Dopo la pubblicazione di tanti libri di poesia, di teatro e di saggistica, ecco il tredicesimo libro di poesia di Rino Bizzarro: Confiteor – Poesie d’amore e altre trasgressioni (Progedit, pp. 120, € 15,00, Bari, settembre 2020). Un libro impreziosito da un’ampia, dotta, circostanziata Prefazione di Daniele Maria Pegorari.

Non poteva mancare, in copertina, un’immagine legata al mondo del teatro, antica passione dell’autore: una maschera che, guarda caso, è l’attuale emblema della drammatica pandemia dalla quale siamo afflitti. Ma veniamo alle pagine del libro, che si segnalano subito per la versificazione musicale e concettosa di un poeta maturo, che è nel meglio della sua creatività, unita alla tecnica acquisita mediante una lunga esperienza letteraria.

R. BIZZARRO, Confiteor – Poesie d’amore e altre trasgressioni, Progedit 2020

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Come una ferita mai guarita va interpretato il componimento Dialogo dal Sud. Era giovane, pieno di idee progettuali, già amante del teatro, quando la voglia e l’entusiasmo per l’evasione lo invadevano, di fronte ad un contesto radicato nell’arrivismo folle basato su spinte di corruzione invece che sul merito.

I discorsi convincenti di suo padre furono determinanti e il Sud rimase come il suo luogo, la sua casa. Non solo, ma dovrà lasciarne il testimone anche a suo figlio, un giorno… Ma ecco la primavera. A lei Rino rivolge aggettivi ossimorici, per concludere con cinque icastici versi:

Mia primavera prendimi
bagnami nella tua nuova
rugiada
annegami di vento
e di sole.

p.13

Vi è poi l’invocazione alla Musa, cara come l’amore, “sentinella inflessibile di ogni pensiero”. A pagina 16 si legge Confiteor, la poesia che presta il titolo alla raccolta. Il poeta si dichiara in colpa per aver peccato soltanto «per amore / quello che doloroso, inaspettato / scompagina la vita» e si dice pronto a scontarne la pena.

L’amore e gli amori subentrano come temi e ben presto si arriva a pagina 27, ad incontrare, con Immanenza, quella rapace signora che, quando ti prende, con lei dovrai andare, “senza voltarti indietro”.
Ci si ferma sui versi di pagina 28, intitolati Bari – Tre parole dal Quartiere Libertà, in cui torna, più veemente, il discorso sul non aver voluto lasciare mai il suo Sud. Qui Rino parla al plurale, includendo tutti i giovani che, come lui, vollero rimanere nella loro città, che aveva bisogno di “riscatto”.

Era amore per il luogo natio, per le proprie radici, per la città di origine, per il Quartiere Libertà. Un nome, Quartiere Libertà, che ritorna in chiusura del componimento Lettera a mio figlio dalla periferia del mondo, di cui è forte e struggente ogni verso. Una poesia che ha tutto l’aspetto di un testamento morale:

[…]
qui dove ora rimango
ma da cui tu puoi volare lontano
da questo luogo che a me non è sembrato
tanto male per viverci
da questo piccolo – grande
Quartiere Libertà
aspetto buone nuove

pp.32-33

Si fa strada, tra i pensieri, il pensiero dell’andare, della inesorabile “uscita” dalla vita che, col passar degli anni, sembra essere stata “bella”. Non manca la nostalgia per i lontani ardori amorosi, quando il cuore batteva frenetico, mentre ora “batte a ritmo assai più lento” e questo con lo sguardo al futuro, quando il tempo avrà compiuto ineludibili metamorfosi.

Forte è l’attaccamento alla Vita, per amore della quale è riuscito a sconfiggere la Morte. Gli si affacciano alla mente, a mo’ di flashback, figure femminili in versi attraversati da una sorta di sorrisino ironico rivolto a un se stesso pensato alle prese con le faccende del cuore; ma non tarda a sopravvenire il pensiero dell’ultimo viaggio.

Il componimento Parabola chiude la raccolta di poesie in lingua, a cui segue un gruppo di “poesie in lingua barese”: Du’ penzìere remanùte. Piene di humour, in un dialetto ancora incontaminato, sono belle così, nella versione originale. Intenso e filosofico il testo A vrazze apèrte (p. 100), in cui l’autore, con franchezza e semplicità, dice che la vera vecchiaia, quella che non si può mascherare, è la senilità mentale, quando non si sa più “né ridere né piangere”, quando scompare dalla memoria anche la parte più bella del passato.

Quando si dice dei limiti del dialetto… È musica che si sprigiona dalla natura robusta delle parole. E’ un vero piacere, per chi ami la cosiddetta lingua materna, leggere queste pagine poetiche nel dialetto barese.
Come scrive nella Prefazione il Professor Daniele Maria Pegorari, la finalità precipua di questa raccolta, denominata alla latina Confiteor, è l’idea del “bilancio esistenziale”: fare una rassegna della vita vissuta, con il pensiero rivolto di tanto in tanto alla partenza finale.
Un libro, possiamo dire, molto importante: la fatica letteraria di un artista – poeta che ha ancora tanto da dire e da dare.

Grazia Stella Elia