Dramatis personae.
Aldo, giovane inquieto.
Rosalina, figlia del pastore, innamorata di Aldo.
Eleonora, sorella di Rosalina.
Il Sindaco di Candevari
Il Pastore.
Cassandra, straniera.
Elsa ed Ester, compagne di Cassandra.
Sergio e Cesare, compagni di Aldo.
La scolta.
Nito, figlio della scolta.
Norma, figlia del pastore.
Alcune guardie, comparse.
Alcuni bambini e la folla, comparse.

SCENA PRIMA
Candevari. Presso le mura. Montano di guardia una scolta e suo figlio, Benito, ragazzo intorno ai sedici anni.

SCOLTA: Tieni le gambe ben salde e gli occhi ben aperti, giovanotto!
Il nostro è un compito importante. Tenere le ombre lontane dalla città!

NITO: Le ombre! Le ombre! Tu e gli altri vecchi non fate che parlarne…

SCOLTA: Cos’è questo tono? Io non ho mai parlato così a mio padre.
E sì che erano altri tempi… Potevo uscire, vedere il sole sorgere e tramontare, guardare in lontananza le luci che preannunciavano la vicinanza di altre città. Viaggiare, con l’alba negli occhi e la polvere sui sandali.

NITO: Viaggiare! Sembra quasi che tu ci goda a rammentarmi quello che non ho mai fatto e non potrò fare mai.

SCOLTA: Mai? Non esagerare, Nito. Vedrai che l’anno nuovo si porterà via le ombre!

NITO: Lo dicevi anche di questo. E del precedente ancora e forse anche dell’anno prima. Forse… difatti non ne ho memoria, babbo. Questi giorni sempre uguali si fa a fatica a distinguerli l’uno dall’altro. Oggi potrebbe essere ieri e avantieri non era diverso.

SCOLTA: Adolescenti, tutti della stessa pasta. Sempre a lamentarvi.
Mai che siate propositivi.

NITO: E tu? Cosa hai da offrirmi di ‘propositivo’ se non il ricordo di luci di non so quanti secoli fa?

SCOLTA: È qui che sbagli, ragazzo. Io sento che quelle luci le vedrò ancora. Un giorno, proprio su questo bastione, qualcosa che balena all’orizzonte attirerà il mio sguardo. (Nito si alza, come affascinato, e si avvicina al padre) Un bagliore, che dalla pianura salirà a baciare i campi ora così grigi e poi scenderà come una lama d’argento sulle acque e infine sulle nubi, per riflettersi nel mio sguardo. Io quella luce la vedrò ancora e sarà il segnale. Il segnale della vittoria di noi piccoli uomini su questo tempo di morte. Il segnale che potremo scendere in strada e festeggiare.
(chiude gli occhi)
Già mi sembra di vederla questa luce, una luce nuova ma dal chiarore antico. E tu, Nito, puoi vederla? Riesci a farlo?

NITO: No, padre. Non riesco nemmeno a immaginarla.

SCOLTA: Resta di guardia tu. Ho bisogno di riposare. E se vedi le ombre avvicinarsi alla città, ti ho già spiegato come procedere.

NITO: Dormi, tranquillo. Le vostre ombre non si manifestano più da dieci anni almeno.

SCOLTA: E bada a che nessuno esca dalle mura. Sono subdole quelle
streghe. Aspettano che si infranga la consegna e si fugga dalla città, per portare qui tra noi ancora morte e sventura.

NITO: Dormi, tranquillo. Dovrete pure cominciare a fidarvi di noi…
Ho sedici anni, ormai. Non sono più un ragazzino sprovveduto e indifeso.

SCOLTA: Lo so, Nito. Lo so. Ma ricorda sempre ciò che ho detto.
(Esce, con un cenno di saluto).


SCENA SECONDA
All’uscita del padre, Benito siede, con la lancia in resta. Tre ragazzi, intorno ai diciotto anni d’età, entrano concitatamente. Sono belli, corrono a piedi scalzi e torso nudo. Hanno appena terminato una partita.
Ridono e scherzano. Aldo, il leader, ha i capelli biondi; è spavaldo, ha con sé un pallone e lo scaraventa contro Sergio, uno dei due compagni.

