Essere testimoni di se stessi
sempre in propria compagnia
doversi ascoltare sempre… è questo il male.

Patrizia Cavalli (1947-2022) tra i punti di riferimento della poesia italiana dell’ultimo cinquantennio (sin da Le mie poesie non cambieranno il mondo, 1974) torna sapientemente sul ruolo e la ‘maledizione’ del poeta: quella di guardarsi costantemente dentro, di essere in dialogo ininterrotto con l’altro da sè.

Il che può portare alle stelle o all’inferno. E può dire votarsi – alla fine – alla solitudine, perché il poeta ha sempre l’altro sé con cui confrontarsi, «non ha bisogno di nessun altro».

E rivolge le sue domande (e le relative risposte) solo a se stessa: «Io scientificamente mi domando/come è stato creato il mio cervello/cosa ci faccio io con questo sbaglio…».

Quella della Cavalli è una poesia colloquiale, diaristica, a volte ironica: «Penso che forse, a forza di pensarti / potrò dimenticarti amore mio». Poesia apparentemente semplice, ma dietro la quale avverti il lungo lavoro letterario (lei stessa affermò che nella scrittura poetica non c’è nulla di ‘naturale’) e una sua precisa visione del mondo.

Adesso che il tempo è tutto mio

Adesso che il tempo sembra tutto mio
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,
adesso che posso rimanere a guardare
come si scioglie una nuvola e come si scolora,
come cammina un gatto per il tetto
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso
che ogni giorno mi aspetta
la sconfinata lunghezza di una notte
dove non c’è richiamo e non c’è più ragione
di spogliarsi in fretta per riposare dentro
l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,
adesso che il mattino non ha mai principio
e silenzioso mi lascia ai miei progetti
a tutte le cadenze della voce, adesso
vorrei improvvisamente la prigione.

Daniele Giancane

P. CAVALLI, Vita meravigliosa, Einaudi 2020

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Dalla prefazione del testo:

«Fosse vissuta sei o sette secoli fa, nelle terre umbre dov’è nata, Patrizia Cavalli sarebbe stata senz’altro una delle grandi mistiche di quel periodo. Le sue esatte visioni verbali avrebbero narrato i misteri più sensibili della divinità, e le sue estasi, i suoi terrori e le sue ebbrezze sarebbero stati registrati e trascritti con devozione dai fedeli amici intorno a lei. Nei nostri tempi, invece, Patrizia Cavalli si è proposta il compito, più arduo, di dare parola ai misteri profani di cui tutti facciamo esperienza: all’indicibile nostalgia di settembre, che ogni anno, regolarmente, ci trafigge; al pulsare frenetico della «nemica mente», quando insegue e controlla ogni lieve mutamento del corpo; alla felicità che scende, come rugiada dal cielo, se una certa luce pomeridiana si mostra all’improvviso. In ogni verso, il ragionare poetico di Patrizia Cavalli non cerca, ma trova. Il suo ardente, ostinato desiderio conoscitivo non chiede altro che arrendersi, infine, dinanzi allo stupore e all’evidenza dell’apparizione poetica. “Vita meravigliosa” rappresenta una summa della poesia di Patrizia Cavalli, attraverso le ossessioni ricorrenti, i temi e i molteplici registri stilistici che la caratterizzano. Insieme ai molti fulminei epigrammi, comici o filosofici (spesso le due cose insieme), compaiono i monologhi ipocondriaci, quasi teatrali, oltre alle tante poesie d’amore, non prive di ferocia descrittiva, e un breve poemetto, “Con Elsa in Paradiso”, dove la promessa – o la minaccia? – della vita eterna apre al poeta la possibilità terrestre di «abolire, non dico la realtà / ma ogni traccia di verosimiglianza». Poco importa che il poeta dica sempre ‘io’: quell’io è talmente dilatato, talmente elastico da includere nella sua lingua ogni cosa, purché esista e viva».