Diciamolo subito, per non discuterne più: questo di Pasqua Sannelli è davvero un gran bel libro, da seguire per la levità della narrazione e da meditare per la corposità dei contenuti. Il lettore ne è subito catturato e indotto a non interrompere lo sfogliare lento delle pagine, per il desiderio di sapere ciò che nasconde la successiva. Lo confesso, ho più volte riletto le tre pagine, poste all’inizio, che introducono ai luoghi in cui si svolge il romanzo. Ho letto e riletto per il puro piacere di seguire il fluido periodare, le metafore, gli squarci viventi dei paesaggi che danzano dinanzi agli occhi del lettore e che per mano lo prendono: «E c’è un posto, dove cento sono i mesi di maggio nell’anno».

Pasqua Sannelli

Occulto protagonista è il paese di Laterza, nel periodo che va dall’estate del 1939 fino al 2 giugno 1946, data storica del referendum per la scelta tra regno e repubblica. Si tratta di un paese tipico del nostro meridione, diverso dalla attuale, vivace cittadina. Un paese di pietre e gravine, sole e dura fatica nei campi, luogo di ritmi ancora arcaici, che saranno sconvolti dalla guerra, dal passo degli eserciti stranieri, ma in cui accade che «… L’aria era ancora fredda e umida, in quell’ora a crinale fra il giorno e la notte. Le case si bagnavano di una luce azzurrognola, nell’attesa del giorno».

Vengono altresì raccontate le antecedenti radici dei fatti narrati nel libro, essenziali per penetrare nel racconto come consapevoli osservatori delle vicende, che vedono muoversi ben trentanove personaggi, con le loro vite intrecciate in un quadro corale dai limpidi contorni. Anche queste narrazioni di fatti antecedenti permettono alla agile mano dell’Autrice di pennellare quadri in cui il lettore si sente immerso, come nascosto e partecipe spettatore. E sì, perché la scrittura è decisamente accattivante, non scevra di diffusi e lievi tocchi di ironia in sottofondo, e solo il relativo numero delle pagine rende ardua la classica lettura d’un fiato, in una notte, come accade per certi libri in cui ogni pagina invita a leggere la successiva.

P. SANNELLI, Il dono della nuora, Progedit 2017

E poi si colgono le chicche: non vi è un solo incipit debole. Ogni
capitolo si apre in modo ammirevole: «La pancia le cresceva nel corpo acerbo come la luna di agosto di quell’estate del 1939» . Oppure: «Luigi
percorse lo stretto passaggio e aprì a memoria la porta della cantina. Se
ne voleva stare lì, seduto, dimenticato dal mondo nell’odore di vino, di
cui era impregnata l’aria e intriso il tufo delle pareti». E non è possibile
trascurare: «Dura Murgia di pietre bianche al sole come ossa di morti.
Pizzuto e maligno il diavolo».

Questi incipit, come per gioco, vengono moltiplicati con la complicità dei commi nei vari capitoli, tutti di misurata lunghezza, così come lo sono le descrizioni di luoghi e personaggi, mai noiose e perfezionate spesso con tratti del carattere anziché fisici.
Si osserva anche una grande accuratezza nelle frasi conclusive dei capitoli, architettate in modo da invogliare il lettore a continuare subito, iniziandone il successivo.

Se vogliamo individuare i personaggi principali, pur in questo romanzo corale, essi sono Antonia e Luigi, col figlio Peppino e la nuora Maria. Luigi, con la cultura derivante da chi ha studiato in seminario, poi abbandonato per carenza di vocazione, paga il suo amore per la libertà e il rifiuto di prendere la tessera fascista con le ovvie conseguenze lavorative e sociali. Si chiude quindi in volontario isolamento, però sempre rispettato e amato dalla famiglia, e conservando la capacità di dialogare col cielo e con chi lo sa ascoltare, incluso un fantasma, nobile abitante dell’ormai cadente Palazzo marchesale. E la nuora, quando la Storia avrà tirato Luigi fuori dal “silenzio ossuto” della sua cantina-rifugio, gli farà il dono simbolico che dà il titolo al libro – il cui svelamento è lasciato al lettore – che costituirà una fondamentale attestazione muta di un pieno discorso. La narrazione qui vive un momento di intensa commozione.

La vicenda di Luigi si intreccia con quella del paese e dei suoi abitanti, dei rampanti gerarchetti in camicia nera (“Il secondo podestà era un omaccione monumentale e analfabeta… istruito al compito mentre zappava una pezza di pomodori”), degli zingari, dei tedeschi, degli Alleati vincitori e allegri, con le nuove ventate che arrivavano con loro. Ma anche passa accanto alla solitaria morte dei soldati tra le nevi russe.

Agli zingari sono dedicate più pagine, che raccontano l’iniziale, pacifica convivenza e dei cambiamenti di atteggiamento man mano che si evolvono gli eventi e le privazioni causate dalla guerra, su cui primeggia la fame. Assume evidenza la figura di Iolanda, l’anima del gruppo di zingari, la sensitiva che prevede il terremoto, la guerra e i mutamenti, e che instaura un intenso rapporto di amicizia con Maria.

Intensa è anche la figura di Marietta la masciara, nonna materna di Maria, il cui trapasso è raccontato magistralmente, immergendoci in un Sud denso e misterioso.
Bisogna però dire che tutti i personaggi appaiono vivi, anche perché tratti dal vissuto dell’Autrice, che sa renderne i colori con maestria, pescando dalla riserva della sua cultura classica e dalla praticità che probabilmente le deriva dal ruolo di Dirigente scolastico.

Accurata risulta la scelta dei vocaboli, con ridotto uso di termini nella lingua locale, utilizzati con moderazione e quando decisamente opportuno; semplice la presentazione tipografica, accurata la revisione del testo (praticamente assenti le imperfezioni tipografiche). Ho il sospetto che, oltre ai meriti dell’Editore Progedit, molti ne vadano all’Autrice, che, secondo me, deve aver attivamente partecipato all’operazione. Un segno inequivocabile della mano da professoressa è – cosa rara a vedersi – la padronanza nell’uso della punteggiatura, che accresce la piacevolezza della lettura.

In conclusione, avendo a mente taluni celebrati libri, a volte indegni protagonisti di importanti premi letterari, vorrei qui esprimere la mia convinzione, condivisa da altri amici che lo hanno letto e apprezzato, che questo testo ha tutti i titoli per una prestigiosa posizione nella graduatoria finale di un serio concorso, non inquinato da poco limpide manovre.

Nicola Accettura