«LE OMBRE», dramma in 2 atti (n.115)

Dramatis personae.
Aldo, giovane inquieto.
Rosalina, figlia del pastore, innamorata di Aldo.
Eleonora, sorella di Rosalina.
Il Sindaco di Candevari
Il Pastore.
Cassandra, straniera.
Elsa ed Ester, compagne di Cassandra.
Sergio e Cesare, compagni di Aldo.
La scolta.
Nito, figlio della scolta.
Norma, figlia del pastore.
Alcune guardie, comparse.
Alcuni bambini e la folla, comparse.

SCENA PRIMA
Candevari. Presso le mura. Montano di guardia una scolta e suo figlio, Benito, ragazzo intorno ai sedici anni.

SCOLTA: Tieni le gambe ben salde e gli occhi ben aperti, giovanotto!
Il nostro è un compito importante. Tenere le ombre lontane dalla città!

NITO: Le ombre! Le ombre! Tu e gli altri vecchi non fate che parlarne…

SCOLTA: Cos’è questo tono? Io non ho mai parlato così a mio padre.
E sì che erano altri tempi… Potevo uscire, vedere il sole sorgere e tramontare, guardare in lontananza le luci che preannunciavano la vicinanza di altre città. Viaggiare, con l’alba negli occhi e la polvere sui sandali.

NITO: Viaggiare! Sembra quasi che tu ci goda a rammentarmi quello che non ho mai fatto e non potrò fare mai.

SCOLTA: Mai? Non esagerare, Nito. Vedrai che l’anno nuovo si porterà via le ombre!

NITO: Lo dicevi anche di questo. E del precedente ancora e forse anche dell’anno prima. Forse… difatti non ne ho memoria, babbo. Questi giorni sempre uguali si fa a fatica a distinguerli l’uno dall’altro. Oggi potrebbe essere ieri e avantieri non era diverso.

SCOLTA: Adolescenti, tutti della stessa pasta. Sempre a lamentarvi.
Mai che siate propositivi.

NITO: E tu? Cosa hai da offrirmi di ‘propositivo’ se non il ricordo di luci di non so quanti secoli fa?

SCOLTA: È qui che sbagli, ragazzo. Io sento che quelle luci le vedrò ancora. Un giorno, proprio su questo bastione, qualcosa che balena all’orizzonte attirerà il mio sguardo. (Nito si alza, come affascinato, e si avvicina al padre) Un bagliore, che dalla pianura salirà a baciare i campi ora così grigi e poi scenderà come una lama d’argento sulle acque e infine sulle nubi, per riflettersi nel mio sguardo. Io quella luce la vedrò ancora e sarà il segnale. Il segnale della vittoria di noi piccoli uomini su questo tempo di morte. Il segnale che potremo scendere in strada e festeggiare.
(chiude gli occhi)
Già mi sembra di vederla questa luce, una luce nuova ma dal chiarore antico. E tu, Nito, puoi vederla? Riesci a farlo?

NITO: No, padre. Non riesco nemmeno a immaginarla.

SCOLTA: Resta di guardia tu. Ho bisogno di riposare. E se vedi le ombre avvicinarsi alla città, ti ho già spiegato come procedere.

NITO: Dormi, tranquillo. Le vostre ombre non si manifestano più da dieci anni almeno.

SCOLTA: E bada a che nessuno esca dalle mura. Sono subdole quelle
streghe. Aspettano che si infranga la consegna e si fugga dalla città, per portare qui tra noi ancora morte e sventura.

NITO: Dormi, tranquillo. Dovrete pure cominciare a fidarvi di noi…
Ho sedici anni, ormai. Non sono più un ragazzino sprovveduto e indifeso.

SCOLTA: Lo so, Nito. Lo so. Ma ricorda sempre ciò che ho detto.
(Esce, con un cenno di saluto).


SCENA SECONDA
All’uscita del padre, Benito siede, con la lancia in resta. Tre ragazzi, intorno ai diciotto anni d’età, entrano concitatamente. Sono belli, corrono a piedi scalzi e torso nudo. Hanno appena terminato una partita.
Ridono e scherzano. Aldo, il leader, ha i capelli biondi; è spavaldo, ha con sé un pallone e lo scaraventa contro Sergio, uno dei due compagni.

ALDO: In guardia, idiota…

SERGIO: Maledizione, Aldo! Mi hai fatto male!

ALDO: Oh, povero caro… Se vuoi posso farti ancora più male, tesoro.

SERGIO: Impiccati!

ALDO (vede Nito): Guardate chi c’è. Il figlio della scolta!

CESARE: Benito la verginella.

NITO: Lasciatemi stare, idioti!

ALDO (sferrandogli un calcio): Porta rispetto al tuo dio, inutile bamboccio.

NITO si pulisce il viso con il gomito e poi sputa.

ALDO: Che fai, imbecille?

NITO (alzandosi): Non voglio sentire il tuo sudiciume sulle mie labbra.

ALDO (lo spinge. Nito cade): Dicevi?

NITO (cercando di alzarsi): Quello che ho detto.

ALDO (gli assesta un altro calcio): Attento a quello che fai, ragazzino. Potresti pentirtene.

CESARE: E cosa gli farai, Aldo? Sono davvero curioso.

ALDO: Qualunque cosa io faccia, credo gli piacerà. Ha gusti diversi da noi il nostro guardiano delle ombre. (Cesare e Sergio ridono)

NITO: Andate al Diavolo.

ALDO: Pur di fuggire da questo dormitorio, andrei volentieri anche da lui. Dicono non sia poi così brutto.

CESARE: Pensavo preferissi gli angeli. Almeno a giudicare da come guardi Rosalina.

ALDO: Fottiti!

SERGIO: Non c’è nulla di male a desiderare la figlia del pastore. Anche se, lasciatelo dire, caro mio, non sei alla sua altezza.

ALDO: Senti chi parla di non essere all’altezza… A stento mi arrivi alla spalla, tappetto. (a Nito) Di’ un po’, verginella. Tuo padre deve averti raccontato numerose cose, visto che vuole farti prendere il suo posto.

NITO (sprezzante): Se anche fosse, non le direi certo a te. (poi, ironicamente) Ops, ho usato un congiuntivo. Ho fatto male? Mi avete capito lo stesso? Nel caso in cui non aveste inteso (accidenti a questi congiuntivi), ve lo ripeto nella vostra lingua. Fatevi i cazzi vostri.

ALDO: Incredibile, anche le vergini dicono le parolacce. (gli prende il viso tra le mani, con forza) Bada, Benito! La tua impertinenza comincia a irritarmi.

