Nel tentativo di operare un confronto tra la Marfisa del Boiardo e quella dell’Ariosto, bisogna prendere in considerazione il fatto che, sfogliando le pagine delle due opere, si nota sin da subito come la nobile virgo militans, (oggetto della presente ricerca), nel passaggio dal 1483 (anno di pubblicazione della prima edizione originale dell’Innamorato) al 1532 (anno dell’edizione definitiva del Furioso), per certi versi mantiene i connotati che il suo inventore le aveva attribuito.

Tuttavia, al fine di toccare con mano l’evoluzione di cui il personaggio di Marfisa è resa protagonista da parte dell’Ariosto, bisogna partire dalla comparsa del personaggio all’interno della vicenda, momento topico di ambedue le opere, sul quale si intende soffermarsi in questa sede; in particolare, è necessario stabilire in quale momento della narrazione Marfisa fa il suo primo ingresso sulla scena e quanto spazio i due autori concedono, all’interno delle rispettive opere, al dispiegarsi delle vicende che vedono la virago protagonista.

Partendo dall’Innamorato del Boiardo, che cronologicamente precede il Furioso dell’Ariosto, Marfisa appare per la prima volta all’altezza del sedicesimo capitolo del primo libro.

Nel tentativo di difendere la rocca di Angelica, assediata ormai dai sovrani dei regni dell’Est e del Nord, Orlando per amore della dama combatte alacremente contro Agricane, re della Mongolia e imperatore della Tartaria; a questo punto, giungono sul campo di battaglia tre schiere di uomini armati, a sostegno di Galafrone, re del Catai e padre di Angelica e a guidare la seconda schiera è la regina dell’India, Marfisa:

28.
[…]
La seconda conduce una regina
Che non ha cavallier tutto il levante
Che la contrasti sopra della sella
Tanto è gagliarda, e ancor non è men bella.

29.
Marfisa la donzella è nominata,
Questa ch’io dico; e fo cotanto fiera,
Che ben cinque anni sempre stette armata
Da il sol nascente al tramontar di sera
[…]1

Sin dai primi versi che decretano la comparsa di Marfisa nella vicenda si nota che il Boiardo, nel descrivere la virago glissa, almeno in prima battuta, sui suoi connotati fisici, presentandola al lettore prima di tutto attraverso il temperamento audace e le doti di invincibile guerriera; il ricorso a tale espediente descrittivo vuol significare non solo che all’interno del panorama letterario rinascimentale il ruolo della donna stesse evidentemente attraversando una fase di cambiamento, ma anche che, nel proprio poema, il Boiardo intende portare all’attenzione dei lettori la complessa interiorità della donna guerriera, dotata di uno spirito valoroso e battagliero, piuttosto che soffermarsi sulla semplice descrizione del suo aspetto fisico. Infatti, Marfisa è prima di tutto «gagliarda, e ancor non è men bella».

Tuttavia, tanto il Boiardo quanto l’Ariosto non dimenticano di sottolineare a più riprese la rara bellezza di Marfisa. Emblematico risulta il passo tratto dal primo libro dell’Innamorato, nel quale l’autore indugia sulla descrizione fisica di Marfisa, paragonando il suo splendore a quello degli astri:

59.
Lei senza l’elmo el viso non nasconde:
Non fu veduta mai cosa più bella
Rivolto al capo avea le chiome bionde,
E gli occhi vivi assai più ch’una stella;
A sua beltate ogni cosa risponde:
Desta negli atti, e d’ardita favella
Brunetta alquanto e grande di persona:
Turpin la vide, e ciò di lei ragiona2.

1
 M. M. BOIARDO, Orlando Innamorato, a cura di Riccardo Bruscagli, Torino, Einaudi, 1995, libro I, canto XVI, 28-29.

2
 BOIARDO, Orlando Innamorato, cit., canto XXVII, 59

In questi brevi versi iniziali, il Boiardo descrive quindi l’animo ardente di Marfisa che si era votata al dio Macone, giurando che non si sarebbe mai spogliata delle armi, finché non avesse vinto in battaglia tre re: Gradasso, Agricane e Carlo Magno.