ALDO: In guardia, idiota…

SERGIO: Maledizione, Aldo! Mi hai fatto male!

ALDO: Oh, povero caro… Se vuoi posso farti ancora più male, tesoro.

SERGIO: Impiccati!

ALDO (vede Nito): Guardate chi c’è. Il figlio della scolta!

CESARE: Benito la verginella.

NITO: Lasciatemi stare, idioti!

ALDO (sferrandogli un calcio): Porta rispetto al tuo dio, inutile bamboccio.

NITO si pulisce il viso con il gomito e poi sputa.

ALDO: Che fai, imbecille?

NITO (alzandosi): Non voglio sentire il tuo sudiciume sulle mie labbra.

ALDO (lo spinge. Nito cade): Dicevi?

NITO (cercando di alzarsi): Quello che ho detto.

ALDO (gli assesta un altro calcio): Attento a quello che fai, ragazzino. Potresti pentirtene.

CESARE: E cosa gli farai, Aldo? Sono davvero curioso.

ALDO: Qualunque cosa io faccia, credo gli piacerà. Ha gusti diversi da noi il nostro guardiano delle ombre. (Cesare e Sergio ridono)

NITO: Andate al Diavolo.

ALDO: Pur di fuggire da questo dormitorio, andrei volentieri anche da lui. Dicono non sia poi così brutto.

CESARE: Pensavo preferissi gli angeli. Almeno a giudicare da come guardi Rosalina.

ALDO: Fottiti!

SERGIO: Non c’è nulla di male a desiderare la figlia del pastore. Anche se, lasciatelo dire, caro mio, non sei alla sua altezza.

ALDO: Senti chi parla di non essere all’altezza… A stento mi arrivi alla spalla, tappetto. (a Nito) Di’ un po’, verginella. Tuo padre deve averti raccontato numerose cose, visto che vuole farti prendere il suo posto.

NITO (sprezzante): Se anche fosse, non le direi certo a te. (poi, ironicamente) Ops, ho usato un congiuntivo. Ho fatto male? Mi avete capito lo stesso? Nel caso in cui non aveste inteso (accidenti a questi congiuntivi), ve lo ripeto nella vostra lingua. Fatevi i cazzi vostri.

ALDO: Incredibile, anche le vergini dicono le parolacce. (gli prende il viso tra le mani, con forza) Bada, Benito! La tua impertinenza comincia a irritarmi.

NITO (c.s.): La cosa mi riguarda poco…

ALDO (più forte): Questo è tutto da vedere, ragazzina.

CESARE: Dico, Aldo, vuoi ammazzarlo?

ALDO (c.s.): Voglio solo che mi indichi la strada, tutto qui.

NITO: Io indicarti la strada? Dico, mi ha preso per Gesù Cristo?

ALDO: Smetti di sfidarmi, babbeo. Parlo del sistema per uscire dalle mura. Riesci a capire, ora, o vuoi continuare a fare l’indiano?

NITO: Non ne so nulla, io.

ALDO (stringe più forte): No, verginella. Ancora non ci siamo. Continui a fare il duro, ma non hai capito con chi hai a che fare.

NITO (urla, stanco, mentendo): Ti ho detto che non so nulla! Cioè, so che un varco c’è, ma non so dove sia. Mio padre ancora non si fida.

ALDO: E allora fai in modo che si fidi, presto, ragazzo. (Lo lascia andare) Allora restiamo d’intesa così.

NITO (duro): Io non faccio accordi con te.

ALDO (sornione): Come ho detto anche prima, questo è tutto da vedere.


SCENA TERZA
Rumori dall’esterno. Entrano due ragazze e una bambina. Sono tre sorelle, le figlie del pastore. Eleonora, capelli biondi, è la maggiore. Di bell’aspetto, ha un incedere altezzoso; Rosalina, la secondogenita, dell’età di Aldo, è bruna e piena di grazia. La più piccola, Norma, ha i capelli ricci e cammina come se danzasse. Al loro arrivo, Sergio e Cesare indietreggiano; Nito torna al suo lavoro e Aldo rimane, come sospeso, a guardarle.

NORMA: J’ai lu. Tu as lu. Il-elle a lu. Nous sommes…

ELEONORA: Norma, quante volte devo ripeterti che “nous sommes” è il presente del “verbo essere”. Si dice…

ALDO: Nous avons lu.