NITO (c.s.): La cosa mi riguarda poco…

ALDO (più forte): Questo è tutto da vedere, ragazzina.

CESARE: Dico, Aldo, vuoi ammazzarlo?

ALDO (c.s.): Voglio solo che mi indichi la strada, tutto qui.

NITO: Io indicarti la strada? Dico, mi ha preso per Gesù Cristo?

ALDO: Smetti di sfidarmi, babbeo. Parlo del sistema per uscire dalle mura. Riesci a capire, ora, o vuoi continuare a fare l’indiano?

NITO: Non ne so nulla, io.

ALDO (stringe più forte): No, verginella. Ancora non ci siamo. Continui a fare il duro, ma non hai capito con chi hai a che fare.

NITO (urla, stanco, mentendo): Ti ho detto che non so nulla! Cioè, so che un varco c’è, ma non so dove sia. Mio padre ancora non si fida.

ALDO: E allora fai in modo che si fidi, presto, ragazzo. (Lo lascia andare) Allora restiamo d’intesa così.

NITO (duro): Io non faccio accordi con te.

ALDO (sornione): Come ho detto anche prima, questo è tutto da vedere.


SCENA TERZA
Rumori dall’esterno. Entrano due ragazze e una bambina. Sono tre sorelle, le figlie del pastore. Eleonora, capelli biondi, è la maggiore. Di bell’aspetto, ha un incedere altezzoso; Rosalina, la secondogenita, dell’età di Aldo, è bruna e piena di grazia. La più piccola, Norma, ha i capelli ricci e cammina come se danzasse. Al loro arrivo, Sergio e Cesare indietreggiano; Nito torna al suo lavoro e Aldo rimane, come sospeso, a guardarle.

NORMA: J’ai lu. Tu as lu. Il-elle a lu. Nous sommes…

ELEONORA: Norma, quante volte devo ripeterti che “nous sommes” è il presente del “verbo essere”. Si dice…

ALDO: Nous avons lu.

ELEONORA: Incredibile, Aldo. Ti avrei detto completamente ignorante.

ALDO: Oh, ma io sono una sorgente inesauribile di soprese (si avvicina a Rosalina).

ELEONORA (civettuola): Di questo nessuna di noi dubitava. Puoi ricominciare, Norma…

NORMA: Nous avons lu. Vous… vous… Oh, ma insomma, che senso ha studiare lingue che non parleremo mai? Hai forse visto uno straniero – un francese, poi – in questa città? Non ha senso.

ELEONORA: Smettila di lamentarti e fai il tuo dovere. La cultura ha valore di per sé. Dovresti saperlo. E poi il francese è pura grazia. È pari a un cinguettio. Parlarlo potrebbe renderti più graziosa, anche se, detto fra
noi, è un’impresa disperata.

NORMA: Gentile.

ROSALINA: Eleonora, non dire cattiverie!

ELEONORA: La verità, qualunque sia, è sempre scomoda. Su, Norma, ricominciamo. Ah, giusto per concludere: dovresti essere felice del fatto che gli stranieri non possano più arrivare da noi. È gente infetta, inutile; sono stati loro, anni fa, a portare le ombre nella quiete delle nostre case.

ROSALINA: Per quel che ne so io, il primo è stato un commerciante di stoffe della famiglia Antinori. Candevarese come me e te, figlio di candevarese e nipote di candevaresi.

ELEONORA: Cosa c’entra? Quell’uomo viaggiava per lavoro. Era una necessità. E aveva tutto il diritto di farlo.

ROSALINA: E quanti tentano di entrare dall’Epiro in guerra? Non è forse una necessità anche la loro?

ELEONORA: No, cara. È una situazione ben diversa. Questa terra non gli appartiene. (volgendosi verso Aldo) Dico bene? Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi tu, Aldo.

CESARE (beffardo): Perché, Aldo pensa, forse?

ALDO (gli dà una pacca sulla spalla): Sta’ zitto, cornacchia!

SERGIO ride. Aldo lo fulmina con lo sguardo.

ELEONORA: Allora, Aldo?

ALDO: Cosa devo pensarne? Candevari è un tale mortorio che chi vuole entrarvi può essere soltanto un perfetto idiota!

SERGIO: Ben detto.

CESARE: Stranieri non ne vogliamo. Questa città è troppo piccola.
Già per noi è soffocante. Vomitevole, direi (finge un conato).

SERGIO: E poi vengono a rubarci il lavoro.

ALDO (ironico): Sicuro, quel ‘bel’ lavoro misero e lurido. Quello splendido lavoro da pezzenti che c’è qui. Guarda, stiamo tutti sgomitando per andare a raccogliere i pomodori!

ROSALINA (alludendo alla loro tenuta, a piedi scalzi e a torso nudo):
Infatti si vede che vi consumate dalla fatica. Non credo che abbiate mai lavorato, voialtri.

ELEONORA: Non essere noiosa, Rosalina! Sono giovani. Sono sani; è chiaro che vogliano divertirsi. E poi lo sport tonifica e irrobustisce il corpo. (con aria sorniona) Di certo non farebbe male nemmeno a te, così secca e inacidita.

NORMA: E neppure a me. Non capisco perché continui a torturarmi con questo francese, quando potresti darmi qualche lezione di danza.

ELEONORA: Potrei, questo è chiaro, ma non lo voglio. E continuerò a tormentarti col francese sino a quando non otterrò risultati. Su, andiamo. Ripeti con me. “Nous avons lu”.

INSIEME (uscendo): Nous avons lu, vous avez lu… (continuano. Le loro voci echeggiano fuori scena).
Rosalina esita. Aldo fa cenno ai suoi due compari, che escono, giocando a lanciarsi la palla. Aldo si avvicina a Rosalina.


SCENA QUARTA

ALDO (la cinge con le braccia): Finalmente soli.

ROSALINA (si sottrae alla presa): Battuta un po’ scontata. Hai vinto il premio per il miglior cliché.

ALDO (ironico): Almeno sono il migliore in qualche cosa. Comunque, grazie davvero per l’entusiasmo.

ROSALINA: Avresti potuto sostenermi, almeno una volta.

ALDO: Sai che sono un ragazzo sincero.

ROSALINA: Già, fin troppo. Oserei dire che il più delle volte sei addirittura brutale.

ALDO (avvicinandosi nuovamente a lei): Cose che non ti sono mai dispiaciute…

ROSALINA: La verità è che siamo troppo diversi. Guarda Eleonora. Insieme sareste perfetti. Siete molto simili.

ALDO: Guarda che mi offendo.

