La diffusione del buddhismo giapponese negli Stati Uniti d’America ebbe origine nella seconda metà del diciannovesimo secolo con l’arrivo di immigrati giapponesi sulla West Coast.

Gli anni tra il 1956 e il 1960 videro il movimento letterario della Beat Generation avvicinarsi al buddhismo, in particolare alla pratica zen, dando origine a un fenomeno denominato beat zen.

Alan Watts in un saggio dal titolo Beat Zen, Square Zen, and Zen analizza il rapporto tra i poeti della beat generation e il buddhismo, rimarcando che per questi poeti l’adesione a questa religione non fu accettazione integrale della dottrina, attratti com’erano soprattutto dallo zen di questa religione, perché convinti che con la sua pratica era possibile fare una piacevole esperienza di illuminazione.

Alan Watts

Il beat zen, infatti, fu connotato da eccessiva soggettività e l’avversione alle convenzioni sociali finì per sfociare nella ribellione e nel rifiuto dell’ordine vigente con toni ostili.

Inoltre, non fu né dedizione né disciplina, né tanto meno anni di pratica, ma un “fare ciò che si voleva” e dedicarsi solo agli aspetti più compatibili con la propria vita, praticando la meditazione con più o meno discontinuità e senza abbracciare la religione completamente. Alcuni elementi della loro vita quotidiana si possono associare al buddhismo, come ad esempio, oltre alla pratica meditativa, la decorazione della casa con oggetti legati al buddhismo o l’abbonamento a riviste buddhiste.

A. W. WATTS, La via dello zen, Feltrinelli 2013

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Alan Watts analizza nel suo studio i diversi scrittori Beat e il loro rapporto con lo zen. Egli sostiene che esistono varie ipotesi sull’origine del nome “Beat” e una di queste è proprio l’idea che potesse essere l’abbreviazione di beatitude, intesa come l’attualizzazione della propria natura illuminata, una esperienza che nello zen giapponese è chiamata satori.

Tuttavia la libera interpretazione dell’illuminazione da parte degli scrittori Beat includeva spesso l’uso di droghe e alcool e uno stile di vita sregolato. Comunque l’esperienza dello zen di ciascun membro del movimento fu variabile sia nelle modalità sia nel grado di rilevanza e altrettanto discutibile è anche l’effettiva appartenenza di alcuni poeti al movimento stesso, come il poeta Gary Snyder che aveva poco più di vent’anni quando, dopo tante letture a tema zen, fu motivato a partire per Kyōto nel 1956 per approfondire gli studi in merito.

Per via del suo coinvolgimento in una più “rigida” forma di zen, risulta difficile, sottolinea A. Watts, collocare Snyder nel panorama Beat, ma la sua figura influenzò l’esperienza di altri scrittori, tra cui Allen Ginsberg (1926-1997) e Jack Kerouac (1922-1969).

Gary Snyder, Jack Kerouak e Allen Ginsberg

Lo studio del buddhismo per Allen Ginsberg cominciò nei primi anni Cinquanta, quando Kerouac condivise con lui quanto appreso dallo studio di A Buddhist Bible di Dwight Goddard (1861–1939), un’antologia di scritture buddhiste principalmente dello zen cinese e giapponese.

Kerouac recitava e memorizzava i sutra e si dedicò intensamente alla meditazione, dichiarando di essersi reso conto che la sua inclinazione all’attività fisica in giovane età lo avesse predisposto al rilassamento dei muscoli e alla pratica meditativa per il raggiungimento del nirvana.

Dopo un viaggio in India con Gary Snyder, Ginsberg cominciò a praticare il buddhismo tibetano sotto la guida di un maestro a New York. Lo studio di testi sul buddhismo cinese presso la New York Public Library lo portò ad avvicinarsi al buddhismo zen tramite gli scritti di Suzuki Daisetsu.

