Continuiamo il breve excursus sulle ‘presenze’ letterarie del n.118 della rivista ‘La Vallisa’. Nella sezione ‘Poesia’ appaiono le poesie di Margherita Bufi: sei testi che si affidano con sapienza ad un linguaggio ‘minimalista’, nel senso di immediato, semplice (ma non certamente banale), aperto alla comunicazione ed al dialogo col lettore.

Non c’è nulla di cerebrale, in questo linguaggio, che però – al di là di un impatto ‘quotidiano’ – cela improvvisamente inquietudini e sottili malinconie, un ribollire di vita interiore (Dentro di me / pulsa / la lava), ma anche una venatura di ottimismo, di sentimento di ‘rinascita’. Un itinerario interessante, da seguire nei prossimi sviluppi.

Margherita Anna Bufi, per amici e parenti Marghe, nasce a Molfetta il 19/01/1960, primogenita di una coppia di genitori innamorati e amorevoli.

Inizia a lavorare, giovanissima, come docente di scuola dell’infanzia, continua in altri ordini di scuola, sperimentandosi in ruoli diversi, sino a concludere il suo percorso professionale da dirigente scolastica.

Impegnata nell’associazionismo locale, ha provato, per decenni, a mantenersi in equilibrio tra impegno lavorativo, famiglia e volontariato, non tralasciando aggiornamento e formazione.

Scopre (o riscopre?) la passione per la scrittura quando, potendo fruire di tempi più distesi e dilatati, si diletta a comporre filastrocche per i più piccoli, spesso illustrate e pubblicate su Portale bambini.it.

Crea la pagina e il gruppo Facebook Le filastrocche di Margherita. Incrocia sui social Daniele Giancane, suo professore universitario, inizia a seguirlo e partecipa con motivazione e curiosità ai suoi interessantissimi laboratori online.

Si appassiona così alla poesia, scoprendone bellezza e potere.

LE SEDIE

Mi piacerebbe vederle occupate tutte
le sedie.

In cucina
non più racconti bambini
di parole mature.

Non siede
al mio fianco
la tua voce
la tavola briosa
ora tace.

Socchiudo gli occhi
ti siedi
riprendi a narrare.

BATTE

Batte
quasi a scoppiarti in mano
come uno di quei palloncini
all’elio
che il nonno ti comprava
da bambina
e all’improvviso
diventavano gomma
accartocciata
lasciandoti l’amaro in bocca
e gli occhi lucidi.
Si solleva
e si abbassa.
Bassa e alta marea
questo mio cuore pazzo.

Si scaglia
s’infrange
risacca ritorna
poi piano riparte.
Migra.
Cerca lidi
grotte, anfratti
miti.

E batte, batte
zattera, veliero
nave
e piuma di gabbiano.

ENTRO ED ESCO

Entro ed esco dalla stanza del mio io.
La porta è perlopiù spalancata.
Non ha chiave né serratura
un vetro al centro.

Quando socchiusa
piano si apre
veloce e
impetuosa si richiude.

Le pareti vecchie
scrostate
trasudano umidità e puzza di stantio.

Il pavimento a quadri biancorosso
nella sua perfetta geometria
stanca lo sguardo.

Il soffitto mi piace
ha un foro al centro
come un Pantheon
in miniatura.

DENTRO ME

Dentro me
pulsa
la lava,
lingue ardenti
ribollono.

Erutta incandescente
il magma.
Il giallo brucia.

Di rosso
il fuoco
il rosso copre.

Devasta le
ferite.
Fertili cicatrici
generano
fili sottili.

Il verde ricama
trame
di speranza.

NON TEMERE

Non temere
di spettinare
la vita
i grovigli
neri
si scioglieranno
all’alba.

Il verde
del minuscolo seme
caduto
tra le rotaie
spezzerà
il buio.

LÌ RESTA

Sale
si annoda in gola
muta.
Nessuna via di fuga.

Le labbra
la respingono.
Quasi soffoca.

Scende
ritorna
sprofonda pesante.
Lì resta.

Daniele Giancane