ROSALINA: Sì, ha le sue idee balzane, ma in fondo è una brava ragazza. E tu le piaci, lo vedo. Non fa che stuzzicarti. Faresti meglio a rivolgere a lei le tue attenzioni.

ALDO: Che cazzo, dici, Rosalina? Se non ti interesso più, dillo e basta, senza fare tanti giri.

ROSALINA: Non essere volgare, Aldo.

ALDO: Io forse sarò anche volgare, ma prima o poi tu mi farai diventare matto.

ROSALINA: Perché, perché dico quello che il buon senso suggerirebbe a chiunque?

ALDO: Non è il buon senso che ti spinge verso di me. È altro quello che vuoi, o sbaglio?

ROSALINA: Uomini, non avete che un chiodo fisso!

ALDO: Insomma, Rosalina. Non vedi che siamo circondati da gente che ha solo paura della morte. E per questa paura non hai mai vissuto. Io desidero solo sentirmi vivo e il sesso, sì, il sesso, quella parola che ti fa tanto orrore, è parte di tutto questo.

ROSALINA (sdegnata): Aldo!

ALDO: Ammettilo, figlia del pastore. Ammettilo: per una volta, non essere ipocrita!

ROSALINA: Il fatto di avere un briciolo di senso del pudore e di non essere arroganti e brutali non significa essere ipocriti!

ALDO: Il tuo non è ‘un briciolo’ di pudore. È una carrata, un oceano, una montagna. Ah, ma riuscirò a lavarmici le mani in quell’oceano. Parola mia.

ROSALINA: Questo lo vedremo.

ALDO (tenta di baciarla): Smettila di parlare e abbandonati, Rosalina. Al Diavolo le esitazioni inutili…

ROSALINA: Finiscila, Aldo.

ALDO (si scosta, piccato): Va’ a farti fottere! Che poi nemmeno lo faresti. Sei peggio di una monaca. (siede, su una panca sulle mura. Rosalina si pente di averlo fatto irritare).

ROSALINA (si avvicina): Su, amore, ora non avercela con me.

ALDO: Mi chiami amore? Che gentile concessione. Il tuo amore è peggio del latte scaldato.

ROSALINA (si siede, lo accarezza): Non essere scortese con chi ti adora.

ALDO: E dove sarebbe questa persona che mi adora? Ah, ho capito: parli del figlio della scolta, che siede laggiù a far la guardia a non so cosa. Beh, non sono uno che gioca nella sua ‘squadra’, ma mi darebbe più soddisfazioni di te. Ovviamente sto usando una di quelle che voi persone colte chiamate ‘metafore’.

ROSALINA: Una metafora piuttosto scollacciata, a dire il vero.

ALDO: Se anche in questo chiostro entra qualcosa di scollacciato, non aver paura. La temperatura resterà comunque inferiore a zero gradi. Non c’è pericolo di surriscaldamento.

ROSALINA: Sei un pagliaccio! Comunque, non stento a credere che tu piaccia ad altri e ad altre. Sto per dire un’ovvietà, ma sei bello che potrebbe averti scolpito Michelangelo.

ALDO: Questo lo so (e so anche chi è Michelangelo, ma non provare a interrogarmi).

ROSALINA: Mi stai sfidando?

ALDO: Il problema, per te, comincia quando apro bocca… Allora sai che ti dico? Sarò io a costringerti a tacere! (con astuzia, la ribalta e la forza a giacere sulla panca).

ROSALINA (divincolandosi): Sciocco, lasciami andare.

ALDO la bacia con foga.

ROSALINA: Smettila! (lo spinge e si rialza. Aldo allora resta sornione, sdraiato, ad aspettarla sulla panca).
Arriva una guardia e prende il posto di Nito, che si allontana, lanciando un’occhiataccia ad Aldo.

ALDO: Rosalina, Rosalina, Rosalina.

ROSALINA: Che c’è?

ALDO: C’è che tu mi respingi e quelle mura mi chiamano, come una sirena il marinaio (e non dirmi che, a volte, i marinai fanno naufragio).
C’è che sono giovane e pieno di desiderio e non ho fatto voto di castità.
C’è che potrei stancarmi di aspettare.


SCENA QUINTA
Entra il pastore, con Eleonora e Norma.

IL PASTORE: Aspettare cosa, giovanotto?

ALDO (si rialza): Nulla, signore. Si parlava così, per scherzo. Nulla di serio, signor pastore.

ROSALINA: Già, babbo. Il nostro Aldo è sempre di buon umore.

IL PASTORE: ‘Nostro’? Vedo che siete decisamente in confidenza. Sarà il caso che tu vada a farti una doccia e a vestirti, ragazzo. E ti aspetto alla funzione, tra un’ora.

ALDO: Sicuro, pastore. Non mancherò. (congedandosi) Eleonora, Norma… (ammiccante) Rosalina…
Rosalina fa un inchino, rossa per l’imbarazzo. Aldo esce, sorridendole
sornione.

IL PASTORE: Rosalina, trovo del tutto inopportuno che tu rimanga sola con quel ragazzo. Per carità, suo padre è una degnissima persona, ma lui… è un incorreggibile, uno scapestrato…

ROSALINA: Babbo, per favore, non essere duro!

IL PASTORE: Devo esserlo per te, che sei troppo morbida con il prossimo. E non ti rendi conto del fatto che potresti dare adito a chiacchiere.

ROSALINA: Hai ragione. Ti chiedo perdono.

IL PASTORE: Non ce n’è bisogno. È sufficiente che in futuro tu sia più accorta, Rosalina.
Rumore viene all’esterno. Entra un gruppo di comparse guidate dal
Sindaco.

IL SINDACO: Insomma, smettete di tormentarmi con le vostre domande! Se il problema si presenterà, allora cercheremo di risolverlo.

IL PASTORE: Che succede, Amedeo?

IL SINDACO: Seccature, seccature, sempre seccature! Si sono moltiplicati i numeri di quanti cercano di entrare a Candevari dall’Epiro! L’esercito sinora è riuscito a tenerli a bada, ma la situazione è sul punto di esplodere.

ELEONORA: È inconcepibile! Porteranno con sé la contaminazione delle ombre… Bisogna impedirlo!

IL SINDACO: È quanto stiamo cercando di fare! Ma la pressione è ormai giunta al limite.

