Si sa che ben pochi autori si avventurano nella poesia ‘scientifica’, ovvero in una poesia che si immerga nel mondo della scienza. O che faccia poesia partendo dalla scienza.

A parte l’immenso Lucrezio, abbiamo raramente autori che seguano questo itinerario. Uno tra questi è Nicola Accettura, autore di due libri poetico/scientifici (quello di unire poesia e scienza potrebbe essere uno strumento didattico enorme: la scienza vista poeticamente e il contrario). Riporto qui un testo di Accettura, edito sul n.119 della rivista ‘La Vallisa’

VOLLI SPESSO ESSERE UN ALBERO

Volli spesso essere
un albero,
ecco, un ulivo,
e sotto i rami irregolari
mitigare afa e gelo.
Potrei così spaccare il sole in
ombre secche di pietra e
bere l’infrarosso che
dell’Universo primordiale svela
MACS0647-JD, scivolando sulla
pelle, adesso avida di stelle e di
Creazione.
Tredici miliardi d’anni
dal tempo infante
oppure otto minuti dal Sole:
canta così bene la luce
e qui si fatica a respirare
percorrendo un sì lungo
cammino
per andare così tanto
lontano.
Quando fu che perdemmo
il senno, noi che fummo
montagne, ora private
delle nuvole?
Quando fu che ci colse
l’angoscia dei sogni nei sogni?
O l’afflizione delle galassie
che si sfuggono o si scontrano?
Un mucchietto di sabbia
raccolto in una grotta
che fu mare un tempo,
ecco,
e tornerà ad esserlo,
per poi disperdersi lontano.

MACS0647-JD è un corpo celeste, individuato dal telescopio spaziale Webb, distante da noi circa 13.3 miliardi di anni-luce, ossia nato appena 400 milioni di anni dopo il Big Bang. Da questo immenso profondo, da questo Universo bambino, ogni istante arrivano a noi le sue radiazioni, come avviene per tutti i corpi celesti, di giorno e di notte, all’ombra degli ulivi o all’aperto. È straniante lo sgomento per il passato, il presente, il futuro che ci ghermiscono e in spazio e tempo ci disperdono.

Nicola Accettura