Quando penso a un Canzoniere mi viene in mente Petrarca che celebra il suo amore per Laura. Per il Sud, mi sovvengono i versi di Isabella Morra che condensano lo struggimento per il padre lontano, per la selvaggia Basilicata e, forse, per un amore vagheggiato.

Enzo Quarto, Taranto 1956

L’Arcivescovo Cacucci, che ha prefazionato Je suis Janette, il bel testo di Enzo Quarto, apparso nell’aprile 2018 per la Secop Edizioni di Corato, ne ha individuato la struttura e colto i messaggi più raffinati.

Jeanne d’Arc (Giovanna d’Arco), la pulzella d’Orléans (1412-1431), arsa viva per eresia a soli diciannove anni e poi portata agli onori degli altari, è la santa patrona di Francia al cui coraggio e purezza si sono ispirati storici e artisti. Figlia di contadini della Lorena, sentiva delle voci, combatteva e soccorreva il prossimo.

Credo che anche Enzo, temprato di spiritualità, abbia ascoltato e seguito delle voci. La sua parola si è fatta divulgatrice di pace, penetrando nell’animo del lettore.

Je suis Janette è il libro della maturità, poiché il linguaggio, rispetto alle raccolte precedenti, è diventato più lieve ed essenziale. Si tratta di un volume bilingue, tradotto in serbo da Dragan Mraović di Zemun, Belgrado, poeta egli stesso e profondo conoscitore della letteratura italiana.

E. QUARTO, Je suis Janette, Edizioni SECOP, Corato 2018

Enzo, scrittore, giornalista RAI e studioso della comunicazione, utilizza lemmi nudi e incisivi. Si è ispirato a Giovanna d’Arco, ma pure alla figura della madre la cui scomparsa ha imbevuto il suo cuore di dolore e di speranza. Il libro è a lei dedicato: «Se avessi assaggiato / la tua ultima lacrima / avrei assaporato alba / e tramonto insieme. / Già saperlo / mi consola.».

I versi viaggiano sotto una cupola di stelle, sprofondano negli abissi, s’incagliano negli anfratti, s’impigliano tra i rami, annusano l’erba, si adagiano sulle ali degli uccelli, per trasformarsi in carezza per l’umanità dolorante. Sono parole pregne del respiro divino, ossessive e soffocanti, che risuonano nella testa, spronandoci alla salvezza. Taluni passi riportano alle cantiche dantesche attraverso il gioco dei rimandi, le rime e le assonanze.

Janette voleva salvare la Patria; Enzo vuol salvare il creato che è la «patria comune». E lo fa tramite la poesia che invoglia al sogno, alla condivisione, alla buona relazione con l’altro. Il libro è un piccolo manuale sull’uso delle parole. Il Vangelo di Giovanni inizia con l’espressione «In principio era il Verbo», rimandandoci al concetto di eternità caro all’Autore. I componimenti fondono in un unico abbraccio le tre religioni monoteiste: l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islamismo, dimostrando coraggio e accettazione del diverso. Il termine pace è scandito in tre lingue: Shalom, Pax, Salam.

Talvolta si ha la sensazione di trovarsi di fronte a una visione, a una scrittura drammatica degna del palcoscenico. Suggestione che ricorda Il Libro di Ipazia di Mario Luzi (Rizzoli, 1978), dove il sacrificio della filosofa neoplatonica, che verrà uccisa nella chiesa da «un’orda barbarica» di cristiani, servirà, come annota Sergio Pautasso, “per continuare ad alimentare «il sogno di un ponte / verso un tempo di ragione, se mai verrà»”. Sinesio, poeta e ragionatore alessandrino, altro protagonista del lavoro luziano ambientato tra la fine del IV e l’inizio del V secolo ad Alessandria e Cirene, confida nella speranza e nella forza del nuovo che nascerà dalla fragilità degli uomini: «Il nuovo è la speranza. E questa vince su tutto».

La bellezza delle idee e la santità della lingua sono delle costanti del libro che incita all’uso di parole umili, rivelando l’Ars poetica dello scrittore: «La più umile tra le parole / diventi gloria / beatitudine / onore». Si percepisce una «fiamma» che scalda il fruitore.

Je suis Janette, oltre ad essere un’opera allegorica e ricca di simboli, è calata nella realtà contemporanea che lacera l’uomo con tanti interrogativi. Il poeta viaggia con «il cuore nelle scarpe», districandosi tra il bene e il male, immergendosi nelle questioni esistenziali, quali la paura, l’esclusione, l’isolamento, la povertà, lo sfruttamento, conscio però che il vero viaggio sia quello «dentro ogni uomo». Testo ispirato, trapunto di fede e umanità, è quasi un pellegrinaggio tra le parole, per scorgere la luce della verità. Gli esodi dei migranti rammentano gli antichi esodi. E come nelle Beatitudini il cristiano trova consolazione, così il lettore si distende pur nei marosi degli avvenimenti narrati.

Il pianto di Cristo a Getsemani, la fronte imperlata di sangue, il sacrificio sulla croce producono lacrime e pentimento e «un carezzevole gesto / di gratitudine». Dio abita in noi, il nostro corpo è il suo tempio, possiamo cercarlo «sul palmo» delle nostre mani.

Per arginare il peccato, il poeta ci stimola a ripartire dall’ascolto della voce del Figlio dell’Altissimo, atto che «alimenta la speranza / ed è gioia di condivisione». Emerge la figura di un Padre misericordioso, tenero oltre l’inverosimile, pronto alla carezza e al perdono. Basta solo che l’«uomo perso» si penta.

