ATTO SECONDO

SCENA PRIMA
Il terzo giorno. Cesare e Aldo entrano in scena correndo, spaventati
e trafelati.

CESARE: Fermiamoci, Aldo. Ormai siamo a casa…

ALDO: Dannazione! Perché doveva andare così?

CESARE: Già. Non avrei mai creduto che ce l’avremmo fatta.

ALDO: Ho ancora davanti agli occhi l’immagine di Sergio tra le grinfie di quegli invasati. E grida e chiede disperatamente aiuto!

CESARE: Un incubo assurdo. Chi erano quegli individui lerci, orribili? E con quanta forza ti hanno afferrato e toccato gli occhi e il viso con quelle mani sudicie.

ALDO (sputa): Posso sentire ancora il loro sapore orribile sulle labbra, amico.

CESARE: E ora cosa diremo alla madre di Sergio?

ALDO: Che vorresti dirle, Cesare? Nulla.

CESARE: Come nulla?

ALDO: Lo capisci, imbecille, che raccontare quello che è accaduto significherebbe ammettere che abbiamo varcato il confine? Le conseguenze potrebbero essere terribili. Ci arrivi da solo, no?, a intendere che abbiamo violato la legge?

CESARE: Ma appena le comparirò davanti, senz’altro mi chiederà di lui.

ALDO: Semplice: tu non comparirle davanti!

CESARE: La fai facile. Sono giorni che Sergio non fa ritorno, di certo lei mi cercherà.

ALDO: E tu le dirai che non l’hai visto. Sì, non l’abbiamo visto da tre… quattro giorni.

CESARE: Non so se avrò la forza di mentire. Non questa volta.

ALDO: Idiota, non è il momento di essere deboli. Ne va della nostra libertà.

CESARE: Cercherò, Aldo. Ma non ti garantisco nulla (esce).

SCENA SECONDA
Rosalina entra trafelata.

ROSALINA: Aldo, Aldo. Finalmente. Ti ho cercato dappertutto. Ho
temuto avessi fatto una pazzia.

ALDO: Naturalmente, data la grande stima che hai di me!

ROSALINA: Non fraintendermi. È che ci siamo lasciati così male…

ALDO: Hai detto bene. Ci siamo lasciati. ‘Tu’ mi hai lasciato. Per questo sparisci e non mi seccare.

ROSALINA: Sei pallido. Come se avessi la febbre (gli tocca la fronte)

ALDO: Levami le mani di dosso. Che vuoi, miss Pudore? Hai fatto la tua scelta.

ROSALINA: Tu non stai bene. Di’ la verità. Hai lasciato la città.

ALDO: Come ti salta in mente?

ROSALINA: Non sei affatto bravo a nascondermi la verità.

ALDO: Ti ho detto che non ti nascondo niente e non lo ripeterò ancora.

ROSALINA: Non ti vedevo da tre giorni…

ALDO: Dico, Rosalina. Tuo padre vuole che io ti stia alla larga, no?
Ho soltanto eseguito gli ordini, nulla più, nulla meno.

ROSALINA: Ti ho cercato in piazza, al campo, nei tuoi luoghi abituali…

ALDO: Ho avuto degli impegni. Non sono mica uno sfaccendato.

ROSALINA: Non c’erano nemmeno i tuoi amici.

ALDO: Non sono nemmeno una stupida balia.

ROSALINA: E poco fa ho visto Cesare. Insieme a te è ricomparso per miracolo anche lui. Sergio, invece, ancora non si vede.

ALDO: Lasciami in pace. (rimane immobile per un istante, come se avvertisse un malessere)

ROSALINA (preoccupata): Che hai?

ALDO: Per un attimo mi si è offuscata la vista, ma ora sto bene… (Rosalina fa per abbracciarlo, lui la respinge) Sto bene, ti dico! (pausa) Ma a chi voglio darla a bere? Sta andando tutto in malora! Sergio aveva scoperto il varco per uscire dalle mura.

