Silvia De Luca scrive una poesia sinuosa e accattivante, tutta versata ad un continuo monologare tra sé e il mondo, sino a individuare oggetti d’uso quotidiano (lo strofinaccio) che diventano oggetti metaforici, quasi argomenti di una riflessione esistenziale (il cellulare). Anche i testi che seguono fanno parte del n.117 della rivista di letteratura ‘La Vallisa’.

«Sono Silvia De Luca, una persona in ricerca verso la soluzione dell’equazione personale attraverso l’arte, la Poesia in particolare.

Sono nata a Fasano di Brindisi il 13 settembre del 1970. Dalla mia vita e dai miei studi in Psicologia, sono scaturiti la professione di counselor della riprogrammazione esistenziale e di mediatore familiare; ed il mio impegno nell’ambito dell’autismo e delle problematiche ad esso correlate.

Dalla mia ricerca estetica e dalla mia vocazione poetica, è scaturito un piccolo volume di poesie, interamente autoprodotto, dal titolo Pollini, del 2007 con prefazione di Nicola Ingravallo, psicologo e psicoterapeuta, e tavole pittoriche di Arben Shira.

Il testo è stato presentato in svariate manifestazioni culturali locali (reading personale nell’ambito dei “Giovedì culturali” di BANCAPULIA – 2012; reading personale nell’ambito degli “Incontri letterari” del Club Centro Incontri Europei con la collaborazione di Arte e Musica – 2012; reading personale nell’ambito degli “Eventi letterari” della Sala di rappresentanza del Palazzo di Città di Fasano – 2013; reading personale nell’ambito della rassegna letteraria “PugliaLibre” con la collaborazione della Teca del Mediterraneo – 2014; reading personale nell’ambito degli “Eventi musicali e letterari” con il Circolo Unione di Bari in collaborazione con Arte e Musica – 2018).

IL DAVANZALE

Due sono i volti,
quello del bimbo che nasce
e quello dell’anziano che muore.
Due sono anche le gallerie della montagna,
prima di vedere il nuovo mondo,
l’infanzia e la vecchiaia.
Se solo potessi
Emily
m’inchinerei dinanzi al tuo scettro
di regina bambina.
Se solo potessi,
chiederei la tua mano
di nobile bellezza
e verrei in soccorso dei tuoi occhi
d’imperturbabile fierezza.
Invece il tempo,
trascorso in casa,
ci divide;
è la nostra distanza,
il nostro davanzale,
oltre il quale vediamo
insieme
spirare il mare.

ODE AL CELLULARE

Ti amo
come un verso sospeso
tra il fisico e il digitale
tra la tua grandezza ed il tuo segnale.

Ti amo
core cablato
leggera vibrazione dell’onda
intenso intermittente suono
analogico pensiero.

Ti diparti e ti unisci
vai e rimani
nel segnale sconfinato della Rete.
È così che mi catturi,
o mio cellulare,
memorie di me disseminate e filtrate
incapsulate in celle
attraverso il tuo schermo tattile
di vita autonoma.

Ti amo
di un nuovo incessante amore
immersa nella tua ergonomica dimensione virtuale
capace di portarmi in connessione
di aggregarmi separandomi
in un io che diventa non io
cavalcando tutte le intermittenze
del mio essere allucinato.

PROFONDO EME

Dischi volanti
dalla doppia faccia
come navicelle senza cabina di controllo
attraversano il firmamento
in innumerevoli ramificazioni.
Al SEM
e solo a LUI,
come nel miracolo di Lourdes,
si manifestano,
rossi d’amore
o blu di dolore:
quello che occorre espiare,
quello che occorre far ventilare.
Essenze prioritarie
campi microscopici dell’anima
volteggiano
per l’urgenza del passare
senza temporeggiare
perché il tempo è stato quello del maturare
del semplificare
del ridimensionare.
Il tempo ora è lo spazio necessario a respirare.
Eme, Non eme
animale, vegetale
non importa…
occorre solo respirare.

LO STROFINACCIO

Con l’occhiello,
sempre teso
e inamidato,
sempre pronto a rifilarmi il conto
d’una fradicia giornata;
guardi,
dall’angolo della cucina,
l’umile presina
addormentata sulla piastrella,
così garbata,
e regolare
nel suo quadretto bianco
e blu.
Sei tu il mio consolatore,
e benefattore.
Sei tu che asciughi le mie mani stanche
e che rifiuti le mie lacrime:
“Non son degno dei tuoi occhi”- mi dici di nascosto ” ma delle tue mani conosco tutto e l’odore, soprattutto. T’aspetto ogni mattina per vederti rassettare con l’ansia di un indumento
…che ti vorrebbe indossare”.

A quest’ intesa,
caro strofinaccio,
anch’io non posso rinunciare:
tutti i giorni,
anche domani,
dovrò prestarmi
con l’ansia di ricominciare
a cucinare, a sfaccendare e riordinare prima di andare…

Ti lascerò,
spiegazzato,
sull’orlo del lavello
o, per la fretta,
sul manico della scopa
o sulla spalla della sedia
che importa…
purché ti trovi,
al mio ritorno
desto
e premuroso,
inamidato,
come t’ho lasciato.

Daniele Giancane