I colori del buio

Vorrei vedere
coi colori del buio,
invertire il visibile
con l’invisibile.
Assaporare
l’onde gravitazionali
per capire che sono,
ed onde non sono.
Assaporare
ciò che ha un nome,
sapere cos’è,
e non è quel nome.
Assaporare te,
sapere quel che sei,
e poi
darti il mio nome.

Le sestine del tempo

Si fermi pure, orologio, il tuo moto
o corra pure, a suo piacimento,
perché misuri, comunque, l’ignoto.
Se non ti guardo, l’ora tua anniento
negli infiniti, possibili stati
mai giunti, forse nemmeno iniziati.
Quantizzare il tempo, come materia,
sí che s’annebbi qualunque illusione.
qualunque orgogliosa idea deleteria
che fa dell’uomo un divino campione.
È onda, il tempo, di stati infiniti,
tutti possibili, tutti riuniti.
Se poi il tempo è la costruzione
che l’uomo fabbrica sol per capire
da dove viene, la sua funzione,
la sua natura, dove va a finire,
non più s’affanni, nulla c’è che esista:
tutto è trastullo d’un grande regista.


Nicola Accettura

Così come per la materia, anche per il tempo la teoria quantistica propone il rispetto di talune regole. Partiamo dall’elettrone. Esso non è certamente una sorta di pallina che gira attorno al nucleo (una delle tante balle oscurantiste che i nostri figli imparano in questa scuola da riformare assolutamente), ma un’onda di probabilità che riempie lo spazio attorno al nucleo, assumendo contemporaneamente tutti gli infiniti valori dei suoi possibili parametri.

Solo quando un osservatore lo osservi, per misurarne qualcosa, avviene un “collassamento” in uno di questi infiniti valori, che può essere così misurato. Se, però, non ne misuriamo nulla, allora può essere in qualunque stato ad esso permesso. Quindi, noi misuriamo uno dei suoi infiniti possibili stati, e non ciò che è veramente, essendo esso tutto ciò che può essere, contemporaneamente. Un elettrone, quindi, può essere vicino al suo nucleo, ma può anche essere al di là di un muro, a distanza comunque grande.

Secondo l’ipotesi del tempo infinito, le particelle che compongono l’Universo (numerosissime quanto si voglia, ma pur sempre in numero finito) hanno modo e tempo (è infinito!) di assumere tutti gli stati possibili, cioè ricomporsi in numerosissimi modi, ossia in numerosissimi Universi.

Un osservatore è ovviamente esterno al sistema che osserva (è ontologico!). Se vogliamo osservare l’Universo, poiché noi siamo internamente all’Universo (è anche questo ontologico), non possiamo effettivamente farlo, in quanto non-esterni ad esso. Chi fa, quindi, collassare l’Universo in uno dei suoi possibili stati per renderne osservabile – e quindi misurabile – un suo parametro? Non certo noi, interni ad esso. Non c’è nulla di esterno all’Universo, perché ciò che esiste è di per sé interno all’Universo. Nulla può quindi far collassare l’Universo in uno qualunque degli stati possibili, ma tutte le possibilità esistono contemporaneamente, in Universi paralleli.

Se il tempo è una creazione della mente dell’uomo, ma non esistente di per sé, cioè tempo=0, allora tutti gli Universi possibili sono simultanei, una sorta di onda di probabilità di numerosi stati contemporanei (proprio come un elettrone attorno al nucleo) che vivono solo in un eterno presente. Infatti, il tempo quantistico è qualunque tempo, fino a che un osservatore non decida di vedere che ore sono.

Nicola Accettura