ROSALINA: Povera gente, in fondo che male potranno mai farci? Le ombre non si sono più manifestate da dieci anni. Forse è ora di riaprire le porte della nostra città e…

IL PASTORE: Sono questioni che devono essere discusse da uomini e adulti, signorine. (al sindaco) Sono certo, Amedeo, che l’esercito saprà rimediare al meglio a questa ‘pressione’. (alla folla) E quanto a voi, gente, vi attendo in chiesa tra quaranta minuti. Siate verso Gesù Cristo più accoglienti di quanto lo siete con quei poveri senzaterra. (Esce, seguito dal sindaco e dagli altri. Restano in scena Rosalina ed Eleonora).

ELEONORA (alla sorella): Che hai intenzione di fare, ora?

ROSALINA: A cosa ti riferisci?

ELEONORA: Non fingere di non capire. Sto parlando di Aldo. Nostro padre è stato chiaro.

ROSALINA: Già e quello che vale per me, vale anche per te.
(Aldo, ben vestito, pronto a recarsi alla funzione, si affaccia, non veduto).

ELEONORA: Cosa vuoi dire?

ROSALINA: Ora sei tu che fai la finta tonta. So benissimo che anche tu desideri Aldo.

ELEONORA (ride): Io? Cosa te lo fa pensare?

ROSALINA: Tutto, Eleonora. Tutto. E so che non mi sbaglio.

ELEONORA: In ogni caso devi dimenticarti di lui. A nostro padre non piace e quello che il padre comanda è legge. Dovresti saperlo, cara. E ora, con permesso. Torno ai miei doveri di istitutrice dei nostri ‘adorabili’ fanciulli. Quei marmocchi sono così odiosi che persino le ombre li andrebbero scansando (esce).

ROSALINA (furente): Sta’ lontana da lui! (scoppia in lacrime. Aldo
sopraggiunge)


SCENA SESTA
Aldo e Rosalina.

ALDO: Che succede, Rosalina?

ROSALINA: Nulla, nulla, Aldo. Un po’ di stanchezza, niente di più.

ALDO: Stanchezza? (la strattona) Perché non mi dici la verità, eh?

ROSALINA: Lasciami, mi fai male.

ALDO: Di’ un po’; sei tesa perché a tuo padre non piaccio, eh?

ROSALINA: Calmati, per favore.

ALDO: No, io non mi calmo! Voglio berlo fino in fondo questo veleno che mi intossica l’anima giorno per giorno. Sai dirmi perché sono nato con la luna di traverso? Col cielo sbagliato? Perché così è, non è vero?

ROSALINA: Io non lo credo.

ALDO: E allora vieni via con me! Lasciamo queste mura del pianto.
Andiamo a vedere le luci fuori da questo cimitero vivente.

ROSALINA: Le luci o… le ombre.

ALDO: Le luci, Rosalina. Le luci. Mia madre me ne parlava sempre.

ROSALINA: Prima che le ombre la rapissero alla vita.

ALDO: Ombre ombre ombre! Voi donne non sapete parlare d’altro. C’è un mondo là fuori che non è solo ombre ed Epiro in guerra… E io voglio vederlo.

ROSALINA: Tutto il mondo, Aldo, è stato sconvolto dal buio. Dovresti saperlo.

ALDO: Invece no. Gli altri popoli vivono, si riproducono, folleggiano, danzano! Solo noi ci siamo rinchiusi in questo lutto perenne che non conosce variare di stagioni.

ROSALINA: Resta qui con me, Aldo. Le ombre là fuori mi spaventano. Quelle del cuore di un padre apprensivo, invece, si possono fugare.

ALDO: Sono stanco, Rosalina. Troverò il modo di andare via. E se
non vuoi venire con me, me ne farò una ragione (esce).

ROSALINA (irritata): Maledizione (esce).


SCENA SETTIMA
Entrano tre donne, vestite di nero. I loro nomi sono Cassandra, Elsa ed Ester. Fuggono dall’Epiro.

CASSANDRA: Ti saluto, terra accogliente! In te parla una bellezza antica che sempre si rinnova.

ELSA: Ancora temo di veder comparire dietro l’angolo uno di quei carnefici in divisa.

ESTER: E io ho ancora davanti agli occhi il bambino di mia sorella. Il soldato dal volto di cera che l’ha lanciato in aria e infilzato con la lama della sua baionetta! (angosciata) Che orrore! Lo rivivo ogni istante.

CASSANDRA: Questi ricordi purtroppo non ci abbandoneranno mai.
Saranno la nostra spina nel cuore. Ma ora siamo a Candevari, tra gente civile. Qui nessuno più potrà farci del male.

ELSA: Vorrei crederci, Cassandra.

ESTER: Anche io ho tanti dubbi. Ho perso ogni fiducia nell’uomo…
Entra Rosalina, agitata. Si ferma.

ROSALINA: Chi siete? Non vi ho mai viste qui in città.

CASSANDRA: Che tu sia benedetta, ragazza di Candevari! Siamo straniere. Veniamo dall’Epiro…

ROSALINA: Dall’Epiro? E come?

CASSANDRA: Alcuni nostri compatrioti ci hanno insegnato un punto in cui l’attraversamento delle mura è più agevole. E ora siamo qui a chiedervi asilo.

ROSALINA: Per carità, non fatevi vedere. Qui a Candevari la gente ha terrore degli stranieri. È per colpa delle ombre.

CASSANDRA: Ombre? Ah, capisco. Tutti ne parlavano, in Epiro.
(pausa, poi, con rinnovata fiducia) Mai noi siamo sane! Guardami. Le uniche ombre che porto con me sono le ferite di una guerra durata oramai
troppi anni.

ESTER: Io ho visto mio nipote ucciso dai soldati con questi miei occhi. E poi è stato il turno di mia sorella che si era lanciata così, come una pazza, contro il soldato assassino. Sono queste le mie ombre.

ROSALINA: Dovete nascondervi. Il momento purtroppo non è favorevole. Correreste il rischio di essere espulse. Uccise, addirittura.

ELSA: Questo no! Per carità.

CASSANDRA: Dove nasconderci, brava giovane?

ROSALINA: Rosalina…

CASSANDRA: Dove, Rosalina?

ROSALINA (pensosa, poi, più sicura): C’è un vecchio mulino dismesso, lungo le mura. I ragazzi giocano a palla tra le rovine, ma nessuno vi si addentra mai. Quello potrebbe essere il luogo più adatto. Certo, non ci starete comodamente, ma…

CASSANDRA: Oh, non sarà un problema per noi.

ELSA: Ormai siamo abituate a qualunque sacrificio.

ROSALINA: Venite con me. Vi insegnerò la strada. E spero tanto che nessuno ci noti…

CASSANDRA: Dio ti benedica. Su, presto, andiamo (escono tutte).


SCENA OTTAVA
Entrano Aldo, Sergio e Cesare, confabulando concitatamente tra loro.

