Onofrio Pagone (Bari, 1960)

Più di una regina, il testo di narrativa che questa sera presentiamo, ha
riscosso lusinghieri consensi tra i lettori e sul palcoscenico, in quanto, a
novembre scorso, c’è stata una riuscitissima trasposizione teatrale a cui
ho avuto il piacere di assistere. Gian Crò, interprete e regista dello spettacolo, coadiuvato da altri giovani artisti, tra i quali Giovanna Pagone che ha danzato come un angelo, ha dimostrato che la parola creativa, quando
è autentica, si presta a infinite e sorprendenti contaminazioni.


L’opera, pubblicata nel 2018 dalla Progedit di Bari, con il consueto
gusto dell’editore Gino Dato, ci avvince per varie ragioni. Innanzitutto è
il tributo a una donna straordinaria, che ha fatto della sua vita un ‘capolavoro’. Maria Elena Barile Damiani, affetta da sclerosi multipla, combattiva all’inverosimile, ha chiesto all’amico giornalista e scrittore Pagone di far conoscere la sua storia, per incoraggiare gli altri ad affrontare la malattia in modo diverso. Il libro, infatti, è “una narrazione biografica
autorizzata”.

O. PARAGONE, Più di una regina, Edizioni Progedit, 2018

I due amici si ritrovano per concepire un volume ricco di umanità e di
slancio verso l’altro, dove niente è sottaciuto: il dolore scorre e leviga le
anime. La tensione narrativa è sorretta dall’ironia che alleggerisce le situazioni. Il lettore percepisce la crudeltà della malattia, ne avverte il pathos, e si stupisce della reazione della protagonista e del nitore della parola.

La narrazione, condotta in prima persona, pone in risalto gli equilibri
precari dell’esistenza. La fede, la vita e la morte sono fili intrecciati. Maria Elena è consapevole del suo splendore interiore e affronta gli eventi
con determinazione: «La cosa più bella è vivere […] io il sole ce l’ho
dentro», si legge a p. 7.

Una sera a Bari un monaco buddista, esperto di mindfulness, dichiarò che bisogna toccare le radici del proprio essere per capire se stessi e il mondo. Penso che la Nostra le sue radici le sfiori di continuo.
L’aura di regina, che si fiuta già dal titolo del libro, conferisce lievità
alla vicenda narrata. In realtà il testo è un coacervo di storie, che partono
dalla giovinezza della protagonista e dello scrittore, e si dipanano fino ai
giorni nostri.

Tra le tematiche affrontate vi è quella delle badanti, con il loro carico
di fragilità, devianza ed eroismo. Le microstorie, che scaturiscono dal
racconto di Maria Elena, si uniscono alle considerazioni di Onofrio il
quale, da autore consumato, non perde mai il filo della narrazione, giacché il soggetto principale rimane sempre la donna e la sclerosi.
«L’amor che move il sole e l’altre stelle» permea l’intero volume, che
può essere letto pure come una intensa storia d’amore.

Maria Elena e il consorte Leonardo affrontano gli eventi con la forza dei sentimenti oltre che con la scienza. Il calore della famiglia trabocca dalle pagine, movimentate da corse in ospedale, lutti e scoppi di gioia.
L’innamoramento, il matrimonio, la nascita delle due figlie sono
descritti con linguaggio tenue.

Il ritmo si fa più veloce quando la paziente apprende della sua malattia. Le parole seguono l’onda dei pensieri che si susseguono nella testa: «Sclerosi multipla, dunque. […] Che fare, allora?».
Spesso le riflessioni di Onofrio si situano tra il poetico e il filosofico:
«Il tempo talvolta dilata il dolore, oppure è il dolore a dilatare il tempo»,
p. 34. In qualche contesto si coglie persino dell’umorismo. Diverse affermazioni denotano la sua abilità giornalistica: «È un mestiere essere un
disabile», p. 41.

Un aforisma di Charles Baudelaire recita: «Non disprezzate la sensibilità di nessuno. La sensibilità di ognuno è il suo genio». Maria Elena
afferma di essere in grado, dal suo osservatorio della sedia a rotelle, di intuire «se una persona è sensibile o non lo è». Con la sua voglia di vivere,
dimostra che non esistono limiti e che «bisogna solo crederci, aver fiducia
e perseverare», p. 47.

Il legante della narrazione, con il pregevole corredo stilistico, è l’etica dei comportamenti, che ci dà la misura dei pregi e delle manchevolezze della società contemporanea.

Il testo, nonostante la gravità della materia, ha molti passi impregnati
di leggerezza. Fra i tanti, si cita il capitoletto dove la bellezza del mare
evita una tragedia e le lacrime della protagonista si mescolano all’acqua.
«Il mare, commenta Onofrio, ha un effetto consolatorio», p. 48. In un altro brano si legge: «Il mare schiaffeggiava gli scogli e pure quel suo dolore, anche se ogni schiaffo si trasformava in carezza rigenerante», p. 57.

