Essere poeti significa conoscere il linguaggio della poesia…

Essere poeti significa conoscere il linguaggio della poesia, il gioco ardito della metafora, la capacità di stupire. Se non c’è questo, non c’è nulla e una ‘presunta’ poesia è solo un pensierino della sera.

Alejandro Duque Amusco – nato a Siviglia nel 1949, docente di Letteratura spagnola, studioso di Aleixandre, traduttore di Valery, Eluard, Kavafis, residente a Barcellona – è davvero un importante poeta, appartenente alla stessa fertile generazione di Botas e Buxan, Carnero e De Cuenca, De Villena e Enrique, Falco e Martin, Janes e Munarriz, De La Pena e Rosillo, fino ad Ana Rossetti.

Tutti poeti che rinverdiscono – con itinerari diversi, dal post-modernismo all’avanguardia – la grande tradizione poetica spagnola del Novecento, quella insuperabile di Lorca a Jimenez, Machado e Alberti.

Amusco è un grande. Lo si avverte soprattutto negli incipit delle sue poesie. Ne riporto qualcuno:

Al tempo della prima conoscenza facemmo
della vita un rogo

oppure:

Inutile sperare. Tutta la notte ha infierito il vento
contro la mia memoria

o anche:

Il prato della notte è bianco

A. Duque Amusco, Un único corazón,  Editorial Pre-Textos 2022

Acquista il libro al miglior prezzo disponibile

Inizi di testo travolgenti e incisivi come frustate. Ma anche i finali delle poesie sono formidabili e tutti i suoi testi si tengono miracolosamente su una tensione che non cala mai di tono. È il segno di una capacità di utilizzo della parola davvero rara, dove la sorgente dell’ispirazione si coniuga all’individuazione della parola che scopre radure e sorprende.

Prendiamo ad esempio un magnifico testo, Sulla riva verde:

L’alba sopraggiunge come una barca di luce
alla deriva. Emerge la città
di tra i resti neri della notte.
Il volto affaticato per la veglia, la lettura,
la pallida insonnia.
Gli occhi che hanno frugato dentro il vuoto
e le parole
vagano sopra il tavolo, la lampada, gli scaffali
cancellati dalla debole penombra,
il finestrone – con i vetri appannati
dal respiro e dalla notte…
La strada comincia a essere
Un inquietante labirinto mobile,
come lento serpente si ritorce sotto la luce
metallica
dei lampioni.
Fa freddo.
S’ode il vento guaire tra i pertugi.
Sui tetti, sottili colonne di fumo.
Nuvoloni. Il chiarore smorto del giorno.
Sul foglio
(il libro giace aperto, a abbandonato) scrivo:
‘L’aurora attracca alla verde riva’
Tutto ciò che il cuore tace, come lo diremo?
Fuggì un’altra notte. Fuggì un’altra notte ancora
col suo nero silenzio,
con le invisibili stelle.

Ad una sia pur breve analisi, oltre al solito meraviglioso incipit («L’alba sopraggiunge come una barca di luce alla deriva») si nota una profluvie di similitudini e di metafore: il già citato attacco, poi «La strada che comincia a essere un inquietante labirinto mobil», «lento serpente si ritorce sotto la luce metallica», «L’aurora attracca alla verde riva».

Lo sfondo è la città e un’alba che sopraggiunge dopo una notte di veglia, di lettura, di insonnia. Tutto, in questa poesia, è ‘visivo’: noi vediamo la città che si risveglia, il traffico delle automobili, le colonne di fumo sui tetti, la luce dei lampioni.

Ecco, vediamo chiaramente anche il libro abbandonato che giace aperto. E ascoltiamo («S’ode il vento»), ma anche facciamo esperienza della temperatura sul corpo («Fa freddo»), mentre il poeta si fa una grande domanda esistenziale («Tutto ciò che il cuore tace, come lo diremo?») che ha a che fare col rapporto tra le emozioni (direi: le percezioni) con il linguaggio.

A. Duque Amusco, A la ilusión final, Editorial Renacimiento 2008

Acquista il libro al miglior prezzo disponibile

Tutto, attorno, è penombra (siamo tra la notte e il giorno, ma la penombra qui è anche un elemento simbolico) e gli aggettivi rimandano a uno stato d’animo incerto: ’nero’ silenzio, il chiarore ‘smorto’ del giorno’. In questo momento il poeta coglie lo scorrere del tempo, inesorabile (vedere il verbo ‘fuggì’ ripetuto al terzultimo verso) e le stelle ‘invisibili’ non tanto per una questione di orario (è l’alba) quanto per una ‘imperturbabilità ‘delle stelle (invisibili nel senso che – come Dio – non intervengono nel destino umano).

Questa poesia è un tessuto di trine, un’architettura di sentimenti e pensieri vieppiù esaltata dal ricorso del poeta a tempi verbali diversi:
il passato: «Fuggì un’altra notte»
il presente: «L’alba sopraggiunge»
il futuro: «Come lo diremo?»

Un poeta meno avveduto avrebbe scritto, nel finale: ’Fugge un’altra notte…’ e gli sarebbe parsa una bella soluzione, in coerenza verbale col testo, ma si sarebbe perso quel formidabile effetto che invece si ottiene col passato remoto: ’Fuggì..’ E l’effetto è dato proprio dal cozzo di tempi diversi.
Questo vuol dire essere poeti.

Alejandro Duque Amusco

Chiudo con l’accenno a qualche verso di ‘Salmo’:

Nella trasparenza, spogliati,
nella fluidità sommergiti,
nel cuore della spiga, inarcata dal cristallo
del vento,
dentro alla violacea tempesta,
sul delicato e il torbido,
cerca di restare: la terra si dissolve
nel tuo occhio, e la tua mano, ferrea mano di
dimenticanza
è fatta della stessa pelle gelida dell’abisso.

traduzioni di Emilio Coco, dal volume 5 pesetas di stelleAntologia della nuova poesia spagnola, a cura di Daniele Giancane e Anna Santoliquido, ed.La Vallisa, Bari

PS. Uno così – se proprio vogliamo far inaugurare eventi poetici – in Puglia e altrove – ad autori di grande spessore, si dovrebbe invitare. Amusco (o Clara Janes o autori italiani del calibro di Piersanti o Conte o De Angelis o eccellenti autori del territorio, per la Puglia Lino Angiuli o Curci o Trisolino o Trevisani o D’Amaro, autori che neppure i pugliesi conoscono granché: almeno si farebbe un’operazione di informazione sulle risorse locali) porterebbe il miele della vera poesia, un tocco di magia della parola. Se no, si vola basso.

Daniele Giancane