ALDO: Ne sei proprio sicuro?

SERGIO: Ma certo! Che pensi: che dica panzane?

CESARE: Non sarebbe una novità, carnevale come sei.

SERGIO (solleva il pugno): Attento a come parli, ricchioncello!

CESARE: Ricchioncello ci sarai tu!

ALDO: Piantatela! (beffardo) Farete l’amore un’altra volta…

CESARE: Strozzati.

ALDO: Insomma, Sergio, tu sostieni di aver visto delle donne varcare le mura.

SERGIO: Io non ‘sostengo’, io ‘ho’ visto.

ALDO: Il punto a cui alludeva Benito.

SERGIO: Già, però la verginella ci ha mentito. Infatti, di guardia c’è proprio lui. O meglio, dovrebbe essere di guardia, perché… udite udite, Nituccio bello si è addormentato.
Ridono.

ALDO: (ride) Imbecille, faceva il prezioso e invece l’abbiamo fregato.

SERGIO: Un momento, ‘io’ l’ho fregato.

ALDO: Ehi, dito mignolo, poche storie. Non siamo sempre stati una squadra?

SERGIO (gli mostra il dito medio): Quando ti fa comodo, adoncino.

ALDO: Sta’ a sentire, teppistello. Ora tu ci porterai al varco e, tempo un’ora, saremo fuori da qui. Mi pare già di vedere la luce. Andare verso la gioia, la pienezza. Cominciare a vivere, una buona volta. Non è un sogno? Di’ un po’ Cesare, non ti sembra bellissimo?

CESARE: Non lo so, Aldo. Tutto troppo semplice e… complicato allo stesso tempo.

ALDO: Perché diffidare di ciò che appare semplice? Testolina cara, in fondo non c’è che da varcare un muro. Un semplice muro di pietra.

CESARE: E le ombre?

ALDO: Dio santo, anche voi a lasciarvi condizionare da queste sciocche paure. Dico, preferite rischiare di incontrare le ombre, ma vivere anche solo un attimo l’ebbrezza della libertà o trascinarvi tra queste mura cupe, donne vestite di nero, preti che fanno del pregiudizio la loro sciocca bandiera, gente anestetizzata, goffa, priva di qualunque slancio? (all’amico) Cesare! Quasi non ti riconosco… (volgendosi all’altro) Teppistello?

SERGIO: Al Diavolo! Io ci sto.

ALDO: Così mi piaci. E tu, Cesare?

CESARE (dichiarandosi vinto): E va bene. Andiamo.
I due arretrano. Aldo rimane fermo, come estatico, immerso nei suoi
pensieri.

ALDO: Vecchie maschere imbalsamate. Per anni ci avete tormentato con le vostre angosce. Ci avete mummificati per paura della vita. Io vado a bere l’aria, la luce, la verde natura che ci è madre. Non mi fermeranno i vostri pianti di femmine incartapecorite. Vivere vivere vivere… Questo solo è il verbo che il cuore proclama! (esce correndo)

SIPARIO

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA
Il terzo giorno. Cesare e Aldo entrano in scena correndo, spaventati
e trafelati.

CESARE: Fermiamoci, Aldo. Ormai siamo a casa…

ALDO: Dannazione! Perché doveva andare così?

CESARE: Già. Non avrei mai creduto che ce l’avremmo fatta.

ALDO: Ho ancora davanti agli occhi l’immagine di Sergio tra le grinfie di quegli invasati. E grida e chiede disperatamente aiuto!

CESARE: Un incubo assurdo. Chi erano quegli individui lerci, orribili? E con quanta forza ti hanno afferrato e toccato gli occhi e il viso con quelle mani sudicie.

ALDO (sputa): Posso sentire ancora il loro sapore orribile sulle labbra, amico.

CESARE: E ora cosa diremo alla madre di Sergio?

ALDO: Che vorresti dirle, Cesare? Nulla.

CESARE: Come nulla?

ALDO: Lo capisci, imbecille, che raccontare quello che è accaduto significherebbe ammettere che abbiamo varcato il confine? Le conseguenze potrebbero essere terribili. Ci arrivi da solo, no?, a intendere che abbiamo violato la legge?

CESARE: Ma appena le comparirò davanti, senz’altro mi chiederà di lui.

ALDO: Semplice: tu non comparirle davanti!

CESARE: La fai facile. Sono giorni che Sergio non fa ritorno, di certo lei mi cercherà.

ALDO: E tu le dirai che non l’hai visto. Sì, non l’abbiamo visto da tre… quattro giorni.

CESARE: Non so se avrò la forza di mentire. Non questa volta.

ALDO: Idiota, non è il momento di essere deboli. Ne va della nostra libertà.

CESARE: Cercherò, Aldo. Ma non ti garantisco nulla (esce).

SCENA SECONDA
Rosalina entra trafelata.

ROSALINA: Aldo, Aldo. Finalmente. Ti ho cercato dappertutto. Ho
temuto avessi fatto una pazzia.

ALDO: Naturalmente, data la grande stima che hai di me!

ROSALINA: Non fraintendermi. È che ci siamo lasciati così male…

ALDO: Hai detto bene. Ci siamo lasciati. ‘Tu’ mi hai lasciato. Per questo sparisci e non mi seccare.

ROSALINA: Sei pallido. Come se avessi la febbre (gli tocca la fronte)

ALDO: Levami le mani di dosso. Che vuoi, miss Pudore? Hai fatto la tua scelta.

ROSALINA: Tu non stai bene. Di’ la verità. Hai lasciato la città.

ALDO: Come ti salta in mente?

ROSALINA: Non sei affatto bravo a nascondermi la verità.

ALDO: Ti ho detto che non ti nascondo niente e non lo ripeterò ancora.

ROSALINA: Non ti vedevo da tre giorni…

ALDO: Dico, Rosalina. Tuo padre vuole che io ti stia alla larga, no?
Ho soltanto eseguito gli ordini, nulla più, nulla meno.

ROSALINA: Ti ho cercato in piazza, al campo, nei tuoi luoghi abituali…

ALDO: Ho avuto degli impegni. Non sono mica uno sfaccendato.

ROSALINA: Non c’erano nemmeno i tuoi amici.

ALDO: Non sono nemmeno una stupida balia.

ROSALINA: E poco fa ho visto Cesare. Insieme a te è ricomparso per miracolo anche lui. Sergio, invece, ancora non si vede.

ALDO: Lasciami in pace. (rimane immobile per un istante, come se avvertisse un malessere)

ROSALINA (preoccupata): Che hai?