Nel dare voce a un carattere fiero come quello di Marfisa, l’autore si serve di una specifica terminologia che ricorrerà per tutta l’opera, ogni qualvolta la virago si farà strada nella vicenda; Marfisa è infatti «fiera», è una persona «altiera», dotata di «forza estrema e arroganza».

A questo punto l’autore sposta nuovamente il focus della narrazione sul combattimento che aveva fornito a Boiardo l’occasione di introdurre il personaggio di Marfisa all’interno dell’opera.
Una ventina di strofe più tardi, precisamente all’altezza della strofa 54, la virgo militans ricompare sulla scena e lo sguardo dell’autore ne mette in luce un’ulteriore caratteristica: Marfisa è una «dama superba»3.

Il termine latino superbus deriva dalla radice super + il suffisso –bo, che nel linguaggio delle prime comunità italiche, costituite prevalentemente da popoli dediti all’agricoltura e all’allevamento, avrebbe a che fare con le piante: pertanto, il termine superbus indicherebbe la crescita spropositata di una pianta. Ne derivò più tardi uno slittamento di significato, per cui l’aggettivo superbus passò a designare chiunque si mostrasse arrogante e pieno di sé4.

3 Ivi, 54.

4 Cfr. I. MAZZINI, Storia della lingua latina e del suo contesto, to. I, Roma, Salerno editori, 2011.

Marfisa è infatti una donna arrogante, al punto che ritiene di non dover spendere le proprie energie cimentandosi in un combattimento che non la appaga5.
Dunque, il lettore dell’opera boiardesca si imbatte in una guerriera, Marfisa, donna bella, dal forte temperamento e piena di sé; al contrario, il lettore del Furioso, più o meno nello stesso momento della trama, si imbatte in una virgo dalle maniere più gentili.

5
 Non a caso, a questo punto della narrazione Marfisa si allontana dal campo di battaglia,
 fermandosi nei pressi di un ruscello e, rivolgendosi alla sua cameriera, afferma di voler
 combattere esclusivamente contro i re e chiede di essere svegliata solo qualora re Galafrone fosse stato ucciso o fatto prigioniero dagli avversari, perché in tal caso sarebbe
 bastata la sua sola presenza per vincere la battaglia. 

Se Boiardo aveva presentato ai suoi lettori Marfisa come la regina dell’India, figlia di Ruggiero II e Galaciella e come una valorosa combattente, accorsa in aiuto del re Galafrone, Ariosto invece non tradisce subito la vera identità di Marfisa; infatti, all’altezza del canto XVIII, Astolfo e Sansonetto, che si stanno dirigendo verso Damasco per dar prova delle loro abilità di guerrieri in occasione della giostra organizzata da re Norandino in onore di Grifone, incontrano una persona che aveva le sembianze di un uomo sia per gli abiti che indossava, sia per i suoi movimenti poco aggraziati.
Lo sconosciuto non era altri che Marfisa:

99.

La vergine Marfisa si nomava
di tal valor, che con la spada in mano
fece più volte al gran Signor di Brava
sudar la fronte e a quel di Montalbano;
di qua di là cercando in monte e in piano
con cavallieri erranti riscontrarsi,
et immortale e gloriosa farsi6.

6
 L. ARIOSTO, Orlando Furioso, a cura di Giuliano Innamorati, Milano, Feltrinelli,
 2016, canto XVIII, 99.

La prima caratteristica che l’Ariosto attribuisce a Marfisa nel momento della sua prima apparizione all’interno del poema non è lo status di regina, bensì quello di vergine; tale aspetto fa inevitabilmente pensare che il poeta, nella realizzazione del personaggio, abbia attinto a fonti sia letterarie, che storiche e mitologiche. Basti pensare che nella mitologia classica, la dea Diana e le sue virtuose guerriere dovevano mantenere inviolato il voto di castità, che pronunciavano prima di mettersi alla sequela della dea.

