Genzano di Lucania

L’attaccamento alle radici e l’identità di cittadino si misurano anche dal rispetto per le tradizioni e la difesa dei prodotti tipici del luogo natale o di adozione. Francesca Amendola, nativa di Picerno, ma residente a Genzano di Lucania da molti anni, ha compiuto un atto d’amore verso la terra che la vede sposa e madre felice, riprendendone gli usi, i costumi e la cucina. Il volume Sapori e usanze a Genzano di Lucania, che questa sera presentiamo, abbellito dalla copertina del maestro Donato Linzalata, è stato licenziato a marzo scorso dalla Tipografia Mazzoccoli del sito altobradanico. Avendo avuto il piacere di prefazionarlo, mi sono subito resa conto che non si tratta esclusivamente di un omaggio. L’Autrice ha ripercorso gli itinerari del gusto, scavando nella storia della gastronomia regionale, con uno sguardo tenero nei confronti degli umili, che si cibavano di alimenti semplici, oggi rivalutati dal movimento slow food.

I riferimenti ai primi ricettari della cucina lucana, ad Apicio «cuoco esperto» e «insaziabile ghiottone», all’alimentazione dei Romani, dei nobili, dei Templari, a Orazio, ai viaggiatori di fine ‘700 e ‘800, conferiscono dignità al volume che è impregnato della storia della Regione. L’indagine ha andamento spazio-temporale e informa il lettore della genesi delle pietanze e dei cambiamenti intervenuti. Gli accenni alla Magna Grecia, e alle opere letterarie, tradiscono la vena saggistica dell’Amendola, che ha familiarità con l’analisi critica dei testi.

La bontà delle pietanze della tavola di Federico II di Svevia, le ricette dei monasteri, di cui si ricorda almeno il ricettario della badessa Ildegarda di Bingen, i piatti che i viaggiatori assaporavano nelle osterie e che, successivamente, descrivevano nei racconti, ci danno l’idea della evoluzione della gastronomia lucana, che si è avvalsa pure dei prodotti provenienti da altri Paesi.

La cucina contadina è stata tramandata soprattutto dall’oralità, giungendo fino a noi. Francesca opera una sintesi raffinata delle varie epoche, indugiando, in particolare, sui piatti ancora in auge.

Ciò che più intriga del libro è il contesto storico e sociologico. Ogni pietanza è contornata da riferimenti: il piatto è anche il ritratto della famiglia che lo consuma.
La memoria e gli affetti hanno un ruolo importante, perché il vissuto personale e dei propri cari contribuisce all’emotività della narrazione. La vendemmia, l’uccisione del maiale, il Natale, i riti della Settimana Santa, le scampagnate, le feste patronali, la mietitura, il matrimonio, i mestieri scomparsi come la furnarë (la fornaia) ci consegnano un universo fiabesco, ma grondante sudore e sacrifici:

La furnarë è un mestiere scomparso, prettamente femminile, e non è l’addetta al forno bensì colei, che d’estate o d’inverno avvolta nello scialle, prima del mattutino (prima messa) andava per le strade, suonando una trombetta di rame, per avvisare che il primo forno era pronto.

Francesca Amendola

Dalle pagine scaturiscono credenze e religiosità popolare, fatiche e creatività, dedizione alla famiglia e disponibilità verso i bisognosi. Le storie, descritte in punta di penna e con un velo di nostalgia, commuovono il lettore per l’entità delle rinunzie, la dignità e l’ironia che da esse traspaiono.

Le foto che corredano il lavoro sono esplicative delle storie rappresentate e ci riconducono alle situazioni che molti lucani hanno vissuto. Chi non conserva nella mente l’odore del mosto o non ricorda la bellezza dei campi di grano falciato dai mietitori? E che dire del calore delle tradizioni natalizie o della tenerezza delle chiese «con le pianticelle bianche, cresciute al buio, di cicerchie, lenticchie, piselli, fave e grano, adornati di fiori e nastri, che devono guarnire il Sepolcro del giovedì santo?».

I dolci e le pietanze preparati nelle case contadine riempivano l’aria di profumi. Francesca offre un panorama esaustivo delle ricette di Genzano e dei paesi viciniori, dando al fruitore la possibilità di cogliere le differenze e le analogie degli ingredienti utilizzati e dei metodi di preparazione. Io le ho comparate con quelle di Forenza, trovandovi affinità e varianti.