ALDO: Per un attimo mi si è offuscata la vista, ma ora sto bene… (Rosalina fa per abbracciarlo, lui la respinge) Sto bene, ti dico! (pausa) Ma a chi voglio darla a bere? Sta andando tutto in malora! Sergio aveva scoperto il varco per uscire dalle mura.

ROSALINA (allarmata): Il varco?

ALDO (seccato): Sì, Rosalina, il varco. (poi, per un attimo quasi esaltandosi) Approfittando dell’oscurità, due sere fa, siamo usciti dalle mura. Inizialmente è stata un’esperienza esaltante. Abbiamo camminato sino alla marina. Appena giunti lì, ci siamo tolti le scarpe. Sentivo la carezza della sabbia sotto i piedi nudi. Una sensazione che avevo provato forse solo quando ero bambino o forse nemmeno allora. E le luci, Rosalina. Le luci delle navi che correvano lontano. Per un attimo mi son detto: forse c’è Dio in quella luce. Forse c’è, mi sono detto. Darei chissà cosa per vederle ancora. Per essere su una di quelle navi, l’ultimo dei mozzi. Vedere terre nuove, nuovi soli, nuove luci. Sono rimasto abbagliato, felice di questo momentaneo eccitante accecamento. Abbiamo trascorso la notte sulla spiaggia. Al mattino è arrivata un’imbarcazione. C’erano a bordo persone di ogni età, li guidava un giovane biondo. Avrà avuto vent’anni al più; era bellissimo. Si comprendeva che era nato alla libertà. Traghettava quelle genti con amore. Lo avresti creduto un angelo. Quelle persone avevano gli occhi stanchi, il viso spento, ma lui no. Era felice. Sembrava dirmi: io non conosco il buio. Appariva in grado di attraversare l’oscurità senza esserne intaccato. Oh, Rosalina, perché non può accadere questo a me?

ROSALINA: Chi dice che non sia possibile?

ALDO (agitato): Perché li ho incontrati, Rosalina. Li ho veduti con questi miei occhi. Cesare non ha capito, ma io sì. L’ho saputo sin dall’istante in cui mi sono comparsi davanti.

ROSALINA: Chi? Chi hai visto?

ALDO (sempre più agitato): Le ombre! Anime dagli occhi vitrei, dai panni sudici, dai corpi scheletrici, dal ghigno di teschio. Ci hanno inseguito. Ci hanno inseguito. Hanno catturato Sergio e hanno afferrato anche me. Volevano ghermirmi, ma io mi sono divincolato. Mi sono sottratto alla loro presa terribile.

ROSALINA (si fa il segno della croce): Grazie a Dio sei salvo.

ALDO: No, Rosalina, no. Non sono salvo e non c’è Dio.

ROSALINA: Che dici? Non bestemmiare. Lo capisci che Dio è in quella luce che tanto t’innamora. In quell’angelo che ha attraversato la tua strada.

ALDO (urlando): Sono contaminato, Rosalina! Lo so, lo sento! Come lo chiamano i vecchi? Il miasma? Ebbene il miasma è su di me.

ROSALINA: Non puoi saperlo.

ALDO: E invece lo so. Qual è il primo segno della contaminazione?

ROSALINA: Non lo ricordo. Le ombre sono lontane da Candevari ormai da dieci anni e…

ALDO: Te lo dico io. Lo so perché accadde a mia madre. Il primo segno è l’offuscarsi della vista e prima… Ah, lascia perdere e stammi lontana!

ROSALINA (quasi piangendo): Forse sei stanco. Non dormi da giorni. È naturale…

ALDO: Forse già domani non vedrò più il tuo volto.

ROSALINA: Non fare così. È come se mi stringessi il cuore tra le mani, sino a lacerarlo.

ALDO: Lascia che ti guardi ancora una volta, Rosalina. Così, da lontano. Non avvicinarti a me. Non ti ho mai detto che, quando non ci sei, a volte mi scopro a pensarti, perché ti ho dipinta qui (si tocca il petto) E finché avrò vita, anche se i miei occhi non vedranno più la luce, la mente continuerà a sorprendersi della tua bellezza, Rosalina. No, non piangere.
Se quella che sei ora sarà una delle ultime immagini che vedrò, lasciati
vedere sorridente, serena. Serena ancora una volta, Rosalina. (lei sorride) Ora va’, va’. Voglio essere solo quando le ombre arriveranno. (Rosalina
fa per uscire. Poi si ferma. Aldo urla)
Va’ via, Rosalina. Va’ via, sta’ lontana da me. (Rosalina esce di scena. Aldo rimane solo)


SCENA TERZA
Aldo si apparta lateralmente. Entra in scena Norma con un gruppo di bambini. Sono accompagnati da Eleonora.

ELEONORA: Fermatevi qui, bambini. Perché non giocate un po’?

NORMA: Possiamo giocare come vogliamo noi?

ELEONORA: Sì, ma senza farvi male. Fate un bel disegno con i gessetti colorati. Poi, sceglierò il più bello.
Norma e i bambini cominciano a disegnare con i gessetti sul pavimento. Eleonora si avvicina ad Aldo e gli tocca un braccio.

ELEONORA: È un po’ che non ti si vede in giro.

ALDO (si scosta bruscamente): Cosa vi prende, oggi? Tutti attenti a quello che faccio io.

ELEONORA: Non mi pare che sia la prima volta che m’interesso a te, o sbaglio?

ALDO: Non hai paura del paparino? Cosa direbbe il pastore vedendoti qui, ora, con un ragazzo cattivo come me?

ELEONORA: Non sono pavida come Rosalina.

ALDO: Bada a come parli di tua sorella.

ELEONORA: Dico solo che, se un uomo mi piace, me lo prendo, punto e basta. Non mi faccio certamente mettere i piedi in testa da mio padre.

ALDO: Buon per te e beato chi ti avrà nel suo letto.

ELEONORA: Quanto sei volgare!

ALDO: Attenta, non stuzzicarmi, perché potrei toccarti ora, qui davanti ai tuoi studenti. (alzando la voce) Non è forse quello che vuoi? E quello che vuoi non è forse volgare, eh? (si ferma, per evitare di toccarla)

NORMA (ai bambini): Basta con questi gessetti. Facciamo un girotondo? Che dite? (comincia a cantare) Alouette, gentile alouette. Alouette, je te plumerai. (i bambini cominciano il girotondo, cantando con voce
sommessa)
Alouette, gentile alouette. Alouette, je te plumerai.

ELEONORA: Che ti prende, Aldo?

ALDO: Nulla, nulla.