ELEONORA: Incredibile, Aldo. Ti avrei detto completamente ignorante.

ALDO: Oh, ma io sono una sorgente inesauribile di soprese (si avvicina a Rosalina).

ELEONORA (civettuola): Di questo nessuna di noi dubitava. Puoi ricominciare, Norma…

NORMA: Nous avons lu. Vous… vous… Oh, ma insomma, che senso ha studiare lingue che non parleremo mai? Hai forse visto uno straniero – un francese, poi – in questa città? Non ha senso.

ELEONORA: Smettila di lamentarti e fai il tuo dovere. La cultura ha valore di per sé. Dovresti saperlo. E poi il francese è pura grazia. È pari a un cinguettio. Parlarlo potrebbe renderti più graziosa, anche se, detto fra
noi, è un’impresa disperata.

NORMA: Gentile.

ROSALINA: Eleonora, non dire cattiverie!

ELEONORA: La verità, qualunque sia, è sempre scomoda. Su, Norma, ricominciamo. Ah, giusto per concludere: dovresti essere felice del fatto che gli stranieri non possano più arrivare da noi. È gente infetta, inutile; sono stati loro, anni fa, a portare le ombre nella quiete delle nostre case.

ROSALINA: Per quel che ne so io, il primo è stato un commerciante di stoffe della famiglia Antinori. Candevarese come me e te, figlio di candevarese e nipote di candevaresi.

ELEONORA: Cosa c’entra? Quell’uomo viaggiava per lavoro. Era una necessità. E aveva tutto il diritto di farlo.

ROSALINA: E quanti tentano di entrare dall’Epiro in guerra? Non è forse una necessità anche la loro?

ELEONORA: No, cara. È una situazione ben diversa. Questa terra non gli appartiene. (volgendosi verso Aldo) Dico bene? Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi tu, Aldo.

CESARE (beffardo): Perché, Aldo pensa, forse?

ALDO (gli dà una pacca sulla spalla): Sta’ zitto, cornacchia!

SERGIO ride. Aldo lo fulmina con lo sguardo.

ELEONORA: Allora, Aldo?

ALDO: Cosa devo pensarne? Candevari è un tale mortorio che chi vuole entrarvi può essere soltanto un perfetto idiota!

SERGIO: Ben detto.

CESARE: Stranieri non ne vogliamo. Questa città è troppo piccola.
Già per noi è soffocante. Vomitevole, direi (finge un conato).

SERGIO: E poi vengono a rubarci il lavoro.

ALDO (ironico): Sicuro, quel ‘bel’ lavoro misero e lurido. Quello splendido lavoro da pezzenti che c’è qui. Guarda, stiamo tutti sgomitando per andare a raccogliere i pomodori!

ROSALINA (alludendo alla loro tenuta, a piedi scalzi e a torso nudo):
Infatti si vede che vi consumate dalla fatica. Non credo che abbiate mai lavorato, voialtri.

ELEONORA: Non essere noiosa, Rosalina! Sono giovani. Sono sani; è chiaro che vogliano divertirsi. E poi lo sport tonifica e irrobustisce il corpo. (con aria sorniona) Di certo non farebbe male nemmeno a te, così secca e inacidita.

NORMA: E neppure a me. Non capisco perché continui a torturarmi con questo francese, quando potresti darmi qualche lezione di danza.

ELEONORA: Potrei, questo è chiaro, ma non lo voglio. E continuerò a tormentarti col francese sino a quando non otterrò risultati. Su, andiamo. Ripeti con me. “Nous avons lu”.

INSIEME (uscendo): Nous avons lu, vous avez lu… (continuano. Le loro voci echeggiano fuori scena).
Rosalina esita. Aldo fa cenno ai suoi due compari, che escono, giocando a lanciarsi la palla. Aldo si avvicina a Rosalina.


SCENA QUARTA

ALDO (la cinge con le braccia): Finalmente soli.

ROSALINA (si sottrae alla presa): Battuta un po’ scontata. Hai vinto il premio per il miglior cliché.

ALDO (ironico): Almeno sono il migliore in qualche cosa. Comunque, grazie davvero per l’entusiasmo.