Una delle costanti del libro è la dimensione religiosa, che sottolinea
il credo nella vita e nella solidarietà tra gli esseri umani. Pagone riporta
vicende e personaggi che fanno riflettere, e che sarebbe superficiale liquidare con delle semplici coincidenze. Gli episodi riguardanti la figura di Padre Pio e il fugace incontro della protagonista, a San Giovanni Rotondo, con frate Modestino, rafforzano, in lei e nei congiunti, la fiducia nel trascendente.

Maria Elena non rinuncia a raggiungere i suoi obiettivi (vedi il conseguimento della laurea in giurisprudenza). Da tenace combattente, ha
imparato a gestire la sofferenza.
Più di una regina ha precedenti nobili in letteratura. Mi ha riportato
alla memoria il romanzo Nati due volte di Giuseppe Pontiggia, edito da
Mondadori nel 2000, al quale il regista Gianni Amelio si è ispirato per il
film Le chiavi di casa del 2004. Pontiggia narra la vicenda del figlio disabile, dell’umanità del giovane e delle infinite difficoltà incontrate, con
straordinarie considerazioni sull’uomo e sulla vita.

Nell’opera di Pagone, le pagine dedicate al ricordo di Silvia Barile,
sorella di Maria Elena, scomparsa a febbraio 2013, a soli 47 anni, sono
un altro spaccato nel quale affiorano, come ninfee dall’acqua, i sentimenti
dell’amicizia e dell’altruismo.
La fatica di trasporre su carta i racconti ascoltati è supportata dalla
convinzione di compiere un gesto di condivisione, per annunciare al lettore che, secondo Maria Elena «la rassegnazione e la tristezza immobilizzano più e prima della sclerosi multipla […] che alla malattia si può
opporre la forza del sorriso», p. 71.

Il libro esplora i tanti aspetti della malattia; si sofferma sulle nuove
conquiste scientifiche, ma è pure un testo brioso che mette in risalto la
femminilità e la raffinatezza della protagonista a cui piacciono la musica,
la buona letteratura, il teatro, le torte e i gioielli.
La resilienza è scandita nella sua concretezza. Una concretezza riscontrabile pure nelle domande terribili sulla fede. Maria Elena accetta il dono
della vita e trascorre i giorni con umiltà, scovando il positivo finanche
nelle situazioni più tragiche. Vivere è resistere: «Chi si rassegna ha già
smesso di vivere.» sentenzia, p. 92. La resilienza è connessa alla speranza
che il fruitore respira a pieni polmoni.

La famiglia ha un ruolo determinante nella fiducia che Maria Elena ripone nella vita. Onofrio, frequentando la sua casa, si è sentito avvolto «in
un’atmosfera di famiglia allargata, dove il nonno è tale per tutti e non solo
per i nipoti effettivi e dove ognuno sa di essere come la gemma di uno
stesso albero, dai cui rami altre foglie sono cadute nelle stagioni trascorse
e altre ancora devono nascere», p. 75.

Il «confronto d’anime» e il corpo a corpo con la parola hanno inglobato anche i sogni. In Furor mathematicus (Edizioni della cometa, Roma
MCMLXXXII), pubblicazione di grande intensità culturale, da poco riproposta, Leonardo Sinisgalli, genio lucano del Novecento, si chiede:
«Ma i sogni / di che sostanza sono i sogni? / i sogni sono segni / oh! i
sogni sono a lapis.». Se i sogni sono segni, non dobbiamo stupirci della
forza trascinante di Maria Elena che a essi si aggrappa per volare. Difatti
asserisce: «Io non mi sento legata, […] non si può descrivere la vita come
se la vita finisse ‘alla’ sedia a rotelle. Io volo e volo anche alto!». Enunciati che lasciano il lettore senza fiato.

Termino con due brevi considerazioni. La prima è che leggendo questo interessantissimo libro ho ritrovato molti ricordi legati alla mia giovinezza e alla frequentazione della famiglia Barile, nel contesto dell’Associazione Culturale “Famiglia Lucana” di Bari. Nell’ultimo capitolo, la
citazione di Irsina e dei provvidenziali mastaccere, semplici dolci che
tanto hanno giovato alla protagonista, mi ha ricondotto alla genuinità della gastronomia dei paesi lucani da cui provengo.

Onofrio Pagone

Lo stile asciutto e sobrio di Onofrio Pagone ha evitato che la biografia
divenisse un insieme di eventi e circostanze difficili da digerire. Invece,
la qualità della scrittura ci consegna un libro di rilevante tenuta letteraria,
oltre a una fonte di utili informazioni.

Per combinazione, sulla mia scrivania accanto a Più di una regina vi
è il volume I dolori del giovane Werther, pubblicato da Goethe nel 1774.
Un confronto sui due personaggi, Maria Elena e Werther, è scaturito naturale. Maria Elena nutre una passione per la vita, il giovane Werther, come con estrema sintesi annota Paola Capriolo, nutre «un desiderio disperato di infelicità, un desiderio di morte». In entrambi i testi c’è la spinta verso l’infinito, ma con ragioni nettamente opposte.
A mio parere, la scrittura di Onofrio Pagone ne esce irrobustita da
questa eccezionale esperienza che ha arricchito anche il mio animo di
lettrice.

Bari, 25 gennaio 2020
Sede di “Donne e Poesia”

Anna Santoliquido