S. GIVONE, Prima lezione di estetica,
Ed.Laterza 2010

E’ capitato a tutti, una volta o l’altra, al teatro, al cinema, in un museo o davanti a una poesia. Qualcuno, qualcosa si mostra, appare, e ci scuote nel profondo, lasciandoci stupefatti, turbati, commossi. Può capitare anche davanti a un paesaggio o a un volto. È l’irrompere nel nostro campo visivo (o uditivo) di una realtà che ci sorprende e ci seduce, inaspettatamente. È un’emozione assorbente, esclusiva. Tale che il mondo attorno a noi si eclissa, per un momento resta quell’unico fuoco, quella calamita. E’ l’esperienza estetica. Walter Benjamin ha parlato, a questo proposito, di shock, di urto che investe l’individuo. Affine a emozioni amorose o a emozioni religiose e tuttavia irriducibile a quelle. Questo stato d’animo richiede ‘consenso’. Ma è davvero la cosa, è la realtà, ciò di cui si tratta? Della realtà – in fondo – non ci deve importare: la ‘cosa’ non è lì perché qualcuno se ne appropri. Ciò di cui si tratta è l’immagine della realtà. Ossia, come il soggetto si rappresenta la realtà.


E’ un gioco dell’intelletto e dell’immaginazione (Kant).L’immaginazione prospetta all’intelletto la cosa come l’intelletto vorrebbe che fosse, se fosse reale. Ma non lo è. E tuttavia l’immagine della cosa (come vorremmo che fosse) riempie l’anima di di commozione. Come se un desiderio profondo e puro fosse per sempre realizzato e addirittura anticipato prima che l’anima ne avesse coscienza. L’anima viene in chiato di se stessa incontrando quell’immagine. Qui tutto è Schein: puro e semplice apparire. E appare dalle profondità dell’anima, dove evidentemente abita.
(da S. GIVONE, Prima lezione di estetica, Ed. Laterza 2010)

Mi fermo qui, perché già i concetti messi in gioco sono tanti. Ho semplicemente riassunto una ventina di pagine del testo citato (ma naturalmente andremo avanti a commentare questo volume fondamentale per chi vuole approfondire gli elementi essenziali dell’esperienza estetica, che non sé solo un fatto di studio, ma di riflessione per chiunque si dedica a un’attività estetica (poesia, romanzo, musica).

Che ci dicono queste prime annotazioni?
1. Che scrivere poesia è un’attività estetica al pari di altre esperienze estetiche (come emozionarsi davanti a un paesaggio o innamorarsi), anche se con la sua specificità (con l’amore ci si può innamorare di qualcuno, di un paesaggio lo si può anche dire – che me ne sono innamorato – ma in termine figurato).

2. Che ogni attività/esperienza estetica deve produrre uno shock. Quando io stesso vi dico: è una buona poesia, ma non prende, non emoziona, vuol dire questo: non produce uno shock. Sarà anche bella sul piano linguistico, musicale, contenutistica, ma non provoca esperienza estetica. Non c’è l’urto che deve provocare (negli infiniti modi possibili) un’opera d’arte (se vogliamo fare arte: se vogliamo fare scrittura creativa, comunicazione, hobby allora tutto ciò che si sta dicendo non vale).

3. Che ciò che ci colpisce (come poeti o come lettori di poesia – per stare nel nostro ambito) non è la realtà, ma l’immagine della realtà. E questo è fondamentale. Quando qualcuno dice: faccio poesia sociale o politica, deve considerare che non farà mai politica, ma l’immagine della politica che ha il suo intelletto. Ciò che si chiama pure ‘interpretazione’. Io non sono in grado di rappresentare il reale, perché è sempre – inevitabilmente – un reale da me interpretato.

4. L’esperienza estetica (mettiamo: l’emozione davanti a un testo poetico) è come un ‘apparire’ di qualcosa che ci scuote, che viene dal profondo. E’ una ‘cosa’(così la chiama Givoni) che evidentemente abita in noi. La poesia non è tanto ritrarre il reale, ma far emergere qualcosa che abita dentro di me e che neppure io conosco davvero.
Termino qui: c’è molto materiale per riflettere!

Non c’é nulla di soggettivo nell’estetica: anzi, è quasi scienza!

Qualcuno insiste sul fatto che l’esperienza estetica è soggettiva, dipende dall’individuo, ci può essere o meno quindi si può fare a meno di studiarla,di trovarne paradigmi e indicazioni. Ma non è così: l’esperienza estetica è universale e oggettiva.

Voliamo alto: qualcuno potrebbe affermare che la Cappella Sistina, le nove sinfonie di Beethoven, il Mosè di Michelangelo, l’Iliade di Omero, la Divina Commedia di Dante, i girasoli di Van Gogh, il teatro di Shakespeare, non siano arte? Non è possibile. Come nella scienza, possiamo dire che sono degli ‘assiomi’. Indiscutibili. Chi dicesse che ‘Amleto’ di Skakespeare è un’opera sbagliata o che la Cappella Sistina è brutta, dovrebbe essere ricoverato immediatamente o avviato ai lavori campestri. L’arte vera è universale e produce un’emozione a tutti. L’Estetica – come disciplina – si interroga sul perché. E se sia possibile individuare gli elementi basilari per considerare un prodotto come oggetto artistico (una poesia, una musica, un quadro). Quali elementi ne fanno un prodotto artistico o una sciocchezza.

Non c’è alcuna soggettività, se non nella ‘diversa’ modalità in cui proviamo emozione di fronte all’opera d’arte: c’è chi è preso dalla sindrome di Stendhal, chi piange, chi si sente svenire, chi resta basito. Ed ecco lo shock, senza il quale non c’è arte.

Daniele Giancane