È stato amore a prima vista quello per questo piccolo libro dalla copertina con quell’immagine dagli orizzonti infiniti, con quelle rocce, macchiate qua e là da cespugli e alberi, con quel pellegrino seduto di spalle che guarda lontano … quegli animali accoccolati … Quasi canti di pastori erranti!

Due viandanti, più avanti, s’incamminano verso un boschetto e giù una landa desolata dai toni sfumati che termina in un lago, ricco di anse e poi quelle cime lontane tutte innevate che mi richiamano alla mente luoghi a me familiari: la Sila della mia adolescenza, dove trascorrevo le vacanze estive.

AA. VV. Un mare ci unisce. Poeti italiani e albanesi, Tabula fati 2017

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Ho fatto un’indagine per scoprire l’autore (non citato nel retrocopertina) di questo “quadro” che mi ha affascinato. I toni sfumati, le luci-ombre, il paesaggio semidesertico danno spazio alla fantasia. E tu vorresti essere lì insieme a quei viandanti alla ricerca di un come e di un perché.

Un mare ci unisce, recita il titolo di questo caleidoscopio di poeti dirimpettai.

Quei versi, musicalmente belli, così raffinati, così eleganti e visionari di Angela Giannelli, la poesia luccicante di Renato Greco (Fiume in pianura, p. 93), Il fuoco e il mito di Prometeo di Gaetano Bucci, L’ultima utopia di Marco I. De Santis, la poesia delle Piccole cose, sul filo dei ricordi, di Daniele Giancane, la poesia civile e la nostalgia del tempo andato di Enrico Bagnato (Laudator temporis acti), la poesia di Nicola Accettura (che può essere letta così, anche senza quelle sue noticine chimico-fisiche) ti lasciano un non so che di indefinito… e il naufragar

Eterea la lirica di Giulia Poli Di Santo, pervasa di amore per la poesia, ma anche di intenti sociali. Misticamente ermetica quella del giovane professore molfettese, Gianni Antonio Palumbo. Sull’onda dei lirici greci quella di Anna Santoliquido : la profetessa Anna.

Antico e presente, postmoderno e futuro, realtà e visioni, Murge e mondo, disperazione, voluttà, speranza, nel poemetto di Filippo Silvestri, dedicato agli albanesi. Poemetto fatto di sogni, di visioni, di realtà: il mare come sfondo, l’io che scrive : «pietra in equilibrio instabile tra passione e alienazione». E’ un medico che narra questa epopea al contrario dei migranti albanesi tra i ricordi della patria, la Puglia, e la realtà amara della guerra e dell’odio, naturale condizione umana.
Silenzio e indifferenza dividono, ma la poesia unisce.

Uno scrigno di gioie definirei questa silloge italo-albanese: dalla grandiosità di Filippo Silvestri alla poesia dei ricordi di Daniele Giancane, dalle evanescenze di Giulia Poli Di Santo e Anna Santoliquido, alla musicalità di Angela Giannelli e dalla cinematograficità di Petrit Ruka alle Vecchiette di Vuno di Sulejman Mato.

Sono abbagliata da tanto mare, da tanto azzurro…
È una poesia, quella albanese, che diviene racconto, epopea, rappresentazione, non solo della realtà esterna, ma anche dei palpiti dell’anima. Mare, storia e storie di un popolo, migrazioni antiche e presenti e una poesia che diventa anche frammento (Agim Mato).

Un tuffo al cuore questo libro, fatto di piccole grandi storie come se ciascuno dei poeti volesse scolpire con i versi la propria identità e appartenenza attraverso i ricordi, il mito, il legame con la tradizione e la classicità.

Giulia Notarangelo

Non avevo ancora letto nell’ultimo numero della rivista i reportage di viaggio dei “Lavallisiani” in missione in Albania, ma mi è bastata l’immagine di copertina dal multiforme orizzonte ad ispirarmi a scrivere, comunque, le mie emozioni.
«Tu dici… Eppure… Pensa… Nacqui… Ciascun momento-ora!…Tutto questo…»

Così interloquisce Daniele Giancane nel suo dialogo con il lettore in «Breve la vita, lunga la poesia», poesia che diviene Ode alla poesia in Enrico Castrovilli in prossimità dell’ora del suo tramonto.

In Angela Giannelli c’è una laica raffinata preghiera, sempre alla poesia («se tu ora tacendo pregassi…/per un’altra alba/per un’altra nostra prima poesia») oltre ad un sapiente uso dell’anafora; i versi si allungano in un andamento dialogico e le immagini si moltiplicano e si inseguono. È una poesia sulla POESIA con quelle «parole vestite di bianco e//scalze come quando bambine si rincorrevano/di notte sul tappeto dei … sempre desti sempre/nomadi sogni». Stupende immagini di sogni infantili (pp.69-71).

Irena Gjoni, la prima poetessa albanese (che appare nella silloge) resta impressa per le sue arditezze: «dalla cenere senza brace / i carboni anneriti dalla sciagura della fuga/potrebbero scrivere una storia… »(p. 89) o per la sua «ombra del monte su un petalo di rosa». L’amore per la propria compagna di vita diventa lacerante in poeti come Petrit Ruka (p.205) e Ilirian Zhupa (p.241).

Versi che spesso sconfinano nella prosa sono quelli dei poeti albanesi. Grandi i traduttori! Mi auguro che la stessa sorte abbiano avuto i testi italiani nella versione albanese della stessa silloge.
L’amore per la poesia e per la parola poetica trovano il sommo sacerdote e le “vestali” in Daniele in Renato in Angela in Giulia e in Anna (la profetessa). La vita, il mare, le migrazioni del passato, i migranti (attuali), la Patria, la POESIA predominano nelle liriche albanesi.

La varieganza della poesia albanese trova le sue radici in una sorta di atavica purezza, in un fascino antico, come lo stupore del viandante che percorre lande inesplorate (e torno all’immagine di copertina).

Penso alla poesia Padre nostro che sei sulle rive di Niko Kacalidha (p.101) dove un Dio-padre scende sulla terra e diviene tutt’uno con il creato, in una sorta di post-francescanesimo dei giorni nostri. In Vasil Klironomi, poeta della nostalgia della patria, il mito del Caronte dantesco nobilita i migranti e la loro metafora amara (p.120). Il frammentismo poetico in Zimo Krutaj lo distingue dalle altre voci poetanti (p.125 e segg.). L’etico afflato di Maliqi nel suo inno al creato, «Credo nella tua voce, padre mio!» con il suo andamento poematico ci riporta a «l’ infanzia del mondo» (p. 135).

Poeti tutti che lasciano un segno, un’impronta indelebile.

Libro delicato e incantevole dalle tinte forti e lievi.

Pregevole l’idea di questa silloge, pregevole la scelta dei testi, pregevole l’immagine di copertina: un uomo fermo con bisaccia e bastone che osserva, da solo, di fronte a spazi immensi, orizzonti di rocce di piani, di azzurri e di cime lontane sotto un cielo incolore in uno scenario carico di suggestioni, verso il quale altri si incamminano.

Giulia Notarangelo