Il romanzo è una sorta di sapido, saporito, scanzonato racconto in prima persona di un adolescente speciale che si trova, suo malgrado, ad essere protagonista di una indagine. Ci troviamo davanti ad un Diverthriller, neologismo perfetto dell’autrice che sintetizza lo spirito della storia che «punta a scoprire questo difficile universo e a richiamare l’attenzione sull’unicità e la complessità delle relazioni con le persone affette da
autismo».

Un non so che di frizzantino accompagna il romanzo fin dalle prime pagine, ed è questa vivacità che lo rende leggero e gradevole nella lettura, come spesso accade per i romanzi della Nostra: penso a Ciliegie a mezzanotte. Il suo orizzonte è ampio e variegato in quanto non esita ad affrontare tematiche, anche delicate e spinose, che riguardano ragazzi e adulti.

Questa è la volta di un disagio che interessa la nostra società: l’autismo. Non è la prima volta che Giulia Poli Di Santo affronta patologie di un certo spessore e che hanno notevoli ripercussioni nel nostro vivere quotidiano.

Giulia Poli Disanto

Nel precedente Ciliegie a mezzanotte, già citato, l’obiettivo della scrittura era puntato sul “fronte” anziani e Alzheimer. Questa volta c’è la volontà di analizzare, di scandagliare, di scendere nei dettagli dell’autismo, aprendo ai lettori universi nuovi ed imprevedibili e mostrandoci come anche il disagio possa contenere in sé delle risorse e dei punti di forza.

G. POLI DISANTO, Ciliegie a mezzanotte, Negroamaro, 2012

Emerge a un certo punto, nel protagonista, un’energia interiore, una grinta, una specie di inesauribile titanismo adolescenziale, sempre e comunque guidato e incanalato dall’amore familiare e dalle mani esperte di docenti e di educatori.

C’è nell’autrice l’intento di dare ordine al CAOS, di inquadrare il disagio rendendocelo comprensibile, pur nelle sue prevedibili imprevedibilità, come un qualcosa di naturale e di ordinaria amministrazione. Un fenomeno che potrebbe toccare tutti noi, costringendoci ad affrontarlo e a conviverci, pur in situazioni continuamente ossimoriche.

L’intento di chi scrive è mostrare che nulla, anche in questi casi, è impossibile. E qui entra inevitabilmente in gioco l’affetto materno che con occhio indulgente, eppur attento, colora gli eventi, anche quelli spiacevoli, presentandoceli sì nei loro chiaroscuri, ma con l’intento di dare al lettore una visione pur sempre scanzonata e combattiva della problematica, entrando nei suoi labirinti e indicandoci la via di una consapevole accettazione e valorizzazione delle risorse di cui dispone anche chi ne è affetto (cit.p.15-18).

G. POLI DISANTO, Il Ragazzo delle Arance, L’erudita, 2019

È una storia di quotidianità che assume i contorni del poliziesco e in cui il protagonista, Tobia, diventa quasi un eroe, uno che non si darà per vinto e lotterà sempre e comunque per affermare la sua innocenza.

In questo Diverthriller si gioca il buon nome di un ragazzo, ingiustamente accusato di furto, e l’autrice tira in ballo illustri precedenti: da Poe a Dumas, fino a contemporanei come Gabriella Genisi e la sua commissaria Lolita Lobosco per poi autocitare se stessa, autrice di tante storie per ragazzi che mi hanno visto spesso coinvolta, avendole io adottate come testi narrativi per i miei alunni ed avendo a volte contribuito, sempre con i discenti, allo svolgimento e soprattutto all’esito finale (Ciliegie a mezzanotte).

Con questo suo ultimo, Il ragazzo delle arance, Giulia Poli Di Santo ha reso omaggio al proprio cuore di mamma, mettendo in evidenza e liberando dai pregiudizi una patologia tanto diffusa che porta il nome di AUTISMO.
È riuscita a mostrare luci ed ombre con naturalezza e competente semplicità, facendo amare il protagonista, Tobia, rendendolo un piccolo eroe della quotidianità e indicando come anche il disagio con i suoi percorsi ad ostacolo può, in certi casi, essere scavalcato e superato con l’aiuto di quelli che ti vogliono bene.

Un intento didattico e sociale, una direzione da seguire pare porgerci chi scrive, in un’atmosfera che, nella sua levità, racchiude un senso che il lettore non può non cogliere: la disponibilità-capacità di accettare l’altro (in questo caso, il diverso) per quello che è.
«Un ragazzo non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere» (Francois Rabelais).

Giulia Notarangelo