ROSALINA: Avresti potuto sostenermi, almeno una volta.

ALDO: Sai che sono un ragazzo sincero.

ROSALINA: Già, fin troppo. Oserei dire che il più delle volte sei addirittura brutale.

ALDO (avvicinandosi nuovamente a lei): Cose che non ti sono mai dispiaciute…

ROSALINA: La verità è che siamo troppo diversi. Guarda Eleonora. Insieme sareste perfetti. Siete molto simili.

ALDO: Guarda che mi offendo.

ROSALINA: Sì, ha le sue idee balzane, ma in fondo è una brava ragazza. E tu le piaci, lo vedo. Non fa che stuzzicarti. Faresti meglio a rivolgere a lei le tue attenzioni.

ALDO: Che cazzo, dici, Rosalina? Se non ti interesso più, dillo e basta, senza fare tanti giri.

ROSALINA: Non essere volgare, Aldo.

ALDO: Io forse sarò anche volgare, ma prima o poi tu mi farai diventare matto.

ROSALINA: Perché, perché dico quello che il buon senso suggerirebbe a chiunque?

ALDO: Non è il buon senso che ti spinge verso di me. È altro quello che vuoi, o sbaglio?

ROSALINA: Uomini, non avete che un chiodo fisso!

ALDO: Insomma, Rosalina. Non vedi che siamo circondati da gente che ha solo paura della morte. E per questa paura non hai mai vissuto. Io desidero solo sentirmi vivo e il sesso, sì, il sesso, quella parola che ti fa tanto orrore, è parte di tutto questo.

ROSALINA (sdegnata): Aldo!

ALDO: Ammettilo, figlia del pastore. Ammettilo: per una volta, non essere ipocrita!

ROSALINA: Il fatto di avere un briciolo di senso del pudore e di non essere arroganti e brutali non significa essere ipocriti!

ALDO: Il tuo non è ‘un briciolo’ di pudore. È una carrata, un oceano, una montagna. Ah, ma riuscirò a lavarmici le mani in quell’oceano. Parola mia.

ROSALINA: Questo lo vedremo.

ALDO (tenta di baciarla): Smettila di parlare e abbandonati, Rosalina. Al Diavolo le esitazioni inutili…

ROSALINA: Finiscila, Aldo.

ALDO (si scosta, piccato): Va’ a farti fottere! Che poi nemmeno lo faresti. Sei peggio di una monaca. (siede, su una panca sulle mura. Rosalina si pente di averlo fatto irritare).

ROSALINA (si avvicina): Su, amore, ora non avercela con me.

ALDO: Mi chiami amore? Che gentile concessione. Il tuo amore è peggio del latte scaldato.

ROSALINA (si siede, lo accarezza): Non essere scortese con chi ti adora.

ALDO: E dove sarebbe questa persona che mi adora? Ah, ho capito: parli del figlio della scolta, che siede laggiù a far la guardia a non so cosa. Beh, non sono uno che gioca nella sua ‘squadra’, ma mi darebbe più soddisfazioni di te. Ovviamente sto usando una di quelle che voi persone colte chiamate ‘metafore’.

ROSALINA: Una metafora piuttosto scollacciata, a dire il vero.

ALDO: Se anche in questo chiostro entra qualcosa di scollacciato, non aver paura. La temperatura resterà comunque inferiore a zero gradi. Non c’è pericolo di surriscaldamento.

ROSALINA: Sei un pagliaccio! Comunque, non stento a credere che tu piaccia ad altri e ad altre. Sto per dire un’ovvietà, ma sei bello che potrebbe averti scolpito Michelangelo.

ALDO: Questo lo so (e so anche chi è Michelangelo, ma non provare a interrogarmi).

ROSALINA: Mi stai sfidando?

ALDO: Il problema, per te, comincia quando apro bocca… Allora sai che ti dico? Sarò io a costringerti a tacere! (con astuzia, la ribalta e la forza a giacere sulla panca).

ROSALINA (divincolandosi): Sciocco, lasciami andare.

ALDO la bacia con foga.

ROSALINA: Smettila! (lo spinge e si rialza. Aldo allora resta sornione, sdraiato, ad aspettarla sulla panca).
Arriva una guardia e prende il posto di Nito, che si allontana, lanciando un’occhiataccia ad Aldo.

