla luce sei figli): porta a Cracovia l’arte italiana, fa costruire castelli e fortificazioni, è un’abile stratega politica, sostituendo a mano a mano il marito.

Non dimentica Bari, però, di cui è duchessa: ordina di edificare molte torri costiere, rinforza la muraglia, fa enormi donazioni in favore di Modugno, acquista Capurso, Triggiano, Rutigliano. A Bari scoppia la gelosia: e come, la regina Sforza tiene più a Modugno che a Bari?

Il richiamo di Bari è forte: Bona Sforza decide di lasciare la Polonia, spinta anche da mire politiche. In Polonia la scongiurano di non lasciare Cracovia, ma lei è irremovibile, adducendo ragioni di salute: a Bari il clima è mite, si potrà riprendere dai malanni, in Polonia fa troppo freddo. Sbarca a Bari nel 1556, ma la sua vita è alla fine: forse avvelenata per ragioni di Stato, muore nel novembre del 1557. Viene tumulata a Bari (nella Cattedrale) ma la figlia la fa trasferire a San Nicola, immortalandola con un mausoleo. E adesso è lì, ritratta mentre prega, tra le statue di San Nicola, patrono di Bari e San Stanislao, patrono della Polonia: l’epigrafe recita: «In memoria di Bona, regina di Polonia, duchessa di Bari…».

Mausoleo di Bona Sforza. Basilica di San Nicola, Bari.

Per questo il legame tra baresi e polacchi è fortissimo: c’è la storia di mezzo. Non per nulla sulla via di Casamassima si erge il cimitero polacco. Non per nulla lo Stadio e l’aeroporto sono dedicati a Giovanni Paolo II, grande papa polacco.

Ecco perché la venuta a Bari, per un ciclo di conferenze, incontri nelle scuole, presentazioni (dal 9 al 14 maggio), del grande poeta polacco Alexander Nawrocki non è un caso, ma la continuazione di una sorta di gemellaggio. La Polonia, che ha espresso cinque premi Nobel (esattamente come l’Italia), nota per intellettuali di grande spessore come Grotosky e Baumann (a parte l’antico Copernico), produce una letteratura assai fiorente: basterà citare – negli ultimi decenni – la Szymborsa, poetessa di straordinaria levatura e lucidità.

Su questa linea di grande letteratura si situa Alexander Nawrocki, poeta, romanziere, traduttore: ha pubblicato quindici volumi di poesia, tre di narrativa, testi di studio sullo sciamanesimo. Dirige la rivista letteraria “Poesia oggi”, ha ricevuto altissime onorificenze in varie nazioni ed è stato tradotto in ventisei lingue.

Ma com’è la poesia di Nawrocki?

A leggere le poesie tradotte dal polacco da Joanna Kalinowska (presidente dell’associazione Italia-Polonia, che ha sede a Taranto), si ha immediatamente l’idea di una poesia intensa e coinvolgente, che mira al cuore delle cose. Non c’è retorica, in questi testi, né facile lirismo, ma una ininterrotta riflessione sull’esistenza umana e sulla storia, che si ripete incessantemente, come scrive in Adunata con Amleto:

Gli omicidi
continuano come prima… niente finisce,
niente ricomincia

I tempi sono sempre violenti e dolorosi, con l’aggravante che oggidì non ci si può più difendere neppure con la spada: «Con la spada – ragazzo – nessuno può salvare l’onore». Non si può neppure giocare alla tragedia, perché dal dramma oggi si può ricavare una farsa di successo.

Dobbiamo ammettere che non soltanto gli animali, ma anche le cose sono migliori di noi umani: «Nessuno come loro sa ospitare la luce». Gli umani sono buoni solo nel sonno, al risveglio riprendono iniquità e sopraffazione.
È allora che le cose cominciano a piangere. Eppure, nel turbinìo drammatico della storia, c’è qualcosa che si salva e che salva: l’amore.

Nella splendida Innamorati il poeta scrive che non bisogna disturbare gli innamorati, perché il loro è un momento magico. Per loro «più strade portano gli uccelli, / maggior numero di onde desidera il mare… / non disturbarli prima che la vecchiaia li colpisca in pieno». Ma se l’amore (o un momento felice) è finito, non cercare di duplicarlo, non volerlo ripetere: «Non ripetere un attimo, una volta vissuto in bellezza».

Il fuoco brucia sempre, ma da lontano, è inutile tentare di riavvicinarsi, quel momento è irripetibile, lascialo nel ricordo.
È l’amore che può dare un senso, quasi contro il destino che ci vuole perdenti.
Nemmeno Dio ci aiuta, anzi «è impegnato a far soffrire la terra».
Nemmeno il rammemoramento dell’infanzia, quando abbiamo perduto la dignità.

Solo l’amore e la testarda voglia di sfidare il futuro, di guardare in alto, dove le stelle (forse) promettono la speranza.

Può sorprendere che la poesia di Nawrocki non abbia una forte tensione sociale. Non c’è alcun accenno, tra le poesie tradotte, agli eventi politici polacchi degli ultimi decenni, da Solidarnosc e Walesa al cardinale Vizinsky. Quella di Nawrocki è poesia esistenziale, densa di riflessioni e metafore sulla vita, con un lento e fascinoso monologare, con un pizzico di scetticismo sulle «umane sorti e progressive» del mondo.

Forse la Polonia – finite le sbornie del nazismo, del comunismo e dell’anticomunismo, entrata a pieno titolo nell’Unione europea – ha finalmente il desiderio di non lasciarsi andare a nessuna ideologia? Ha finalmente voglia – semplicemente – di guardarsi dentro?

Nawrocki, con la sua poesia, ci mette davanti ad una sorta di profonda riflessione sul nostro andare quotidiano, sulle pene che scontiamo inevitabilmente, ma con l’animo sempre disponibile a ricominciare, a sperare in un futuro migliore.

Daniele Giancane