Come detto in precedenza, Ariosto mutua da Boiardo alcune delle caratteristiche attribuite da quest’ultimo al personaggio di Marfisa, servendosi anche del medesimo lessico con cui l’autore dell’Innamorato descrive l’audace guerriera; infatti, anche il poeta ferrarese definisce la virago «altiera» e ne evidenzia l’animo ardente. È pur vero però che la Marfisa ariostesca presenta anche altri connotati, sconosciuti alla Marfisa del Boiardo, primo fra tutti la cortesia:

101.

De la piacevolezza sovenne
del cavallier, quando al Catai seco era
e lo chiamò per nome, e non si tenne
la man nel guanto, e alzossi la visiera;
e con gran festa ad abbracciarlo venne,
come che sopra ogn’altra fosse altiera.
Non men da l’altra parte riverente
fu il paladino alla donna eccellente7.
.

7
 ARIOSTO, Orlando Furioso, cit., canto XVIII, 101.

Nel momento in cui Marfisa incontra Astolfo e Sansonetto, li riconosce come due prodi cavalieri, tanto che si prepara subito a sfidarli muovendo il suo destriero all’attacco; ma rivolgendo loro uno sguardo più
attento si rende conto di aver già incontrato i due cavalieri, quando avevano combattuto al suo fianco durante l’assedio della rocca di Albracca8.

8
 Lo stesso episodio è narrato dal Boiardo nel canto III del secondo libro dell’Innamorato.

Non appena realizza di conoscere i due cavalieri, Marfisa si mostra felice
di aver ritrovato i due paladini («de la piacevolezza sovenne»), al punto che, assumendo un atteggiamento tipicamente cortese, li chiama per
nome, si toglie il guanto, alza la visiera e corre ad abbracciarli; dunque, la
gentilezza che connota la personalità della Marfisa ariostesca è ben lungi
dalla ferocia che invece si presenta come tratto costante nella Marfisa del
Boiardo9.

9
 All’interno della monumentale ricerca da lui condotta, poi confluita nel saggio intitolato Le fonti dell’Orlando Furioso, Pio Rajna nota che la sostanziale differenza che intercorre tra la Marfisa di Boiardo e quella di Ariosto è costituita dal carattere più umano
 che il poeta ferrarese conferisce alla sua eroina, contrapposto alla ferocia di cui è dotata
 la Marfisa dell’Innamorato; peraltro, secondo Rajna, l’humanitas di Marfisa costituiva
 un elemento di forte debolezza del personaggio ariostesco, rispetto al suo antecedente.

Alla luce di questa breve disamina, si può ben intendere che
il profilo che più di tutti delinea il personaggio di Marfisa, in entrambi
i poemi, è quello di un’audace combattente, di una donna vigorosa, dal
portamento fiero e dal forte temperamento.

Questi tratti permeano la personalità di Marfisa lungo tutta l’evoluzione del suo personaggio e della vicenda di cui è protagonista. Tuttavia, come si è visto precedentemente, Boiardo predilige la virtù guerriera di Marfisa, privandola di qualsiasi forma di humanitas: ne è un esempio l’episodio del duello tra Marfisa e Sacripante presso la rocca di Albracca, dove la virago non è dotata di un atteggiamento pietoso nei confronti del suo sfidante, nemmeno quando, dopo aver ricevuto la terribile notizia che annunciava che il suo regno era stato messo a ferro e fuoco da Mandricardo, egli implora Marfisa di interrompere il duello affinché lui potesse raggiungere i suoi sudditi e salvarli; la virago, infatti, glielo impedisce. Al contrario, Ariosto, pur mantenendo le caratteristiche principali del personaggio, ne amplia la gamma caratteriale e morale, rendendo Marfisa una virgo prima ancora che un’ardente e infaticabile guerriera, dotata dunque di una complessa interiorità e capace di riservare un atteggiamento pietoso e comprensivo nei confronti di chi la circonda.

Aurora Gaia Di Cosmo