ALDO: Rosalina, Rosalina, Rosalina.

ROSALINA: Che c’è?

ALDO: C’è che tu mi respingi e quelle mura mi chiamano, come una sirena il marinaio (e non dirmi che, a volte, i marinai fanno naufragio).
C’è che sono giovane e pieno di desiderio e non ho fatto voto di castità.
C’è che potrei stancarmi di aspettare.


SCENA QUINTA
Entra il pastore, con Eleonora e Norma.

IL PASTORE: Aspettare cosa, giovanotto?

ALDO (si rialza): Nulla, signore. Si parlava così, per scherzo. Nulla di serio, signor pastore.

ROSALINA: Già, babbo. Il nostro Aldo è sempre di buon umore.

IL PASTORE: ‘Nostro’? Vedo che siete decisamente in confidenza. Sarà il caso che tu vada a farti una doccia e a vestirti, ragazzo. E ti aspetto alla funzione, tra un’ora.

ALDO: Sicuro, pastore. Non mancherò. (congedandosi) Eleonora, Norma… (ammiccante) Rosalina…
Rosalina fa un inchino, rossa per l’imbarazzo. Aldo esce, sorridendole
sornione.

IL PASTORE: Rosalina, trovo del tutto inopportuno che tu rimanga sola con quel ragazzo. Per carità, suo padre è una degnissima persona, ma lui… è un incorreggibile, uno scapestrato…

ROSALINA: Babbo, per favore, non essere duro!

IL PASTORE: Devo esserlo per te, che sei troppo morbida con il prossimo. E non ti rendi conto del fatto che potresti dare adito a chiacchiere.

ROSALINA: Hai ragione. Ti chiedo perdono.

IL PASTORE: Non ce n’è bisogno. È sufficiente che in futuro tu sia più accorta, Rosalina.
Rumore viene all’esterno. Entra un gruppo di comparse guidate dal
Sindaco.

IL SINDACO: Insomma, smettete di tormentarmi con le vostre domande! Se il problema si presenterà, allora cercheremo di risolverlo.

IL PASTORE: Che succede, Amedeo?

IL SINDACO: Seccature, seccature, sempre seccature! Si sono moltiplicati i numeri di quanti cercano di entrare a Candevari dall’Epiro! L’esercito sinora è riuscito a tenerli a bada, ma la situazione è sul punto di esplodere.

ELEONORA: È inconcepibile! Porteranno con sé la contaminazione delle ombre… Bisogna impedirlo!

IL SINDACO: È quanto stiamo cercando di fare! Ma la pressione è ormai giunta al limite.

ROSALINA: Povera gente, in fondo che male potranno mai farci? Le ombre non si sono più manifestate da dieci anni. Forse è ora di riaprire le porte della nostra città e…

IL PASTORE: Sono questioni che devono essere discusse da uomini e adulti, signorine. (al sindaco) Sono certo, Amedeo, che l’esercito saprà rimediare al meglio a questa ‘pressione’. (alla folla) E quanto a voi, gente, vi attendo in chiesa tra quaranta minuti. Siate verso Gesù Cristo più accoglienti di quanto lo siete con quei poveri senzaterra. (Esce, seguito dal sindaco e dagli altri. Restano in scena Rosalina ed Eleonora).

ELEONORA (alla sorella): Che hai intenzione di fare, ora?

ROSALINA: A cosa ti riferisci?

ELEONORA: Non fingere di non capire. Sto parlando di Aldo. Nostro padre è stato chiaro.

ROSALINA: Già e quello che vale per me, vale anche per te.
(Aldo, ben vestito, pronto a recarsi alla funzione, si affaccia, non veduto).

ELEONORA: Cosa vuoi dire?

ROSALINA: Ora sei tu che fai la finta tonta. So benissimo che anche tu desideri Aldo.

ELEONORA (ride): Io? Cosa te lo fa pensare?

ROSALINA: Tutto, Eleonora. Tutto. E so che non mi sbaglio.