ELEONORA: Sei pallido da far paura. (fa per avvicinarsi)

ALDO (muove le braccia in avanti, come per scostarla, ma nella direzione sbagliata): Levati dai piedi.
I bambini girotondano e cantano: Je te plumerai la tête, je te plumerai
la tête. Alouette, alouette, ah ah…

ELEONORA (gli passa le mani davanti agli occhi e si accorge che Aldo non vede più): Stai meglio, ora?

ALDO (mentendo): Sì, sì, sto meglio. È ora che io vada. Addio, Eleonora. I bambini smettono di cantare e si fermano, come a chiacchierare.

ELEONORA: Arrivederci?

ALDO (sorride): Ma sì, certo. Si dice ‘addio’ come a dire ‘arrivederci’. E del resto, quando si dice ‘arrivederci’, chi può dire se ci si rivede oppure no. E mal che vada, ci si rivede lo stesso. (sghignazza) Magari giù all’inferno, purché ci sia luce. (pausa) Purché ci sia luce. (esce)

ELEONORA (preoccupata e inquieta cerca di richiamarlo): Aldo, Aldo…
I bambini ricominciano a cantare, in girotondo: Alouette, gentile
alouette e così via.

D’improvviso, mentre cantano, il buio cala sulla scena. Il canto muore all’improvviso.

NORMA (terrorizzata): Che succede?

UNA BAMBINA: è arrivata la notte all’improvviso!

ELEONORA (sforzandosi di mantenere la calma): Nulla nulla, bambini. È solo che il Sole ha voglia di giocare e si è nascosto. Ora facciamo insieme una bella cosa. Torniamo tutti alle nostre case, finché dura questo strano scherzo. Però dovete cantare. Cantate, sì. Così il Sole si accorge che non avete paura e smette di confonderci con le sue birichinate. Cantate, bambini. I bambini riprendono a cantare la canzone dell’allodola. Eleonora prende per mano Norma, che a sua volta dà la mano a un altro bambino e così a seguire. Cantando, escono di scena.


SCENA QUARTA
Entra in scena gente del popolo, che si fa luce con le torce e questa
illuminazione fioca caratterizzerà la prosecuzione della pièce. Ci sono
anche il sindaco, il pastore e la scolta.

IL SINDACO: Una misteriosa calamità è calata su di noi.

IL PASTORE: Le ombre, Amedeo. Qualcuno ha infranto la legge di Candevari e oltrepassato le mura.

LA SCOLTA: Non è possibile, signor pastore. Le dico che la sorveglianza è rigorosissima.

IL PASTORE: Eppure è accaduto. Non c’è altra spiegazione.

IL SINDACO: Sì, anche quindici anni fa la comparsa del miasma fu segnata dall’oscuramento del Sole. Lo ricordo bene anche io.

IL PASTORE: Chi era di guardia nelle ultime ore?

LA SCOLTA: Io, Signore. E non ho notato nulla di strano.

IL SINDACO: E nei giorni precedenti?

LA SCOLTA: Nulla. Ne sono certo. E anche gli altri possibili accessi sono stati sempre presidiati da persone di fiducia.

IL SINDACO: Anche… (reticente, alludendo al varco)

LA SCOLTA: Anche, signor sindaco.

IL PASTORE: E chi era a guardia del…

LA SCOLTA: Mio figlio Nito.

IL SINDACO (irato): Incosciente! Affidare un punto strategico così delicato a un ragazzino.

LA SCOLTA: Mio figlio avrà senz’altro svolto al meglio il suo compito.

IL SINDACO: Lo si faccia venire.

NITO (facendosi largo tra la folla): Sono qui, signore.

IL SINDACO: Vieni avanti, ragazzo.

NITO: Come vuole, signore.

IL SINDACO: Credi che qualcuno possa avere attraversato il varco nelle ultime ore?

NITO: Nelle ultime no, signore.

IL SINDACO: E ieri?

NITO: Neppure, signore.

IL SINDACO: E tre giorni fa?
Nito non risponde.

LA SCOLTA (speranzoso): Rispondi, Benito.

NITO: Forse. Non lo so.

LA SCOLTA: Come sarebbe che non lo sai?

NITO: Sarebbe quello che ho detto.

LA SCOLTA: E allora spiegalo.

NITO (quasi sussurrando): Dormivo, padre.

LA SCOLTA: Parla più forte, perché non ti sento.

NITO (urla): Dormivo, padre.

LA SCOLTA (incredulo): Tu… dormivi?

NITO (quasi piangendo): Sì, padre. Dormivo. Era la mia prima volta.
Ero solo. Ero stanco. È stato più forte di me.

IL PASTORE (al sindaco): L’ira del Signore è su di noi.

UNA GUARDIA entra trascinando Cassandra. Dietro di lui, altre due guardie strattonano Elsa ed Ester. Eleonora entra correndo in scena.


SCENA QUINTA

ELEONORA: Cosa succede? (entra in scena) Babbo, perché il buio è calato sulla città? I bambini sono terrorizzati.

IL PASTORE: I confini sono stati violati. Qualcuno è entrato o uscito da Candevari per poi tornarvi e portare con sé… il miasma.
Grido soffocato di Eleonora.

IL SINDACO (alle guardie): Chi sono quelle donne?

UNA GUARDIA: Le abbiamo scovate nel vecchio mulino. Un’anziana signora che abita nei dintorni aveva notato strani movimenti. Le abbiamo arrestate e condotte qui.

IL SINDACO: Chi siete, donne?
Cassandra si libera dalla stretta e si getta ai piedi del Sindaco.

CASSANDRA: Siamo supplici, Signore. Sfuggite alla morte in Epiro, chiediamo asilo in questo paese.

IL SINDACO: È così che chiedete asilo? Nascondendovi?

CASSANDRA: Appena giunte qui, abbiamo saputo che non ‘gradite’ gli stranieri e abbiamo avuto paura.

IL SINDACO: La vostra condotta è intollerabile.

CASSANDRA: Quello che dice è vero, Signore, ma consideri la nostra condizione. Imploriamo pietà. E baciamo questa terra accogliente.
(bacia la terra)

ESTER: Cassandra ha ragione, Signore. È solo un po’ di pace ciò che chiediamo.

ELEONORA: E invece avete portato la contaminazione a Candevari. Avete distrutto la ‘nostra’ pace.

IL PASTORE: Eppure non sembrano contaminate dal miasma.

ELEONORA: Sai bene, padre, che non sempre la contaminazione è evidente.

