E non c’è niente di più bello dell’istante che precede il viaggio, l’istante in cui l’orizzonte del domani viene a renderci visita e a raccontarci le sue promesse.

Milan Kundera

Il viaggiatore sceglie con cura cosa portare con sé: pochi oggetti essenziali e leggeri, scarpe comode e vestiti adatti a qualsiasi temperatura. Per il viaggiatore la destinazione non è meno importante del viaggio, se perdersi è la sua sfida, la sua conquista. Il viaggiatore conosce le tappe del suo itinerario. Ha una carta geografica davanti a sé per ricominciare, ogni volta, una storia. E i protagonisti delle sue storie sono quasi sempre persone sconosciute, porti stranieri e sognatori.

Da bambino costruivo barchette di carta. Piegavo un foglio a metà a forma di cappello e coloravo lo scafo con i pastelli a cera. Una mattina d’estate sulla spiaggia provai a farne galleggiare una, ma si allontanò troppo e non riuscii a riprenderla.

Io, Silvano e Joanna programmavamo la nostra partenza da più di un mese. Ero stato io ad insistere di raggiungere Saranda via mare, in traghetto, passando per Igoumenitsa. Al dire il vero c’imbarcammo senza sapere con certezza come destreggiarci una volta raggiunta la costa greca. Io non ero affatto preoccupato né di come avrei condotto una conversazione in lingua straniera, né di come avremmo raggiunto la nostra meta finale. Giocai con me stesso la carta dell’avventuriero. Mi emozionava l’idea dell’imprevisto.

Guardai la barchetta di carta allontanarsi sempre più dalla riva. Rimasi immobile a fissarla chiedendomi quale sarebbe stata la sua rotta, se l’avrei mai recuperata.

Ingannavamo il tempo tra una birra e qualcosa da mangiare. E si sa, l’attesa incoraggia la parola. L’uno accanto all’altro parlammo di tutto, dall’educazione dell’animale domestico ai luoghi visitati. E fu naturale poi ritrovarsi a parlare di poesia, riportare alla mente i versi più belli che conoscevamo a memoria.
Andavamo verso qualcos’altro, insieme, verso quella libertà che la parola e il mare ci mostravano viva e presente.

Dormimmo poco, come spesso accade durante un viaggio di andata. Ci sorprese l’alba, il mormorio dei ragazzi in vacanza. Al mattino presto sbarcammo a Igoumenitsa e, al primo bar aperto, la prima preoccupazione fu bere un buon caffè. Il bus per Qafe Bote, scoprimmo più tardi, sarebbe partito alle 10.30 e alla dogana qualcuno ci avrebbe accompagnato al luogo dell’appuntamento. Dopotutto fu più facile del previsto.

Il viaggiatore è una nuvola, si sposta nella direzione che il vento ha deciso. Non sa quanto potrà sostare, quando dovrà lasciare spazio.

Dash Malo ci aspettò alle porte di un piccolo albergo di Saranda. Ci strinse forte le mani guardandoci negli occhi per una manciata di secondi: ci sentimmo fortunati. Il mare era lì, non ci aveva abbandonato, brillante di una luce mattutina bellissima e insostenibile. Il suo profumo era ovunque, ce lo dicemmo spesso. Anche le nostre stanze, le nostre lenzuola, il nostro primo pranzo: zuppa di pesce del pescato del giorno. Ci raggiunsero presto altri ospiti provenienti dalla Macedonia, dalla Svizzera, dalla Germania e dalla stessa Albania. L’imbarazzo durò meno del previsto.

I viaggiatori si riconoscono, sembrano così grandi e invece ci ricordano quanto è piccolo il mondo.

Erina amava follemente la canzone italiana; Silvano le canticchiò un motivetto e di lì a poco ci ritrovammo a cantare canzoni che avevo quasi dimenticato. Gordana e Mirjana avevano un sorriso contagioso, di quello che ti scopri a ricambiare senza motivo. Con loro fu più semplice parlarsi in lingua inglese.