ROSALINA (allarmata): Il varco?

ALDO (seccato): Sì, Rosalina, il varco. (poi, per un attimo quasi esaltandosi) Approfittando dell’oscurità, due sere fa, siamo usciti dalle mura. Inizialmente è stata un’esperienza esaltante. Abbiamo camminato sino alla marina. Appena giunti lì, ci siamo tolti le scarpe. Sentivo la carezza della sabbia sotto i piedi nudi. Una sensazione che avevo provato forse solo quando ero bambino o forse nemmeno allora. E le luci, Rosalina. Le luci delle navi che correvano lontano. Per un attimo mi son detto: forse c’è Dio in quella luce. Forse c’è, mi sono detto. Darei chissà cosa per vederle ancora. Per essere su una di quelle navi, l’ultimo dei mozzi. Vedere terre nuove, nuovi soli, nuove luci. Sono rimasto abbagliato, felice di questo momentaneo eccitante accecamento. Abbiamo trascorso la notte sulla spiaggia. Al mattino è arrivata un’imbarcazione. C’erano a bordo persone di ogni età, li guidava un giovane biondo. Avrà avuto vent’anni al più; era bellissimo. Si comprendeva che era nato alla libertà. Traghettava quelle genti con amore. Lo avresti creduto un angelo. Quelle persone avevano gli occhi stanchi, il viso spento, ma lui no. Era felice. Sembrava dirmi: io non conosco il buio. Appariva in grado di attraversare l’oscurità senza esserne intaccato. Oh, Rosalina, perché non può accadere questo a me?

ROSALINA: Chi dice che non sia possibile?

ALDO (agitato): Perché li ho incontrati, Rosalina. Li ho veduti con questi miei occhi. Cesare non ha capito, ma io sì. L’ho saputo sin dall’istante in cui mi sono comparsi davanti.

ROSALINA: Chi? Chi hai visto?

ALDO (sempre più agitato): Le ombre! Anime dagli occhi vitrei, dai panni sudici, dai corpi scheletrici, dal ghigno di teschio. Ci hanno inseguito. Ci hanno inseguito. Hanno catturato Sergio e hanno afferrato anche me. Volevano ghermirmi, ma io mi sono divincolato. Mi sono sottratto alla loro presa terribile.

ROSALINA (si fa il segno della croce): Grazie a Dio sei salvo.

ALDO: No, Rosalina, no. Non sono salvo e non c’è Dio.

ROSALINA: Che dici? Non bestemmiare. Lo capisci che Dio è in quella luce che tanto t’innamora. In quell’angelo che ha attraversato la tua strada.

ALDO (urlando): Sono contaminato, Rosalina! Lo so, lo sento! Come lo chiamano i vecchi? Il miasma? Ebbene il miasma è su di me.

ROSALINA: Non puoi saperlo.

ALDO: E invece lo so. Qual è il primo segno della contaminazione?

ROSALINA: Non lo ricordo. Le ombre sono lontane da Candevari ormai da dieci anni e…

ALDO: Te lo dico io. Lo so perché accadde a mia madre. Il primo segno è l’offuscarsi della vista e prima… Ah, lascia perdere e stammi lontana!

ROSALINA (quasi piangendo): Forse sei stanco. Non dormi da giorni. È naturale…

ALDO: Forse già domani non vedrò più il tuo volto.

ROSALINA: Non fare così. È come se mi stringessi il cuore tra le mani, sino a lacerarlo.