Il messaggio ai giovani è di badare a non smarrirsi e di sapere di non essere soli. C’è un Padre Supremo sempre disponibile all’abbraccio. Il libro traccia un percorso etico di interazione con l’altro, che contempla parole, gesti e sguardi compassionevoli.

Nei versi ci sono i ricordi di persone scomparse: don Vito Marotta, suor Maria Assunta del Divino Amore, la madre. La carezza per loro «è per sempre». Lo slancio e il desiderio di comunione, a imitazione di Dio, accendono la fiducia. L’anima e il corpo dialogano con leggerezza: «Potesse / la carezza della / mia anima / rasserenare il / mio corpo nel / giorno del diluvio, / come il chiarore / dell’arcobaleno / rasserena ogni / tempesta».

La consapevolezza della brevità della vita sprona a non sprecare il tempo, giacché «tutto avviene / nel volgere di una carezza».

Un tema importante è la fratellanza che gli uomini del terzo Millennio non riescono a praticare, pur sapendo che tutti «siamo migranti / alla ricerca di una meta promessa». Il credo è il concime degli enunciati che pescano nella paura e nella serenità della morte. Enzo ci chiama alle responsabilità di cristiani. Un giorno «nella valle di Giosafat / si ergerà forte la voce degli angeli» e ci chiederà: «Chi sono i tuoi fratelli? / Cosa hai fatto per loro? / E con loro?». La Misericordia, la pace e la giustizia sono interconnessi. La citazione di san Francesco è un altro tassello della fede e della fiducia nel Creatore.
La musica che guida il cammino è quella delle «arpe angeliche»; è una musica immaginata, sognata, che vibrerà alla meta.

Je suis Janette può essere letto come narrazione lirica di un viaggio verso la terra promessa. Il poeta, «argonauta di sentimenti», si aggira «su rotte fatate e fuorvianti. / Tra cielo e terra». Nel percorso a ostacoli, sperimenta colori e attese, avverte la bellezza del sogno e auspica l’abbraccio dell’eterno: «Che l’onda m’avvolga, / quindi, / tra cielo e terra, / e mi trascini / in un turbinio di sensi / ritrovati». La visione estatica ha sapore dantesco.

Alla fine del libro emerge il senso autentico della vita e della poesia: «Se non è la poesia / che resta dopo la morte / cos’altro?». Le parole, che hanno accarezzato le piaghe del peccato e della solitudine, ora sono libere di volteggiare in un universo «senza tempo / né spazio». Il pensiero della morte non incute timore, preclude alla leggerezza. I gesti sono analizzati con spirito diverso che dà valore ai frammenti dell’inutile: «È nell’essenza dell’inutile / l’intensità del senso della vita».

Al termine del viaggio, che di fatto è un nuovo inizio, il poeta vede una luce che non sa definire se sia «crepuscolo o aurora». L’indefinito è anch’esso un simbolo che connota gli umani ai quali non è dato conoscere i misteri Celesti.

Presentazione del libro Je suis Janette presso l’Università Popolare Santa Sofia, Trani

L’Arcivescovo di Belgrado Stanislav Hocevar, nella sua concisa e illuminata presentazione, scrive di «angeli […] messaggeri con i messaggi lieti», e benedice con gioia l’opera e la cooperazione tra l’Italia e la Serbia. Gli angeli sono in stretta relazione con l’ispirazione. Marina Cvetaeva la riteneva «capricciosa», opinione avallata dal poeta francese Raymond Queneau. Paul Valéry affermava: «Gli dei concedono la grazia di un verso: ma poi tocca a noi produrre il secondo». L’ispirazione esiste, tuttavia senza un attrezzato laboratorio culturale non si produce buona poesia. Considerazione condivisa da Donatella Bisutti nell’interessante volume La poesia salva la vita – Capire noi stessi e il mondo attraverso le parole (Feltrinelli, Milano 2010).

Je suis Janette è pure poesia religiosa e civile alla quale hanno dato contributi in Puglia, tra gli altri, don Agostino Bagordo di Monopoli e don Tonino Bello, vescovo di Molfetta. Lo scenario italiano è ricco di nomi che hanno influito sulla nostra formazione. Per il ‘900 si citano almeno Turoldo, Rebora, Guidacci, il dubbioso Caproni. Poeti straordinari come Borges e Jiménez si sono confrontati con Dio e con la fede.

La parola poetica richiede misura, ma quando è generata dall’amore illumina la mente e il cuore. San Paolo sostiene che «L’amore non è mai presuntuoso o pieno di sé, non è mai scortese o egoista, non si offende e non porta rancore. […] non prova soddisfazione per i peccati degli altri ma si delizia della verità. È sempre pronto a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi tempesta».

Ringraziamo Enzo Quarto per averci condotto sui sentieri della meraviglia, scuotendoci dal torpore della quotidianità, aiutandoci a guardarci dentro e a relazionarci con gli altri, riscaldandoci al sole della fraternità. E tutto questo con parole umili, immagini vivide, ritmo cadenzato che è melodia e boato.

Anna Santoliquido

Relazione tenuta il 12 ottobre 2019 nella sede del Movimento Internazionale “Donne e Poesia” di Bari. All’affollato incontro sono intervenuti la giurista Roberta Positano e il frate cappuccino e psicologo padre Mariano Bubbico.