ELEONORA: In ogni caso devi dimenticarti di lui. A nostro padre non piace e quello che il padre comanda è legge. Dovresti saperlo, cara. E ora, con permesso. Torno ai miei doveri di istitutrice dei nostri ‘adorabili’ fanciulli. Quei marmocchi sono così odiosi che persino le ombre li andrebbero scansando (esce).

ROSALINA (furente): Sta’ lontana da lui! (scoppia in lacrime. Aldo
sopraggiunge)


SCENA SESTA
Aldo e Rosalina.

ALDO: Che succede, Rosalina?

ROSALINA: Nulla, nulla, Aldo. Un po’ di stanchezza, niente di più.

ALDO: Stanchezza? (la strattona) Perché non mi dici la verità, eh?

ROSALINA: Lasciami, mi fai male.

ALDO: Di’ un po’; sei tesa perché a tuo padre non piaccio, eh?

ROSALINA: Calmati, per favore.

ALDO: No, io non mi calmo! Voglio berlo fino in fondo questo veleno che mi intossica l’anima giorno per giorno. Sai dirmi perché sono nato con la luna di traverso? Col cielo sbagliato? Perché così è, non è vero?

ROSALINA: Io non lo credo.

ALDO: E allora vieni via con me! Lasciamo queste mura del pianto.
Andiamo a vedere le luci fuori da questo cimitero vivente.

ROSALINA: Le luci o… le ombre.

ALDO: Le luci, Rosalina. Le luci. Mia madre me ne parlava sempre.

ROSALINA: Prima che le ombre la rapissero alla vita.

ALDO: Ombre ombre ombre! Voi donne non sapete parlare d’altro. C’è un mondo là fuori che non è solo ombre ed Epiro in guerra… E io voglio vederlo.

ROSALINA: Tutto il mondo, Aldo, è stato sconvolto dal buio. Dovresti saperlo.

ALDO: Invece no. Gli altri popoli vivono, si riproducono, folleggiano, danzano! Solo noi ci siamo rinchiusi in questo lutto perenne che non conosce variare di stagioni.

ROSALINA: Resta qui con me, Aldo. Le ombre là fuori mi spaventano. Quelle del cuore di un padre apprensivo, invece, si possono fugare.

ALDO: Sono stanco, Rosalina. Troverò il modo di andare via. E se
non vuoi venire con me, me ne farò una ragione (esce).

ROSALINA (irritata): Maledizione (esce).


SCENA SETTIMA
Entrano tre donne, vestite di nero. I loro nomi sono Cassandra, Elsa ed Ester. Fuggono dall’Epiro.

CASSANDRA: Ti saluto, terra accogliente! In te parla una bellezza antica che sempre si rinnova.

ELSA: Ancora temo di veder comparire dietro l’angolo uno di quei carnefici in divisa.

ESTER: E io ho ancora davanti agli occhi il bambino di mia sorella. Il soldato dal volto di cera che l’ha lanciato in aria e infilzato con la lama della sua baionetta! (angosciata) Che orrore! Lo rivivo ogni istante.

CASSANDRA: Questi ricordi purtroppo non ci abbandoneranno mai.
Saranno la nostra spina nel cuore. Ma ora siamo a Candevari, tra gente civile. Qui nessuno più potrà farci del male.

ELSA: Vorrei crederci, Cassandra.

ESTER: Anche io ho tanti dubbi. Ho perso ogni fiducia nell’uomo…
Entra Rosalina, agitata. Si ferma.

ROSALINA: Chi siete? Non vi ho mai viste qui in città.

CASSANDRA: Che tu sia benedetta, ragazza di Candevari! Siamo straniere. Veniamo dall’Epiro…

ROSALINA: Dall’Epiro? E come?

CASSANDRA: Alcuni nostri compatrioti ci hanno insegnato un punto in cui l’attraversamento delle mura è più agevole. E ora siamo qui a chiedervi asilo.

ROSALINA: Per carità, non fatevi vedere. Qui a Candevari la gente ha terrore degli stranieri. È per colpa delle ombre.

CASSANDRA: Ombre? Ah, capisco. Tutti ne parlavano, in Epiro.
(pausa, poi, con rinnovata fiducia) Mai noi siamo sane! Guardami. Le uniche ombre che porto con me sono le ferite di una guerra durata oramai
troppi anni.

