Quando penso a Edgar Lee Masters, il meraviglioso autore della Antologia di Spoon River, uno dei libri di poesia più importanti del ventesimo secolo, mi prende un po’ di amarezza per le vicende della sua vita.

Nato a Garnett, nel Kansas, nel 1969, visse per diversi anni a Petersburg, una cittadina che col suo cimitero in collina ispirerà il poeta, poi la famiglia si trasferì a Lewistown, dove Edgar visse per dieci anni (Il fiume che bagna Lewinstown si chiama Spoon).

Il padre è un avvocato di grido – di tradizione puritana – e quindi pretende che il figlio segua le sue orme. Edgar – obtorto collo – lo fa. Comincia a far pratica presso lo studio paterno, ma lui si sente attratto fortemente dalla letteratura. A ventidue anni lascia lo studio di avvocato e parte per Chicago, inseguendo il sogno di diventare scrittore. Ma non è così facile. Per campare fa di tutto: il tipografo, il giornalista, l’esattore della Edison.

Intanto pubblica i primi libri, le raccolte di versi A Book of Verse, The Blood of the Prophets, Songs and Sonnets. Libri che cadono subito nel dimenticatoio. Sono brutti libri, mediocri, che risentono di echi di altri autori (Keats, Poe). Masters pensa: bè, allora non è cosa mia, quasi quasi torno a fare l’avvocato. Però la vita è folle e imprevedibile: un amico gli fa leggere l’Antologia Palatina, la famosa raccolta di epigrammi ed epitaffi greci e il Nostro ha un’intuizione: perché non scrivere una sorta di Antologia Palatina moderna? Del resto, di materiale su cui scrivere ne ha a bizzeffe, perché ogni volta che si incontra con la mamma, la signora Masters lo subissa di storie, pettegolezzi, informazioni sulla vita della gente di Petersburg e Lewistown: sai, Jack McGuire – che era ubriaco come un ciuccio – ha ammazzato il maresciallo, Thomas Rodes va a caccia di ‘tesori terrestri’ che non trova mai e Seth Compton ha costruito la biblioteca circolante del paese. Ricordi Roscoe Purkapile? Bè, ha lasciato la moglie e se n’è andato chissà dove…

E. LEE MASTER, Antologia di Spoon River, Einaudi 2014

Acquista il testo al miglior prezzo disponibile

Così Edgar cominciò a scrivere, un po’ riportando in poesia le storie che gli raccontava la madre, un po’ fantasticando. Prima pubblicò gli epitaffi su una rivista, uno alla volta, poi visto il successo che avevano, pensò bene di radunarli in un libro. Così nacque, nel 1915, uno dei libri di poesia più famosi e ineludibili del XX secolo: l’Antologia di Spoon River.

Finalmente Edgar è famoso. Finalmente può lasciare quel noiosissimo mestiere di avvocato (cui si era avvicinato nuovamente) e darsi anima e cuore alla letteratura. Per un po’ di anni vive bene dei proventi della vendita dell’Antologia, poi – pian piano – il libro si vende sempre meno. Lui pensa: pubblicherò altri libri e così stampa persino un’Antologia n.2.

Però il vento è cambiato. Gli altri libri non ottengono alcuna eco, i diritti d’autore dell’Antologia terminano.
In poco tempo Edgar si ritrova in povertà. Non solo: il mondo letterario si dimentica di lui, pensa che sia stata una rapida meteora. Cerca di campare con qualche articolo e qualche conferenza, ma fa la fame. Alla fine viene ricoverato nell’ospedale di Melrose Park, in Pennsylvania e lì muore, dimenticato da tutti, poverissimo e in solitudine.

Eppure, l’Antologia è un capolavoro di ‘pietas’ verso i defunti, di tenerezza e di comprensione umana. Di vicinanza a tutti, anche a coloro che furono più trasgressivi e violenti. Anzi, soprattutto a coloro che commisero enormi errori, che in vita furono disprezzati ed emarginati. Perché la morte li fa uguali. Appartenenti alla stessa comunità dei viventi, che si arrabattano tra sogni e delusioni, fughe e ritorni, meschinità e candore:

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
il debole di volontà, il forte di braccia,
il buffone, il beone, il rissoso?
Tutti, tutti dormono sulla collina.

Uno morì con una febbre
uno fu arso in miniera,
uno fu ucciso in una zuffa,
uno morì in una prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per moglie e figli.
Tutti, tutti, dormono, dormono, dormono sulla collina.

Dove sono Ella, Kate, Lizie e Edith,
il tenero cuore, l’anima semplice, la rumorosa,
l’orgogliosa, la felice?
Tutte, tutte dormono sulla collina…

E così via per 43 versi, con quell’intercalare (tutti dormono, dormono,
dormono sulla collina) che è una sorta di refrain disperato e tenue, come
una voce fuori campo che riporta alla luce – nella collettività – i defunti
ciascuno con la sua peculiarità. Ciascuno individuato con un suo carattere. Ciascuno è unico a suo modo, in quel concerto di voci:

Giacciono insieme in questa tomba
Benjamin Pantier, procuratore legale, e Nig
il suo cane, compagno fedele, conforto e amico…

Edgar Lee Masters (Garnett, 23 agosto 1868 – Melrose Park, 5 marzo 1950)

Un uomo che si fa seppellire nella stessa tomba col suo cane è il più alto segno d’amore tra uomo e animale. Un quadretto tenerissimo e indimenticabile, come ‘Trainor il farmacista’ che dice:

Soltanto un chimico può dirlo, e a volte nemmeno lui,
che cosa risulterà dalla combinazione
dei fluidi e dei solidi.
E chi è in grado di dire
come potranno interagire l’un l’altra
un uomo e una donna
e che tipo di figli ne risulterà?
Per esempio Benjamin Pantier e sua moglie,
buoni in se stessi, ma un diavolo l’uno per l’altra:
lui ossigeno, lei idrogeno,
un figlio come un fuoco devastante…

O Sarah Brown che termina affermando: «Non c’è il matrimonio in cielo, c’è l’amore”, perché lei ha amato sia il marito che il suo amante (Va’ da quel cuore gentile di mio marito,/ che rimugina su quello che lui chiama il nostro colpevole amore/digli che il mio amore per te, non meno che il mio amore per lui/ ha plasmato il mio destino…». Ma tutte le poesie di Spoon River sono straordinarie, commoventi, da leggere come un nettare:

Avete visto camminare per il villaggio
un uomo con la faccia scavata e gli occhi bassi?
È mio marito che, per una crudeltà segreta,
mi rubò gioventù e bellezza…

I defunti parlano da altre dimensioni, ormai depurati – ma non del tutto – dalle passioni terrestri, però la vita va avanti, con altre storie, altre contraddizioni, altre sofferenze. Con la sua imprevedibilità: “continua a girare, tu, mondo pazzo!”

Daniele Giancane