E fu proprio lui a presentare Kerouac a Snyder nel 1955 e, scoperto il comune interesse verso il buddhismo, quest’ultimo invitò i colleghi a partecipare agli incontri settimanali del gruppo di studi buddhisti finanziato dalla scuola “Jōdo Shinshū” a Berkeley. Tornato negli Stati Uniti dopo un anno di studio a Kyōto, Snyder istituì una sala di meditazione a nord di San Francisco in cui cominciò a organizzare incontri regolari nel 1958.

Pochi mesi dopo, nello stesso anno, Jack Kerouac pubblicò The Dharma Bums (conosciuto in italiano come I Vagabondi del Dharma), un romanzo ambientato anni dopo gli eventi del celebre On the Road.

J. KEROUAK, I vagabondi del Dharma, Mondadori 2021

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Raccontate con il caratteristico stile spontaneo ed esente dalle regole della punteggiatura, le vicende del romanzo sono accompagnate da continui riferimenti agli elementi del buddhismo più cari agli scrittori Beat. In primo luogo il tema del rifiuto del materialismo, considerato dagli artisti del movimento uno dei principali punti di contatto con lo zen.

L’immagine di «tutti quei Pazzi Zen che se ne andavano in giro scrivendo poesie che comparivano per caso nella loro testa senza alcuna ragione» fa da collegamento tra il rifiuto della razionalità che i poeti Beat vedevano nello zen e la loro tendenza alle libere associazioni di pensiero tipiche dello stile di scrittura spontaneo.

Un altro elemento caratteristico del beat zen che emerge da questo romanzo è la possibilità di raggiungere il risveglio dell’illuminazione per vie diverse dalla meditazione.

Nel caso dei protagonisti Ray e Japhy, la pratica meditativa e la lettura dei sutra si alternano all’abuso di alcool. Quest’ultimo, insieme alla sperimentazione con sostanze stupefacenti, sembrava essere il mezzo prediletto per la ricerca di prospettive alternative sulla realtà. Indipendentemente dalla tecnica, ai poeti Beat il risveglio della illuminazione sembrava facilmente raggiungibile e lo stesso Gary Snyder, all’inizio degli anni Cinquanta, affermò di aver avuto esperienza del satori una volta corretta la sua postura da seduto, osservando le statue di Buddha e bodhisattva.

Il romanzo di Kerouac e l’immagine di Vagabondi del Dharma non solo contribuì alla costituzione dell’immaginario del buddhismo Beat, ma ebbe un forte impatto sulla cultura popolare e sulla percezione del buddhismo in America, divenendo oggetto di frequenti riferimenti sulle riviste e i quotidiani di allora.

Considero questo studio di Alan Watts molto interessante, perché mette in luce sia le principali caratteristiche del rapporto tra Buddhismo e la corrente letteraria Beat Generation, sia alcune figure del beat zen e le loro esperienze di zen all’interno dell’ampio panorama del buddhismo negli Stati Uniti, anche se, in realtà, il beat zen non era propriamente la pratica “originale” dello zen, ma una manipolazione ad opera di questi poeti, i quali lo interpretarono come espressione di libertà, spontaneità, anticonformismo, come una «liberazione della mente dal pensiero convenzionale», come contestazione del meccanicismo del progresso tecnologico e del formalismo alienante della tradizione religiosa cristiana.

L’esperienza del buddhismo da parte degli scrittori Beat, inoltre, fu varia ed ebbe riscontri significativi sulla loro produzione letteraria. Poeti come Allen Ginsberg, Jack Kerouac e Gary Snyder si mostrarono profondamente dediti allo studio dei testi e alla meditazione per il resto della loro vita e la loro adesione all’antimaterialismo, la ricerca del risveglio dell’illuminazione tramite mezzi alternativi, la spontaneità e la tendenza al rifiuto delle convenzioni sociali fecero della loro corrente beat zen non solo un tramite per la diffusione degli immaginari sul buddhismo in America, ma essa stessa sarà negli anni successivi un fenomeno di grande influenza sulla realtà sociale, culturale e spirituale americana e non solo.

Luigi Lafranceschina