Maria Curatolo, che si è dedicata a lungo alla riabilitazione neuropsicomotoria, è attiva in numerose associazioni culturali di Corigliano-Rossano. Negli ultimi anni si dedica con passione alla scrittura letteraria (ha pubblicato nel 2019 I racconti dell’anima).

Nel n.118 della rivista ‘La Vallisa’ è presente un suo breve (tre pagine) ma splendido racconto: è la storia-ammantata nella ‘leggerezza’ della narrazione che un nonno propone al nipote-tragica del 31 dicembre del 1974 quando al largo del mare di Schiavonea due motobarche di pescatori furono travolte dal mare in tempesta, inabissandosi nel gorgo e portandosi con sé le vite giovani di due famiglie: la famiglia Celi e la famiglia Curatolo (Ben dodici vittime, sei per famiglia).

Si salvò solo un membro dell’equipaggio, che peraltro visse diversi altri anni ma in cattive condizioni di salute. Maria Curatolo descrive la tragedia con realismo, quasi facendocela vedere: il popolo di Schiavonea (che è frazione di Corigliano Rossano) tutto sulla spiaggia, alle 7 del mattino a pregare e a sperare nella salvezza di quegli uomini, il mare grosso con onde gigantesche. Il dramma, il dolore che resta sempre vivissimo: «È una storia che è rimasta incastrata nei vicoli del borgo di Schiavonea…». Un racconto con squarci poetici e l’uso sapiente e popolare del dialetto. Qualcosa che ci ricorda l’inabissamento della nave di Ulisse, le narrazioni di Giovanni Verga, Il vecchio e il mare di Hemingway.

Un racconto che mi piacerebbe veder recitato da Alfredo Vasco proprio lì, sulla spiaggia di Schiavonea, dove il popolo tutto guardava speranzoso e atterrito ciò che stava accadendo e un vecchio forse ancora racconta al nipote ciò che accadde, quel giorno del 1974 in cui nessuno – a Schiavonea -festeggiò il nuovo anno.

Maria Curatolo

U TARARANNI IRA MARINA DI SCHIAVONEA E LA TRAGEDIA DEL 31 DICEMBRE 1974

Ti eri inchinato a quel volere che viene dall’alto e, sopra il viso rugoso, portavi la coppula di lana in testa; la curria dei pantaloni, lucida del tempo passato, adornava il tuo corpo. Addosso, una maglia di lana per tutte le stagioni, che odorava di salamoia; ai piedi nudi, gli zoccoli. La barba lunga che, come le onde schiumose del mare, era bianca bianca. E così, ormai curvo, come sotto un peso rimastoti sulle spalle, avevi abbracciato la tragedia del 31 dicembre del 1974, in perenne cammino tra i vicoli del borgo marinaro, con la brezza del tuo mare che ti dava respiro.

Insopportabile quel fardello, che ha negato la vita e impedito la coltivazione degli affetti. Come per ’u Tataranni, la comunità di Schiavonea fu segnata per sempre, e a ogni anniversario commemora il rispetto verso il sacrificio dell’uomo e il suo tributo con un momento di preghiera. Nella ricorrenza del quarantesimo anniversario, nel 2014, venne consegnata alla comunità parrocchiale di Santa Maria ad Nives la medaglia che l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferì quale premio di rappresentanza all’iniziativa promossa dall’Amministrazione Comunale con l’intitolazione della Piazza Celi-Curatolo Caduti in Mare (già Piazza Fiume). Fu eretto un monumento con l’incisione dei nomi dei dodici pescatori Celi e Curatolo periti nell’evento infausto.

Nonostante tutto, la vita per i pescatori di Schiavonea continuò, con orgoglio e umiltà, e le tradizioni marinaresche ancora oggi vengono tramandate di padre in figlio. Il ricco patrimonio ittico ridona speranza.

Nelle giornate rigide d’inverno, a Schiavonea ti riposavi davanti al focolare, acceso dalla mattina alla sera. Appena tu, ’u Tataranni, sentivi al di là della porta: “Stani pijianni ’a sardella” saltavi dalla sedia e correvi verso ’u mmatti. ’U sciabbachiell in riva al mare ti aspettava e, contento e felice, ti portava con sé. Erano belli quei tempi tuoi, oggi, la sardella è proibito pescarla e a te è rimasta negli occhi e nel cuore. Al focolare hai fatto la tua casa e ai picciulilli racconti i fatti di una volta.