ALDO: Lascia che ti guardi ancora una volta, Rosalina. Così, da lontano. Non avvicinarti a me. Non ti ho mai detto che, quando non ci sei, a volte mi scopro a pensarti, perché ti ho dipinta qui (si tocca il petto) E finché avrò vita, anche se i miei occhi non vedranno più la luce, la mente continuerà a sorprendersi della tua bellezza, Rosalina. No, non piangere.
Se quella che sei ora sarà una delle ultime immagini che vedrò, lasciati
vedere sorridente, serena. Serena ancora una volta, Rosalina. (lei sorride) Ora va’, va’. Voglio essere solo quando le ombre arriveranno. (Rosalina
fa per uscire. Poi si ferma. Aldo urla)
Va’ via, Rosalina. Va’ via, sta’ lontana da me. (Rosalina esce di scena. Aldo rimane solo)


SCENA TERZA
Aldo si apparta lateralmente. Entra in scena Norma con un gruppo di bambini. Sono accompagnati da Eleonora.

ELEONORA: Fermatevi qui, bambini. Perché non giocate un po’?

NORMA: Possiamo giocare come vogliamo noi?

ELEONORA: Sì, ma senza farvi male. Fate un bel disegno con i gessetti colorati. Poi, sceglierò il più bello.
Norma e i bambini cominciano a disegnare con i gessetti sul pavimento. Eleonora si avvicina ad Aldo e gli tocca un braccio.

ELEONORA: È un po’ che non ti si vede in giro.

ALDO (si scosta bruscamente): Cosa vi prende, oggi? Tutti attenti a quello che faccio io.

ELEONORA: Non mi pare che sia la prima volta che m’interesso a te, o sbaglio?

ALDO: Non hai paura del paparino? Cosa direbbe il pastore vedendoti qui, ora, con un ragazzo cattivo come me?

ELEONORA: Non sono pavida come Rosalina.

ALDO: Bada a come parli di tua sorella.

ELEONORA: Dico solo che, se un uomo mi piace, me lo prendo, punto e basta. Non mi faccio certamente mettere i piedi in testa da mio padre.

ALDO: Buon per te e beato chi ti avrà nel suo letto.

ELEONORA: Quanto sei volgare!

ALDO: Attenta, non stuzzicarmi, perché potrei toccarti ora, qui davanti ai tuoi studenti. (alzando la voce) Non è forse quello che vuoi? E quello che vuoi non è forse volgare, eh? (si ferma, per evitare di toccarla)

NORMA (ai bambini): Basta con questi gessetti. Facciamo un girotondo? Che dite? (comincia a cantare) Alouette, gentile alouette. Alouette, je te plumerai. (i bambini cominciano il girotondo, cantando con voce
sommessa)
Alouette, gentile alouette. Alouette, je te plumerai.

ELEONORA: Che ti prende, Aldo?

ALDO: Nulla, nulla.

ELEONORA: Sei pallido da far paura. (fa per avvicinarsi)

ALDO (muove le braccia in avanti, come per scostarla, ma nella direzione sbagliata): Levati dai piedi.
I bambini girotondano e cantano: Je te plumerai la tête, je te plumerai
la tête. Alouette, alouette, ah ah…

ELEONORA (gli passa le mani davanti agli occhi e si accorge che Aldo non vede più): Stai meglio, ora?

ALDO (mentendo): Sì, sì, sto meglio. È ora che io vada. Addio, Eleonora. I bambini smettono di cantare e si fermano, come a chiacchierare.

ELEONORA: Arrivederci?

ALDO (sorride): Ma sì, certo. Si dice ‘addio’ come a dire ‘arrivederci’. E del resto, quando si dice ‘arrivederci’, chi può dire se ci si rivede oppure no. E mal che vada, ci si rivede lo stesso. (sghignazza) Magari giù all’inferno, purché ci sia luce. (pausa) Purché ci sia luce. (esce)

ELEONORA (preoccupata e inquieta cerca di richiamarlo): Aldo, Aldo…
I bambini ricominciano a cantare, in girotondo: Alouette, gentile
alouette e così via.

D’improvviso, mentre cantano, il buio cala sulla scena. Il canto muore all’improvviso.

NORMA (terrorizzata): Che succede?

UNA BAMBINA: è arrivata la notte all’improvviso!

