Chi conosce Juana de Ibarborou? Quasi nessuno. Eppure fu una straordinaria poetessa uruguaiana, di origini spagnole (1895-1979), bella come il sole, tanto bella da essere considerata ‘la fidanzata d’America’ o la ‘Juana de America’.

Nata in un borgo sperduto dell’Uruguay, quasi del tutto autodidatta, si trasferì poi a Montevideo, dove cominciò quasi casualmente ad avvicinarsi alla letteratura, sino a pubblicare Le lingue di diamante (1919) e subito tutti scoprirono la forza di questa poesia, sensuale e gioiosa, legata al mito, ottimista.

Si avvicinò poi al modernismo e al surrealismo, ma questa capacità di coinvolgere il lettore in una trine di sentimenti rimase incorrotta. Unamuno scrisse della sua poesia: «E’ castissima nudità spirituale», nel senso che anche laddove c’è erotismo, in realtà c’è il desiderio di essere se stessa, di mostrarsi per come era, appunto nella ‘nudità spirituale’.Fu candidata al Nobel nel 1958.

Il testo che segue è sensuale, ma di una sensualità ‘casta’, proprio come scrive Unamuno. E si era nel 1919…

L’anima che ti dono è nuda
come una statua svelata.
Nuda con l’impudenza
di un frutto, di una stella, di un fiore
di tutto ciò che conserva l’infinita
serenità di Eva, prima della maledizione.
Di tutte le cose,
frutti, astri, rose
che non si vergognano del sesso
senza veli, per cui non esiste veste.
Nuda e aperta per
l’ansia di amare.

Daniele Giancane