Quella sera, seduti a cerchio intorno a un microfono, ognuno mostrò la sua gratitudine, nascondendo a stento il rossore e gli occhi lucidi e si concesse il proprio turno di spettacolo, di mani giunte, a recitare nella sua lingua i propri versi con un finale unico, universale, quasi mormorato: THANK YOU! E i nostri calici di vino e birra a cena furono alzati per brindare all’artefice di quel momento storico: a Dash, grazie! L’uomo che dava una festa fu celebrato da amici e sconosciuti per il merito di averci riunito attorno a sé.

Il mattino seguente lo passammo tra le vie di Saranda, incontrando il sindaco, Adrian Gurma, al palazzo di città, visitando la casa museo dove visse il poeta Naim Frasheri e la galleria d’arte. C’era desiderio di conoscenza in ogni sguardo, c’era apertura verso l’altro in ogni sorriso. C’era l’odore del mare continuamente, c’era una condivisione inafferrabile che rimaneva, addosso, che non si poteva contestare.

Davanti a un dipinto Natasha Xhelili mi domandò se mi piacesse l’artista a cui era dedicata la mostra. Mi piace quello che non vedo, le dissi. Quello che mi fa desiderare.

Il poeta è una nuvola, sta in alto, galleggia. La luce sul mare è brillante e all’apparenza felice.

Su quale isola e tra quali mani era arrivata la mia barchetta? E se non l’avessi costruita così resistente da superare le intemperie?

Sul lungo mare turistico i ristoranti hanno molti tavoli vuoti all’ora di pranzo; i negozietti ricordano le botteghe di artigiani intenti a lavorare anche quando non c’è nessuno. Saranda a fine settembre è una poesia, si accontenta di pochi fedeli amanti che la osservano e restano zitti. Anche i turisti sembrano compiaciuti di questo. Anche una discoteca con la scritta “LAST WEEKEND” è una strofa di sicura bellezza.

Ci portarono a pranzo in un ristorante quattro stelle. Il suo proprietario insistette con Dash per avere una copia dell’antologia pubblicata con le nostre poesie tradotte. Il libro passò di mano in mano e ognuno lo autografò con entusiasmo. Amo la poesia, ci disse. E i calici di vino e birra questa volta furono alzati in suo onore, al suo ottimo pranzo e alla nostra insaziabilità.

Sul lungo mare di Saranda i pescatori celebravano le loro catture, i cani dormicchiano dove capitava in cerca di ombra. C’era un curioso bar Juventus che mi rapì lo sguardo. Avevo voglia di scrivere di tutto questo e mi promisi di farlo al mio rientro.

da sinistra: Dash Malo, Silvano Trevisani, Joanna Kalinowska e Maurizio Evangelista

L’ultima sera insieme Dash ci riunì nella sala dell’hotel in cui alloggiavamo; le sedie furono sistemate nuovamente in cerchio, il microfono al centro di un palcoscenico improvvisato. Al richiamo del proprio nome ognuno si alzò a turno per raggiungere la postazione e ringraziare ancora per tutte le parole ascoltate, per quelle di cui conosceva il significato e per quelle di cui, probabilmente, non lo conoscerà mai. Uomini e donne, poeti proveniente da paesi diversi, ricordavano i loro nomi e per nome, anche solo per scattare una foto, si cercavano, si chiamavano come vecchi amici.

È un uomo generoso Dash, un sognatore; è una nuvola, una poesia che non dimentichi. Lasciarlo fu come leggere le ultime righe di una storia che ti ha conquistato.

Era quasi mezzanotte a Igoumenitsa; il traghetto si avvicina e alcuni attempati turisti giocavano ancora a bocce sul pontile. L’attesa del rientro fu un silenzio che avanzava a tentoni. Ci si scambiava pochi e significativi sguardi stanchi; c’era questo bisogno non palesato di quiete. Ci demmo la buonanotte quasi subito senza trattenerci ancora. Io presi tra le mani un libro, lessi forse appena un capitolo e poi lo richiusi. Tutto intorno a me era una fotografia diversa. Gli stessi ragazzi chiassosi se ne stavano sdraiati sulla moquette, avvolti in sacchi a pelo o in coperte improvvisate. Decisi di fumare ancora una sigaretta con la scusa di guardare il mare.

Un bambino giocava con la sua barchetta di carta canticchiando in una lingua che non conoscevo.

Il viaggiatore ritorna al punto di partenza per trovare quello che cercava.

Maurizio Evangelista