Ciò che manca, sulle pagine facebook e un po’ ovunque, è la riflessione sugli eventi culturali. Sui libri, sui linguaggi. Ci si ferma alle congratulazioni, alle lodi o alla semplice comunicazione. E invece essere dei ‘pensanti’ significa non dare nulla per scontato.

C’era un tempo che subito acquistavo i romanzi vincitori dei vari Campiello / Strega / Viareggio / Bancarella. Insomma, i grandi premi che dovrebbero proporre (pensavo) il meglio della narrativa corrente. Da alcuni anni non lo faccio più: le delusioni di lettura sono state tante che alla fine devo ritenere che ci siano ben altre logiche, nell’assegnazione dei premi.

Magari una rotazione fra le grandi case editrici o la possibilità che quel romanzo possa dare subito adito a un film o una fiction. Per esempio: Spatriati di Mario Desiati.

Mario Desiati

Mi dispiace che sia un pugliese (è di Martinafranca), ma il romanzo è noioso, pieno di stereotipi e di allusioni alla sessualità liquida (è trendy, ovviamente). Al di là, però, dei ‘contenuti’, il linguaggio è piatto, senza accensioni di alcun tipo. Di un tedio piuttosto raro. Mi è sembrato di rivedere i romanzi di Liala, la scrittrice degli anni Trenta / Quaranta (la leggeva mia madre). Un esempio? Eccolo:

Erika viveva in una casa con due ragazzi e una ragazza, in quella fase della vita in cui ci si adatta per mancanza di risorse. La stanza era ricoperta di poster…

oppure:

– Lo so – disse interrompendo qualunque altro mio giro di parole.
– Cosa sai?
Che mia madre sposerà Marco.
Ancora una volta mi stupiva – Non trovi sia di così cattivo gusto?

Il romanzo è tutto così, con questo linguaggio (sarà pure una scelta dell’Autore) che non coinvolge mai il lettore.
Si legga Liala (da L’addormentato cuore):

I denti ebbero uno splendore nuovo nel viso abbronzato, i capelli lisci, corti, ben rasati sulla nuca, ebbero un riflesso più chiaro.
– Facciamo la pace, Soledad?
– Non siamo mai stati in collera. Ma bisogna fare acrobazie per capire quello che c’è da tenere e quello che c’è da respingere, in te.

(…)

– Che c’è?
– Il signor Carlo…
– Al telefono?
– No, è la Questura. Le mani strette al volante avevano un tremito irrefrenabile. Venne accolta con sguardi curiosi, squadrata. Un agente le disse: si metta là…

A me pare che tra il linguaggio di Desiati e quello di Liala non ci sia grande differenza. Naturalmente ci sono ottanta anni di differenza e si notano tutti, ma la piattezza del linguaggio è assai simile.

Un linguaggio che racconta una storia, ma non emoziona, non fa pensare, non innova, non sorprende. Si fa una gran fatica a leggerlo. Per me è un libro sbagliato. Che poi abbia vinto lo Strega, appartiene ai misteri dei premi letterari.

Daniele Giancane