ELEONORA (sforzandosi di mantenere la calma): Nulla nulla, bambini. È solo che il Sole ha voglia di giocare e si è nascosto. Ora facciamo insieme una bella cosa. Torniamo tutti alle nostre case, finché dura questo strano scherzo. Però dovete cantare. Cantate, sì. Così il Sole si accorge che non avete paura e smette di confonderci con le sue birichinate. Cantate, bambini. I bambini riprendono a cantare la canzone dell’allodola. Eleonora prende per mano Norma, che a sua volta dà la mano a un altro bambino e così a seguire. Cantando, escono di scena.


SCENA QUARTA
Entra in scena gente del popolo, che si fa luce con le torce e questa
illuminazione fioca caratterizzerà la prosecuzione della pièce. Ci sono
anche il sindaco, il pastore e la scolta.

IL SINDACO: Una misteriosa calamità è calata su di noi.

IL PASTORE: Le ombre, Amedeo. Qualcuno ha infranto la legge di Candevari e oltrepassato le mura.

LA SCOLTA: Non è possibile, signor pastore. Le dico che la sorveglianza è rigorosissima.

IL PASTORE: Eppure è accaduto. Non c’è altra spiegazione.

IL SINDACO: Sì, anche quindici anni fa la comparsa del miasma fu segnata dall’oscuramento del Sole. Lo ricordo bene anche io.

IL PASTORE: Chi era di guardia nelle ultime ore?

LA SCOLTA: Io, Signore. E non ho notato nulla di strano.

IL SINDACO: E nei giorni precedenti?

LA SCOLTA: Nulla. Ne sono certo. E anche gli altri possibili accessi sono stati sempre presidiati da persone di fiducia.

IL SINDACO: Anche… (reticente, alludendo al varco)

LA SCOLTA: Anche, signor sindaco.

IL PASTORE: E chi era a guardia del…

LA SCOLTA: Mio figlio Nito.

IL SINDACO (irato): Incosciente! Affidare un punto strategico così delicato a un ragazzino.

LA SCOLTA: Mio figlio avrà senz’altro svolto al meglio il suo compito.

IL SINDACO: Lo si faccia venire.

NITO (facendosi largo tra la folla): Sono qui, signore.

IL SINDACO: Vieni avanti, ragazzo.

NITO: Come vuole, signore.

IL SINDACO: Credi che qualcuno possa avere attraversato il varco nelle ultime ore?

NITO: Nelle ultime no, signore.

IL SINDACO: E ieri?

NITO: Neppure, signore.

IL SINDACO: E tre giorni fa?
Nito non risponde.

LA SCOLTA (speranzoso): Rispondi, Benito.

NITO: Forse. Non lo so.

LA SCOLTA: Come sarebbe che non lo sai?

NITO: Sarebbe quello che ho detto.

LA SCOLTA: E allora spiegalo.

NITO (quasi sussurrando): Dormivo, padre.

LA SCOLTA: Parla più forte, perché non ti sento.

NITO (urla): Dormivo, padre.

LA SCOLTA (incredulo): Tu… dormivi?

NITO (quasi piangendo): Sì, padre. Dormivo. Era la mia prima volta.
Ero solo. Ero stanco. È stato più forte di me.

IL PASTORE (al sindaco): L’ira del Signore è su di noi.

UNA GUARDIA entra trascinando Cassandra. Dietro di lui, altre due guardie strattonano Elsa ed Ester. Eleonora entra correndo in scena.


SCENA QUINTA

ELEONORA: Cosa succede? (entra in scena) Babbo, perché il buio è calato sulla città? I bambini sono terrorizzati.

IL PASTORE: I confini sono stati violati. Qualcuno è entrato o uscito da Candevari per poi tornarvi e portare con sé… il miasma.
Grido soffocato di Eleonora.

IL SINDACO (alle guardie): Chi sono quelle donne?

UNA GUARDIA: Le abbiamo scovate nel vecchio mulino. Un’anziana signora che abita nei dintorni aveva notato strani movimenti. Le abbiamo arrestate e condotte qui.