Tra gli aspetti significativi del volume vi è la condizione femminile del Sud, vista con gli occhi di una donna evoluta che sa recepire il mutamento. La competenza di antropologa le consente di rilevare elementi utili alla narrazione. Il fidanzamento, il matrimonio, il pranzo nuziale, la settimana della vergogna sono indagati e riportati con dettagli colmi di magia:

Il momento, in cui gli sposi entravano nella loro casa, era il più pericoloso per incappare in una fattura e per questo dietro la porta veniva posizionata la scopa di saggina, per evitare l’ingresso delle streghe, che finché ne contavano i fili, lumeggiava.

Francesca Amendola

Franca è abilissima in cucina, dote che l’ha stimolata a riunire in un libro ricette di pietanze scomparse o che ancora si preparano. Come le massaie usavano apporre sulle panèllë il segno di famiglia, lei ha impresso nei fogli il sigillo della devozione. L’onda del sentimento la si scova in molte pagine:

La casa di mia nonna si affacciava sul forno, d’inverno era calda e profumava di pane; d’estate eravamo soffocati non solo dall’afa ma da caldo opprimente del forno.

Francesca Amendola

Gli odori, che la lettura e l’immaginazione attivano, ci riconciliano col tempo e con la storia dei nostri territori, spingendoci alla semplicità dei costumi e a prediligere i cibi genuini. La fragranza del pane appena sfornato, i peperoni cruschi, il baccalà fritto, la salciccia, i taralli, le acquesale, l’aglianico sono tesori che ogni lucano conserva nell’animo.

Storicizzare un paese non è facile. Il valore di un testo va proiettato nel tempo. Anni fa, in un Istituto Alberghiero di Bari, partecipai a un progetto con il grande chef Antonio De Rosa. Scegliemmo la cucina di Vincenzo Corrado (Oria, 1736 – Napoli, 1836), cuoco, filosofo e letterato che aveva viaggiato in Italia e in Europa, fermandosi alla Corte borbonica di Napoli. Studiammo le sue ricette, i liquori e il modo di apparecchiare la tavola. Rammento ancora l’espressione degli studenti ansiosi di assaggiare i profumatissimi liquidi dopo un mese di infusione.

L’amico scrittore, giornalista e cuoco barese Vittorio Stagnani (Roma, 1942 – Bari, 2018), esperto e amante della gastronomia lucana, nell’elegante volume La luna e la focaccia – Storia, tradizioni, ricette (Progedit, Bari 2011), a proposito della focaccia annota:

Ma la storia della focaccia si interseca tanto con quella dei grandi popoli che con quella dei grandi uomini. È il caso di Pitagora (Samo, ca 575 a.C. – Metaponto, ca 495 a.C.) che, dicono le leggende, ringraziò gli dei mangiando focacce e una pasta a forma di bue, allorché scoprì il suo famoso teorema.

Vittorio Stagnani

Francesca Amendola, nel suo Sapori e usanze a Genzano di Lucania, evoca personaggi e aneddoti di varie epoche e strati sociali. L’augurio che le facciamo è che, a distanza di anni, l’opera possa continuare a interessare i lettori desiderosi di approfondire le proprie radici culturali e di gustare la bontà della cucina contadina.

In suo onore, si propone un breve componimento del celebre Vincenzo Corrado che, ne Il credenziere di buon gusto del 1778, “Per il mese di settembre”, scrive:

Donne belle, e fidi Amanti
Quefto mefe, allegro fia.
Su le fpalle degli Atlanti,
Par, che fermo il mondo ftia:
Fino a Palla, le baccanti
Dan diletto, ed allegria.
Sicché, dite in tutte l’ore:
Viva bacco, e viva amore.

Vincenzo COrrado

Anna Santoliquido

Relazione tenuta il 23 maggio 2019 a Genzano di Lucania, nella sede dell’Associazione Culturale “Amici del Teatro-Presidio del Libro”, in occasione della presentazione al pubblico del volume Sapori e usanze a Genzano di Lucania di Francesca Amendola. Tra gli interventi quelli della Sindaca Viviana Cervellino, la scrittrice Rosalba Griesi e Lucia Delle Donne.