Con gli amici albanesi è nata- da molti anni- una splendida cooperazione, che ha dato luogo a ben quattro antologie e ad un rapporto di amicizia e di scambi. Negli ultimi anni la collaborazione si è incentrata essenzialmente tra ‘La Vallisa’ e i poeti di Saranda (Sud dell’Albania), dove ogni anno viene inviata una rappresentanza del gruppo ‘La Vallisa’, in occasione di un convegno internazionale.

Hanno sinora partecipato in tanti: a parte il sottoscritto, cito Maurizio Evangelista, Alfredo Vasco, Anna Santoliquido, Nicola Accettura, Donato Altomare, Mara Venuto, Teodora Mastrototaro, Loredana Pietrafesa, Silvano Trevisani, Ioanna Kalinowska, Cosimo Rodia, Nunzio Tria, Enrico Bagnato ed altri ancora.

È nata così una grande amicizia, nel segno di sentimenti e valori comuni e della poesia come ponte fra le culture. Riporto qui alcuni testi di Andrea Zarballa, uno dei poeti più importanti d’Albania.

Andrea Zarballa

Andrea Zarballa è nato nel 1941 in Llazat, un paese della provincia di Saranda. Ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento, ma ha lavorato come giornalista. Appartiene alla minoranza greca in Albania e ha pubblicato volumi di poesia, prosa e vari studi in entrambe le lingue, greco e albanese. Vive tuttora nella città di Saranda.

NEI CAMPI DEL SALENTO

Laggiù nei campi del Salento, tra gli ulivi,
strillava la piccola fisarmonica
e seguiva il tamburello, come un bambino rauco dai pianti.

Laggiù negli aridi campi del Salento
una fanciulla emerge dalle onde del Mediterraneo,
scuote la testa portando i capelli all’indietro,
a piedi nudi calpesta e ricalpesta la terra rovente.
L’ulivo non resiste più, si sradica dal suolo,
sbatte e squassa con furia i suoi rami
e balla con radici estirpate.

Sono in due, ormai, a ballare la Tarantella:
Svuotatevi o mari, svuotatevi o secoli!

Laggiù nei campi del Salento, la coppia millenaria
fu morsa dal Ragno della Nostalgia.

GLI SRADICATI

Gettarono nella sacca le stoviglie e i cucchiai di legno,
i timbri del pane per le messe con la geometria dell’ Adorazione,
un frammento dell’iconostasi con un grappolo d’uva e una foglia di vite
e perseguitati fuggirono nei campi.

Nella fretta si resero conto di aver dimenticato il nome,
tornarono indietro, lo trovarono
mentre scricchiolava e crepitava tra le fiamme,
e misero anche quello nella sacca.

La terza notte, varcati cinque monti dalla patria,
videro tra le querce una fioca luce,
che né la pioggia né il vento riuscivano a spegnere.
Allora si inginocchiarono e si fecero il segno della croce per tre volte.

Scavarono una fossa profonda e coltivarono il nome come una pianta
Videro che da subito mise le radici
e crescendo allungò i rami;
vi appesero le sacche.