IL SINDACO: Chi siete, donne?
Cassandra si libera dalla stretta e si getta ai piedi del Sindaco.

CASSANDRA: Siamo supplici, Signore. Sfuggite alla morte in Epiro, chiediamo asilo in questo paese.

IL SINDACO: È così che chiedete asilo? Nascondendovi?

CASSANDRA: Appena giunte qui, abbiamo saputo che non ‘gradite’ gli stranieri e abbiamo avuto paura.

IL SINDACO: La vostra condotta è intollerabile.

CASSANDRA: Quello che dice è vero, Signore, ma consideri la nostra condizione. Imploriamo pietà. E baciamo questa terra accogliente.
(bacia la terra)

ESTER: Cassandra ha ragione, Signore. È solo un po’ di pace ciò che chiediamo.

ELEONORA: E invece avete portato la contaminazione a Candevari. Avete distrutto la ‘nostra’ pace.

IL PASTORE: Eppure non sembrano contaminate dal miasma.

ELEONORA: Sai bene, padre, che non sempre la contaminazione è evidente.

CASSANDRA: Io so di cosa parlate. Avete paura delle ombre. Capisco i vostri timori, ma vi sbagliate. Altre ombre hanno distrutto la nostra vita. Guardateci, non siamo figlie della notte. Chiediamo solo di vivere, lavorare, amare, finire la nostra esistenza dolcemente nella vostra terra. Non è, in fondo, quello che chiede ogni essere umano?

IL SINDACO: Avreste dovuto chiedere, non imporre la vostra presenza.

CASSANDRA: Ma noi non abbiamo imposto nulla. Ce ne stavamo lì, rintanate nel mulino, senza vedere la luce del Sole.

ELEONORA: La luce del Sole non la vediamo più neanche noi. E di certo è per causa vostra. Meritate di essere lapidate.

CASSANDRA: Lapidate? Perché? Cosa vi abbiamo fatto?

ELEONORA: È questa la pena per chi infrange il nostro divieto.

CASSANDRA: Almeno lasciateci libere. Ce ne andremo. Non potete punirci con la morte.

ELEONORA: Sì, invece. Non avevate il diritto di entrare nella nostra terra. Siete state la nostra rovina. Se potessi, scaglierei io stessa la prima pietra.

IL PASTORE: Eleonora…

IL SINDACO: Tua figlia ha ragione. Meritano la lapidazione, questo è certo.


SCENA SESTA
Entra Rosalina, che aveva osservato non vista la scena, negli ultimi
istanti.

ROSALINA: No. (Tutti si voltano verso di lei). Non sono loro ad aver portato la contaminazione qui.

IL PASTORE: E tu che ne sai, Rosalina?

ROSALINA: Lo so… e basta.

IL SINDACO: Parla, allora.

ROSALINA: A che servirebbe? Ad alimentare questa spirale di odio, di rancore…

IL SINDACO: Non c’è odio, qui, ma solo sete di giustizia.

ROSALINA: Giustizia? Allora indagate. Accusare queste donne di essere la causa della nostra sciagura potrebbe rivelarsi un tragico errore.

IL SINDACO: Il loro ingresso in città è stato un tragico errore.

ROSALINA: Qualcuno di voi può dimostrarlo?

IL SINDACO: I fatti parlando da sé. Loro entrano in città e il miasma si abbatte su di noi. Cos’altro c’è da sapere?

ROSALINA: Qualcun altro potrebbe avere scoperto il varco e…

ELEONORA: Stai zitta; Rosalina! Vuoi?…

ROSALINA: Io non voglio nulla, Eleonora. E cosa potrei mai volere io, che non sono nessuno? Chiedo solo che si valutino i fatti, prima di procedere. Nulla più.

IL SINDACO: Non c’è tempo di indagare. Bisogna provvedere subito. Vorrà dire che voteremo. Sarà il popolo a decidere, com’è giusto che accada in una democrazia.