CASSANDRA: Io so di cosa parlate. Avete paura delle ombre. Capisco i vostri timori, ma vi sbagliate. Altre ombre hanno distrutto la nostra vita. Guardateci, non siamo figlie della notte. Chiediamo solo di vivere, lavorare, amare, finire la nostra esistenza dolcemente nella vostra terra. Non è, in fondo, quello che chiede ogni essere umano?

IL SINDACO: Avreste dovuto chiedere, non imporre la vostra presenza.

CASSANDRA: Ma noi non abbiamo imposto nulla. Ce ne stavamo lì, rintanate nel mulino, senza vedere la luce del Sole.

ELEONORA: La luce del Sole non la vediamo più neanche noi. E di certo è per causa vostra. Meritate di essere lapidate.

CASSANDRA: Lapidate? Perché? Cosa vi abbiamo fatto?

ELEONORA: È questa la pena per chi infrange il nostro divieto.

CASSANDRA: Almeno lasciateci libere. Ce ne andremo. Non potete punirci con la morte.

ELEONORA: Sì, invece. Non avevate il diritto di entrare nella nostra terra. Siete state la nostra rovina. Se potessi, scaglierei io stessa la prima pietra.

IL PASTORE: Eleonora…

IL SINDACO: Tua figlia ha ragione. Meritano la lapidazione, questo è certo.


SCENA SESTA
Entra Rosalina, che aveva osservato non vista la scena, negli ultimi
istanti.

ROSALINA: No. (Tutti si voltano verso di lei). Non sono loro ad aver portato la contaminazione qui.

IL PASTORE: E tu che ne sai, Rosalina?

ROSALINA: Lo so… e basta.

IL SINDACO: Parla, allora.

ROSALINA: A che servirebbe? Ad alimentare questa spirale di odio, di rancore…

IL SINDACO: Non c’è odio, qui, ma solo sete di giustizia.

ROSALINA: Giustizia? Allora indagate. Accusare queste donne di essere la causa della nostra sciagura potrebbe rivelarsi un tragico errore.

IL SINDACO: Il loro ingresso in città è stato un tragico errore.

ROSALINA: Qualcuno di voi può dimostrarlo?

IL SINDACO: I fatti parlando da sé. Loro entrano in città e il miasma si abbatte su di noi. Cos’altro c’è da sapere?

ROSALINA: Qualcun altro potrebbe avere scoperto il varco e…

ELEONORA: Stai zitta; Rosalina! Vuoi?…

ROSALINA: Io non voglio nulla, Eleonora. E cosa potrei mai volere io, che non sono nessuno? Chiedo solo che si valutino i fatti, prima di procedere. Nulla più.

IL SINDACO: Non c’è tempo di indagare. Bisogna provvedere subito. Vorrà dire che voteremo. Sarà il popolo a decidere, com’è giusto che accada in una democrazia.

ROSALINA: Il popolo non è a conoscenza dei fatti. Ascolta e comprende quello che vuole comprendere. È comodo attribuire tutte le colpe allo straniero. Io non ritengo…

IL SINDACO: Tu non ritieni cosa? Chi credi di essere, ragazzina? A stento sei stata svezzata e vuoi comportarti come se fossi tu il Sindaco, il rappresentante dell’autorità.

IL PASTORE: Eppure io credo che in questo caso Rosalina abbia ragione. Forse in questo momento è Dio che parla attraverso di lei.

IL SINDACO: Ecco, bravo, tu occupati di Dio. Di’ pure le tue preghiere e io dirò le mie. Ma questa questione deve essere regolata dal popolo.

IL PASTORE: Il popolo non può decidere su tutto. Deve farlo chi ha discernimento. Le masse corrono col vento. Non a caso Machiavelli diceva che “nel mondo non è se non vulgo”…

IL SINDACO: Un prete che cita Machiavelli. Dovevo arrivare a questa strana giornata per sentire una cosa del genere. (pausa) Si proceda alla
votazione.

CASSANDRA: Un istante, un istante solo. Se abbiamo violato le vostre leggi, vi chiediamo perdono. Non le conoscevamo. Che la nostra ignoranza possa giustificare la trasgressione. Se vi abbiamo causato dolore, vi chiediamo perdono. Andremo lontane da qui. Non sentirete più parlare di noi. Per voi sarà come se non fossimo mai esistite.

ELEONORA: E infatti così sarà tra poco.

CASSANDRA: Pensateci come vostre sorelle. Sorelle che vivono in un’altra terra, ma sempre legate a voi dalla voce del sangue. Pensateci come sorelle. Avreste la forza di lapidare qualcuno della vostra famiglia? Avreste questo coraggio? Andremo via, ve lo prometto. Lasciateci vivere…

IL SINDACO (incurante): Si proceda alla votazione.

CASSANDRA (lancia un urlo. Poi ispirata): Un ragazzo… è bello come un dio. La sua vita è ormai al buio. I suoi piedi nudi salgono su una sedia… Cosa vuoi fare? Che significa quel cappio che pende dal soffitto? Il dolore ti acceca! La follia… No! Non farlo!!! Noooooo!

ROSALINA (che ha compreso, si lascia sfuggire un singhiozzo)

IL SINDACO (senza lasciarsi scalfire): Si proceda alla votazione. Vita. (Solo Rosalina, il pastore e pochi altri alzano la mano). Morte (la
maggioranza, a cominciare da Eleonora, vota per la pena capitale)

CASSANDRA: E sia. Ma sappiate che la collera divina è sempre pronta a colpire ogni terra inospitale. Non vincerete la contaminazione, perché oramai ha intaccato il vostro cuore. Ed è tardi. Tardi. (si vela il capo di nero e si pone a centro scena. Avanzano dignitose anche Ester ed Elsa, con il capo velato)

ROSALINA: Seguirò il loro destino. Nulla, oramai, potrà più avere alcun senso.

PASTORE (disperato): Rosalina.

ROSALINA: Questa città è morta. (va a centro scena. Con fierezza, cala il velo nero sul suo viso).

ELEONORA (come pazza): Rosalina, Rosalina, non essere sciocca. Non devi seguire il loro destino. Tu non sei come loro.

ROSALINA: Di certo non sono come voi.

ELEONORA (alla folla): Non vi accanirete contro Rosalina, vero? Non lo farete contro una di voi, vero? Guardatela, è la figlia del pastore. È cresciuta tra queste mura. Ponete fine a questa pazzia.

La fioca luce in scena si spegne lentamente, sulle note di Veris laeta
facies, con la folla che si accinge alla lapidazione.
Mentre il velario cala, si ode l’urlo di
ELEONORA: Ah! Non vedo,
non vedo più. Il miasma è su di me.

FINE