Mario Luzi (1914-2005) è stato uno dei poeti più grandi del Novecento, candidato più d’una volta al Nobel, autore di libri memorabili, da La barca (1935) a Avvento notturno (1940), da Quaderno gotico (1947) a Il giusto della vita (1960-Tutte le poesie). Ed è stato grande sino alla fine.

Persino Montale, Ungaretti ecc. negli ultimi anni sono andati calando, la loro poesia è divenuta ‘fiacca’, come se il nucleo ispirativo fosse terminato. È umano. In Luzi, no: Dottrina dell’estremo principiante è del 2004 (morì l’anno successivo) ed è un libro meraviglioso, tra i suoi migliori. Riporto un testo, quasi a caso:

Dove sei? Non ti trovo,
anima mia,
chi ti ha preso,
il mondo? il paradiso?
o no, ti celi
tu stessa nella tua profondità,
parlami,
fa’ che ti abbia inteso –
sento
che mormorano
talora inquieti gli elementi
il sole, l’aria, i venti,
i molti attanti
dell’essere, animali,
uomini, piante. E gli angeli.

M. LUZI, Dottrina dell’estremo principiante, Garzanti 2004

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Non è meravigliosa? La grande poesia si riconosce subito, possiede dentro di sé un tocco magico, ti lascia stupefatto, quasi inebetito. La sua musicalità ti stordisce. Qui il dialogo con l’anima diventa incantevole e la chiusa non è teologia, è l’allusione a un ‘oltre’ a cui Luzi ha sempre guardato.

E fermiamoci ancora un po’ su Mario Luzi, la cui poesia poesia piace proprio a tutti. Di seguito Non andartene:

Non andartene,
non lasciare
l’eclisse di te
nella mia stanza.
Chi ti cerca è il sole,
non ha pietà della tua assenza
il sole, ti trova anche nei luoghi
casuali
dove sei passata,
nei posti che hai lasciato
e in quelli dove sei
inavvertitamente andata
brucia

Non andartene,
non lasciare
l’eclisse di te
nella mia stanza.
Chi ti cerca è il sole,
non ha pietà della tua assenza
il sole, ti trova anche nei luoghi
casuali
dove sei passata,
nei posti che hai lasciato
e in quelli dove sei
inavvertitamente andata
brucia

Non andartene,
non lasciare
l’eclisse di te
nella mia stanza.
Chi ti cerca è il sole,
non ha pietà della tua assenza
il sole, ti trova anche nei luoghi
casuali
dove sei passata,
nei posti che hai lasciato
e in quelli dove sei
inavvertitamente andata
brucia
ed equipara
al nulla tutta quanta
la tua fervida giornata.

Eppure è stata,
è stata,
e nessuna ora
sua è vanificata.

Continuiamo con l’incanto delle poesie di Mario Luzi. Di seguito Che vento, che tempesta:

Che vento, che tempesta.
Camminavo sotto la pioggia
ariosa di fogliame,
di bacche, di rametti infranti,
malli, ghiande
più grave
sonava la caduta
dei marroni, delle pigne.
Usciva da se stesso
il tempo, incontro ad altro tempo,
si largiva
in guisa di stagione
verso altra stagione
ad altra ad altra
inesorabilmente–
era quella bufera,
quello schiantio,
il suo travalicare, n’ero
testimone
io, ego, credevo
e ne pativo
ma intanto n’ero parte,
andavo io pure
da me a me, oltre di me
pregavo
pregavo, utinam ultra me.
L’amore mio
ripagato in esistenza
era impaziente,
trepidava quel frastuono
verso l’indivisa sorte,
foce o fonte.
Tu che allora arrivasti
venivi da che parte?
ex omni unde.

È vero, stavolta il testo richiede una lettura più attenta, anche per le citazioni in latino, ma come sempre si apre in un discorso sul tempo, sulla precarietà dell’esistenza, sulla sacralità della natura, sul rapporto tra sé e il volgere delle stagioni. E c’è sempre l’Oltre (oltre di me…) e l’essere testimone miracoloso della pioggia ‘ariosa di fogliame’. Il miracolo di partecipare a questo ‘teatro del mondo’ quotidiano.

Daniele Giancane