Il maltempo.

Il mare in burrasca.

I remi che portavano ’u vuzzariell al largo, quando il mare era calmo e di sardella riempivi le cassette.

Accovacciato ai tuoi piedi, nelle giornate fredde di tramontana, al piccolo Antonio raccontavi di quel 31 dicembre, di una forza mare 8-9, della imprevedibile forte mareggiata che aveva allagato le vie del borgo, delle imbarcazioni che, dall’arenile, le gigantesche onde avevano fatto finire in mezzo al borgo e della brutta fine delle due motobarche: la Nuova Sant’Angelo, con a bordo Francesco (capobarca) e i suoi fratelli Rocco, Nicola, Carlo, i nipoti Angelo e Cosimo Celi, rispettivamente di 17 e 16 anni, tutti appartenenti alla famiglia Celi; e la Maria Santissima dei fratelli Stefano (capobarca), Luciano, Salvatore, Antonio, Marino e il cugino Giuseppe tutti della famiglia Curatolo, gli ultimi due rispettivamente di 20 e 17 anni. La motobarca trainava il gozzo con a bordo il loro cugino Cosimo Marghella, di 22 anni.

Tutte giovani vite, che lasciarono un indelebile ricordo nelle loro famiglie e alla marineria di Schiavonea.

Chino in preghiera davanti aru fuculari, tu, ’u Tataranni, descrivevi gli incalzanti momenti vissuti con in petto un inconsolabile dolore.

Al piccolo Antonio, il racconto gli scivolava dentro, tra le viscere, oltre il cuore, fino a farlo stare male: “Figlio mio della Nuova Sant’Angelo, nelle prime ore di quel mattino, alle 7.00 del 31 dicembre, in quel tratto di spiaggia davanti al quale si erge la statua della Madonnina, attoniti e sgomenti, assistemmo alla tragedia”.

Nel tentativo disperato di tornare a riva, spinta da quella speranza che la riportava ogni volta alla sua terra promessa, la motobarca dei Celi riuscì quasi a raggiungere la riva, ma un’onda altissima la risucchiò in sé stessa perdendola per sempre. Fu disperazione per i famigliari e i pescatori che aspettavano a riva, con le braccia pronte ad aiutarli ad approdare e dare loro salvezza.

“Sai, figlio mio, quel mare generoso e prodigo di doni per i suoi figli pescatori, in grado di dipingere albe greche, quella volta fu dannazione per la marineria del nostro borgo di Schiavonea”.

Antonio, con gli occhi colmi di lacrime e un nodo in gola, ti invitò a continuare:

“Racconta, racconta ancora, voglio sapere”.

“Sì, piccolo mio. La Maria Santissima, con a bordo i fratelli Curatolo, si disperse tra quelle onde che alte si accavallavano. E nel tratto di mare tra Capo Spulico e Capo Trionto si inabissò”.

Solo tempo dopo, furono trovati i resti dell’imbarcazione nei pressi della foce del fiume Crati.

Dei Curatolo, fu ritrovato il corpo sull’arenile di Sibari, quello di Salvatore, di cui fu fatta degna sepoltura.

Attraccato alla Maria Santissima, si salvò nel suo gozzo l’unico superstite, Cosimo Marghella, il cugino dei Curatolo. Morì il 22 febbraio 2021, visse una vita al limite della normalità.

È una storia questa che è rimasta incastrata tra i vicoli del borgo di Schiavonea della città di Corigliano-Rossano, che guardano al cielo con gli occhi dei gabbiani e che vive oggi, un

un momento di crisi dovuto al rincaro del gasolio che non è più sostenibile dai pescatori della marineria di Schiavonea, che vanta una flotta peschereccia tra le più grandi d’Italia.

La memoria storica continua a essere portata avanti grazie alle opere di StreetArt, i murales che lasciano impressi sui muri delle case dei pescatori la storia che lì resterà per sempre.

Maria Curatolo