ESTER: Io ho visto mio nipote ucciso dai soldati con questi miei occhi. E poi è stato il turno di mia sorella che si era lanciata così, come una pazza, contro il soldato assassino. Sono queste le mie ombre.

ROSALINA: Dovete nascondervi. Il momento purtroppo non è favorevole. Correreste il rischio di essere espulse. Uccise, addirittura.

ELSA: Questo no! Per carità.

CASSANDRA: Dove nasconderci, brava giovane?

ROSALINA: Rosalina…

CASSANDRA: Dove, Rosalina?

ROSALINA (pensosa, poi, più sicura): C’è un vecchio mulino dismesso, lungo le mura. I ragazzi giocano a palla tra le rovine, ma nessuno vi si addentra mai. Quello potrebbe essere il luogo più adatto. Certo, non ci starete comodamente, ma…

CASSANDRA: Oh, non sarà un problema per noi.

ELSA: Ormai siamo abituate a qualunque sacrificio.

ROSALINA: Venite con me. Vi insegnerò la strada. E spero tanto che nessuno ci noti…

CASSANDRA: Dio ti benedica. Su, presto, andiamo (escono tutte).


SCENA OTTAVA
Entrano Aldo, Sergio e Cesare, confabulando concitatamente tra loro.

ALDO: Ne sei proprio sicuro?

SERGIO: Ma certo! Che pensi: che dica panzane?

CESARE: Non sarebbe una novità, carnevale come sei.

SERGIO (solleva il pugno): Attento a come parli, ricchioncello!

CESARE: Ricchioncello ci sarai tu!

ALDO: Piantatela! (beffardo) Farete l’amore un’altra volta…

CESARE: Strozzati.

ALDO: Insomma, Sergio, tu sostieni di aver visto delle donne varcare le mura.

SERGIO: Io non ‘sostengo’, io ‘ho’ visto.

ALDO: Il punto a cui alludeva Benito.

SERGIO: Già, però la verginella ci ha mentito. Infatti, di guardia c’è proprio lui. O meglio, dovrebbe essere di guardia, perché… udite udite, Nituccio bello si è addormentato.
Ridono.

ALDO: (ride) Imbecille, faceva il prezioso e invece l’abbiamo fregato.

SERGIO: Un momento, ‘io’ l’ho fregato.

ALDO: Ehi, dito mignolo, poche storie. Non siamo sempre stati una squadra?

SERGIO (gli mostra il dito medio): Quando ti fa comodo, adoncino.

ALDO: Sta’ a sentire, teppistello. Ora tu ci porterai al varco e, tempo un’ora, saremo fuori da qui. Mi pare già di vedere la luce. Andare verso la gioia, la pienezza. Cominciare a vivere, una buona volta. Non è un sogno? Di’ un po’ Cesare, non ti sembra bellissimo?

CESARE: Non lo so, Aldo. Tutto troppo semplice e… complicato allo stesso tempo.

ALDO: Perché diffidare di ciò che appare semplice? Testolina cara, in fondo non c’è che da varcare un muro. Un semplice muro di pietra.

CESARE: E le ombre?

ALDO: Dio santo, anche voi a lasciarvi condizionare da queste sciocche paure. Dico, preferite rischiare di incontrare le ombre, ma vivere anche solo un attimo l’ebbrezza della libertà o trascinarvi tra queste mura cupe, donne vestite di nero, preti che fanno del pregiudizio la loro sciocca bandiera, gente anestetizzata, goffa, priva di qualunque slancio? (all’amico) Cesare! Quasi non ti riconosco… (volgendosi all’altro) Teppistello?

SERGIO: Al Diavolo! Io ci sto.

ALDO: Così mi piaci. E tu, Cesare?

CESARE (dichiarandosi vinto): E va bene. Andiamo.
I due arretrano. Aldo rimane fermo, come estatico, immerso nei suoi
pensieri.

ALDO: Vecchie maschere imbalsamate. Per anni ci avete tormentato con le vostre angosce. Ci avete mummificati per paura della vita. Io vado a bere l’aria, la luce, la verde natura che ci è madre. Non mi fermeranno i vostri pianti di femmine incartapecorite. Vivere vivere vivere… Questo solo è il verbo che il cuore proclama! (esce correndo)

SIPARIO