Una vacanza semplice, capace di restituire energie, il desiderio di immergersi nella calma, nel silenzio, nella volontà di fare solo ciò che passa per la testa. O di non far nulla. Non avevo l’orologio al polso e questo significava per me vacanza, lontani dalla città. Trasferirsi in quella villetta nel verde, a Lama di Forchia, a cinque chilometri dalla periferia di Putignano era il segno del relax, del riposo, del concedersi a se stessi.

Una mattina presi un libro che il mio amico Sandro mi aveva regalato, un saggio del filosofo Martin Heidegger, e iniziai a leggere, leggere, leggere. Un libro interessante, non sempre facile da comprendere ma unico.
Sentivo la grande potenza del suo pensiero. Incuteva timore. Nel libro
c’erano immagini del filosofo, solitario e austero, con i suoi baffetti, la
stazza robusta, gli occhi neri, il basco, la giacca tirolese… aveva il volto
di un mago.

I giorni passavano l’uno dietro l’altro, la mattina ero il primo ad alzarmi, facevo ginnastica, mi lavavo, e in auto andavo in paese per fare la spesa, per acquistare i giornali. Andavo sul corso, consumavo un caffè al bar Visalia e poi passeggiavo un po’, con i muscoli tesi per gli esercizi fisici fatti di prima mattina.
Vidi un negozio sul corso, “Premiata salumeria Buono dal 1931” recitava l’insegna.

Decisi di fare lì la spesa. Entrai, l’arredo era in legno chiaro, il negozio elegante e molto pulito. Alla cassa una ragazza sui vent’anni, né bella né brutta, che ruminava con aria annoiata una gomma da masticare. Dietro il bancone una signora di mezza età, grassa, con un grembiule verde. Chiamò il nome di un uomo, Peppino, e da dietro uscì, con aria pensierosa, un signore. Sollevò il volto e mi fissò, per un attimo, con i suoi piccoli occhi neri come olive. Trasalii. Era identico a Martin Heidegger. Anzi, ero convinto che lui era Heidegger e non Peppino. Sì, insomma, Peppino Heidegger. Tracagnotto, grassottello, con i baffetti, scuro di carnagione, con fare brusco, quasi tedesco, mi domandò: “Che vuoi?”.

Dimenticai a un tratto che cosa dovevo comprare. Tentennai, esitai,
titubai, tergiversai, nicchiai, ciurlai. Rimasi pensieroso, con la mano a mezz’aria, con l’altra cercavo e non trovavo il biglietto con l’elenco della spesa. Un groppo in gola. Ingoiai a vuoto, mi sentivo in difficoltà, non volevo far perdere tempo ad Heidegger e chiesi subito del pane, per spezzare il silenzio e il mio impaccio. Tuonò: “Di segale, ai cereali, integrale, semola, e comunque vuoi panini, treccioni, ciabattine, michette o pagnotte?”. Avevo perso il filo, mi sentii come quando al liceo ero impreparato alle interrogazioni: cercavo di prender tempo.

La signora grassa stava tagliando del pane e d’un tratto si fermò e, con la lama affondata a metà, si mise a fissarmi. Cercai di girarmi, tentai un sorriso, alle spalle di Peppino Heidegger c’era uno specchio orizzontale che correva lungo tutta la parete e vidi il mio viso con una espressione da ebete. Risposi, alzando la voce: “E’ lo stesso. Il pane che volete”. Scelse le michette alla segale, l’unico tipo di pane che non mi piace.

“Che cos’altro?” chiese Peppino Heidegger. Confusione, trambusto
interiore. Vuoi vedere che era un parente stretto del filosofo e volevo
chiederglielo, ma che dovevo dire? Presi la busta con un chilo di michette di segale e andai via dopo aver combattuto con la tenda a strisce in
plastica e dopo aver urtato una signora anziana che stava entrando. Incespicai sulla soglia di marmo e fui fuori. Alzai il passo e mi sentii subito
chiamare: “Giovane, giovane…” Mi girai: era Peppino Heidegger che mi
raggiunse dopo un paio di passi con occhi sgranati e mi disse in dialetto:
“Giovane, tu sei proprio strano, hai preso il pane e non hai pagato. Vuoi
pagare o no?”. Tornai dentro, andai alla cassa e pagai alla figlia di Heidegger. Se era la figlia, forse la nipote…

Un timore reverenziale. Un’ansia. Rimasi un’ora in auto a pensare: una reincarnazione? Un atto magico? Peppino Heidegger parlava in dialetto putignanese stretto e non sempre si capiva, proprio come i libri di filosofia del “Martin pensatore”. Vuoi vedere che…? Ma no…

Arrivai in campagna con il pane e con la spesa fatta in un supermercato. Mi ero calmato ma ero confuso. Mia moglie mi venne incontro e subito notò che qualcosa era successo. Non dissi nulla e il discorso cadde lì.
Il giorno dopo dovevo tornare in paese, la mattina, per la spesa e i giornali. Avevo fatto amicizia con la giornalaia e dopo aver acquistato un quotidiano chiesi del salumiere. Se era di Putignano, se aveva sempre vissuto lì, se era mai stato in Germania, se aveva parenti a Heidelberg, e che si diceva in paese di lui. Mi guardò con aria meravigliata e sospettosa poi in breve mi disse tutto della sua vita. Non coincideva nulla con la biografia del filosofo.

Decisi di tornare in salumeria. Suvvia, non era Heidegger e non aveva senso quel timore reverenziale… Attraversai la strada e di fronte c’era il negozio. Non so perché, a due metri dall’ingresso finsi di essere attratto da qualcosa, detti uno scarto a sinistra e mi allontanai. Continuai a camminare e a girare intorno all’isolato dicendomi che avrei contato fino a cento e sarei poi entrato. Arrivai a contare fino a 200, 300 ma ero sempre là. Possibile che il teorico del “Dasein” sta dietro un bancone e affetta il prosciutto, mette le michette in quelle buste marrone e parla in putignanese? Forse è un figlio naturale di Heidegger. Heidegger a Putignano? Ci pensai su un po’ e poi andai al supermercato.

Mia moglie la sera successiva mi allungò una lista della spesa e mi disse di non andare al supermercato. Rimasi in silenzio e aggiunse: “Se non ti piace Buono vai da Impedovo, in via Tripoli”. Tripoli, bel suol d’amore…

Passai dal corso, attraversai il marciapiede per non passare davanti alla salumeria Heidegger e voltai per via Tripoli. Camminai, camminai, vidi passare sull’altro marciapiede la giovane cassiera della salumeria Buono e abbassai lo sguardo. Eccomi davanti alla “Salumeria Impedovo”. Rallentai, entrai pronunciando un buon giorno deciso, a voce alta. Alla cassa una bella donna, al bancone un uomo di spalle. Si girò lentamente e disse: “Buongiorno, desidera?”.

Distolsi lo sguardo dalla vetrinetta che conteneva i prosciutti e guardai il salumiere. Una grande somiglianza con Benedetto Croce. “Scusi, torno subito”. Uscii di corsa. Quell’estate mi piacque fare la spesa sempre al supermercato, fra cassiere chiassose e ridanciane, lavoranti che sistemavano la merce sugli scaffali e cantavano a voce alta, sfrontati, sudati e gentili con le signore. Incredibile, somigliavano tutti proprio a dipendenti di un supermercato…

Manlio Triggiani