IO NON SONO CLIZIA

Valeria Traversi, Grazia Stella Elia

Introduzione

«A chi non conoscesse anche minimamente le vicende umane e letterarie che hanno legato Irma Brandeis (1905-1990) ed Eugenio Montale (1896-1981) può sembrare un’esagerazione, un cliché. Chi ha scritto questo romanzo e chi scrive questa prefazione sono invece pienamente coscienti del fatto che quella tra Irma ed Eugenio, tra Clizia ed Arsenio, è una di quelle storie di cui solo la letteratura può forse dare conto» 

Marco Sonzogni

Recensione

Un romanzo, come ogni libro, si connota agli occhi del lettore, di primo acchito, per il titolo. Io non sono Clizia (Raffaelli Editore, Rimini 2019) è un titolo particolare sia per la negazione non, che per il nome Clizia, che porta il pensiero a quell’Eugenio Montale che, come tanti poeti, ha fatto dell’amore un tema importante della sua poetica. Clizia è un nome dalle origini mitologiche, che rimandano al girasole: un nome solare, quindi, che richiama il verso di Poliziano «si gira Clizia pallidetta al sole».
Di un poeta i testi si studiano, si commentano e si classificano. Qui si costruisce la trama di un romanzo, investigando (e non per la prima volta) la vita e precisamente una delle passioni amorose di Montale: la singolare relazione tra lui e Irma Brandeis, tra Clizia e Arsenio, un rapporto d’amore importante, straordinario, quasi tutto epistolare, che può essere esemplare ed educativo per i giovani di oggi, immersi nel mondo telematico dei messaggini, tanto schematici quanto aridi.
La storia ha inizio, quasi in modo fortuito, a Firenze, nel 1933, quando la giovane americana Irma Brandeis, di origine ebraica, si presenta nel Gabinetto Vieusseux per un saluto a Montale, autore di un solo libro, ma già noto e ammirato poeta. Nascerà da quella circostanza una storia lunga quarant’anni, scandita da pochi incontri, tante lettere e una meta mai raggiunta. Come scrive a p. 5, nella sua puntuale Prefazione Marco Sonzogni, esegeta montaliano e autore di vari studi su Clizia e Montale, l’opera di Valeria Traversi «Io non sono Clizia aggiunge un altro capitolo a questa storia. Inevitabile, indispensabile». L’amore tra i due, per quanto passionale, non scade mai nel volgare e i protagonisti, personaggi di alta cultura, non perdono mai la loro umanità, fatta di esaltazioni idilliache, di fragilità e di dubbi ossessivi. Sarà la poesia («l’armonia» che «vince di mille secoli il silenzio») a mantenere vivo il legame tra Clizia-angelo e Arsenio, lontano e spesso assente.
Un amore vissuto sulle onde dell’oceano, tra consonanze e dissonanze, intese e contrasti, dubbi e ansie. Un amore fatto di ammirazione e indignazione, di speranze e delusioni. Un amore che pone Clizia nello smarrimento quando Arsenio si rivela distante. Appunto la distanza, la guerra e l’altra donna (Mosca) saranno ostacoli determinanti per la sfortunata relazione dei due letterati, andata avanti con lo stigma del tormento.
Si tratta di una narrazione pulita, prevalentemente letteraria e poetica, che l’autrice ha saputo condurre con un’eleganza intrisa di studio e fantasia. E vi è di più, la visione psicologica dei personaggi emerge sempre, acuta e profonda. Il tormento di Irma-Clizia e il conflitto interiore di Eugenio Arsenio, i loro moti dell’anima e i loro ripiegamenti sono gli stessi di chi li ha vissuti o li sta vivendo, di chi sa quanto forte sia il potere dell’amore, nonostante la costrizione in catene tenaci. Tutta la tessitura è di una tale purezza espressiva, che può valere come modello esemplare per tutti (soprattutto per le giovani generazioni), nel dilagare di libri che si distinguono per volgarità e superficialità.
Qui è come trovarsi in un’oasi letteraria, dove è costante il respiro poetico, dove è dato di leggere una levigata scrittura, dove il racconto scorre, determinando interesse e coinvolgimento. Un romanzo che si segnala per una certa aderenza ai canoni della vita, che sa di esaltazioni amorose e di sofferenze cruciali.
Molto interessante è il capitolo Firenze, Dante, in cui Clizia del poeta Montale è finalmente Irma Brandeis, la studiosa dantista americana. Egli infatti, a Firenze, nel suo dotto intervento alla chiusura del Congresso Internazionale per il settimo centenario della nascita di Dante, la menziona due volte, sottolineando l’acume di lei per aver colto, in Beatrice, il ruolo di guida, di luce, di salvezza, la donna capace di fargli rimescolare il sangue «dentro i segni dell’antica fiamma». Commovente è il capitolo successivo, dove Irma è pronta a correre a Firenze sommersa dalla tragica alluvione. L’amore per i libri la farà diventare angelo fra «gli angeli del fango». Qui, come in altri passi, la narrazione si fa poesia.
L’autrice, come ella stessa dice nelle Note, ha maturato a lungo il tema del romanzo, lavorando alla ricerca di informazioni su Irma piuttosto che su Clizia e così, fra dati reali e fantasia, ha raccontato una storia d’amore bellissima, valida a illuminare una volta di più la figura umana di una straordinaria donna americana, da Gianfranco Contini definita appunto «una donna di eccezionale valore umano, di squillante intelligenza e di ilare umorismo». Per la storia letteraria Clizia rimane, tra la Mosca e la Volpe, l’«occhio giallo del girasole» e per la storia umana è sempre Irma Brandeis, la grande dantista americana innamorata di un grande poeta italiano. Valeria Traversi ha raccontato «una storia d’amore e di poesia» paragonabile a «un ramo teso verso l’alto che non ha messo i fiori».
Nelle poesie L’ombra della magnolia e Primavera hitleriana il nome Clizia c’è e vi rimarrà per sempre, ma i riferimenti a lei, nella poesia montaliana, sono tanti. Famosi sono, ad esempio, i versi di un mottetto: «La frangia dei capelli che ti vela / la fronte puerile, tu distrarla / con la mano non devi».
Nel romanzo è Irma Brandeis la protagonista, la studiosa dallo splendore intellettivo, l’innamorata sine die di un poeta italiano, colei che, in nome di un amore autentico, trascorre decenni vivendo di lavoro letterario e di ricordi, ma che può dire, alla luce dei versi a lei dedicati: «Ho amato e sono stata amata». A p. 215 si trova scritto, a mo’ di sentenza: «Esiste qualcosa che va oltre il contingente […] per i poeti è la Poesia».
È per suo tramite che «gli amori impossibili vivono per sempre». In chiusura delle sue Note l’autrice scrive in modo conciso: «Questo è solo un romanzo, è la mia storia, il mio Arsenio, la mia Irma». Una storia d’amore e di poesia splendidamente romanzata, una lettura davvero interessante, avvincente e arricchente.

Grazia Stella Elia