ROSALINA: Il popolo non è a conoscenza dei fatti. Ascolta e comprende quello che vuole comprendere. È comodo attribuire tutte le colpe allo straniero. Io non ritengo…

IL SINDACO: Tu non ritieni cosa? Chi credi di essere, ragazzina? A stento sei stata svezzata e vuoi comportarti come se fossi tu il Sindaco, il rappresentante dell’autorità.

IL PASTORE: Eppure io credo che in questo caso Rosalina abbia ragione. Forse in questo momento è Dio che parla attraverso di lei.

IL SINDACO: Ecco, bravo, tu occupati di Dio. Di’ pure le tue preghiere e io dirò le mie. Ma questa questione deve essere regolata dal popolo.

IL PASTORE: Il popolo non può decidere su tutto. Deve farlo chi ha discernimento. Le masse corrono col vento. Non a caso Machiavelli diceva che “nel mondo non è se non vulgo”…

IL SINDACO: Un prete che cita Machiavelli. Dovevo arrivare a questa strana giornata per sentire una cosa del genere. (pausa) Si proceda alla
votazione.

CASSANDRA: Un istante, un istante solo. Se abbiamo violato le vostre leggi, vi chiediamo perdono. Non le conoscevamo. Che la nostra ignoranza possa giustificare la trasgressione. Se vi abbiamo causato dolore, vi chiediamo perdono. Andremo lontane da qui. Non sentirete più parlare di noi. Per voi sarà come se non fossimo mai esistite.

ELEONORA: E infatti così sarà tra poco.

CASSANDRA: Pensateci come vostre sorelle. Sorelle che vivono in un’altra terra, ma sempre legate a voi dalla voce del sangue. Pensateci come sorelle. Avreste la forza di lapidare qualcuno della vostra famiglia? Avreste questo coraggio? Andremo via, ve lo prometto. Lasciateci vivere…

IL SINDACO (incurante): Si proceda alla votazione.

CASSANDRA (lancia un urlo. Poi ispirata): Un ragazzo… è bello come un dio. La sua vita è ormai al buio. I suoi piedi nudi salgono su una sedia… Cosa vuoi fare? Che significa quel cappio che pende dal soffitto? Il dolore ti acceca! La follia… No! Non farlo!!! Noooooo!

ROSALINA (che ha compreso, si lascia sfuggire un singhiozzo)

IL SINDACO (senza lasciarsi scalfire): Si proceda alla votazione. Vita. (Solo Rosalina, il pastore e pochi altri alzano la mano). Morte (la
maggioranza, a cominciare da Eleonora, vota per la pena capitale)

CASSANDRA: E sia. Ma sappiate che la collera divina è sempre pronta a colpire ogni terra inospitale. Non vincerete la contaminazione, perché oramai ha intaccato il vostro cuore. Ed è tardi. Tardi. (si vela il capo di nero e si pone a centro scena. Avanzano dignitose anche Ester ed Elsa, con il capo velato)

ROSALINA: Seguirò il loro destino. Nulla, oramai, potrà più avere alcun senso.

PASTORE (disperato): Rosalina.

ROSALINA: Questa città è morta. (va a centro scena. Con fierezza, cala il velo nero sul suo viso).

ELEONORA (come pazza): Rosalina, Rosalina, non essere sciocca. Non devi seguire il loro destino. Tu non sei come loro.

ROSALINA: Di certo non sono come voi.

ELEONORA (alla folla): Non vi accanirete contro Rosalina, vero? Non lo farete contro una di voi, vero? Guardatela, è la figlia del pastore. È cresciuta tra queste mura. Ponete fine a questa pazzia.

La fioca luce in scena si spegne lentamente, sulle note di Veris laeta
facies, con la folla che si accinge alla lapidazione.
Mentre il velario cala, si ode l’urlo di
ELEONORA: Ah! Non vedo,
non vedo più. Il miasma è su di me.

FINE