Intervista a Daniele Giancane

L’ultimo libro che hai pubblicato a maggio è Che cos’è la poesia? edito da Tabula fati. Cosa ti ha spinto a scriverlo?

“Devo dire che è un libro “didattico”. Ho voluto mettere la mia esperienza di una vita a contatto con la poesia a disposizione del popolo della poesia, in specie dei giovani o di coloro che comunque sono alle prime armi (ma anche di coloro che,pur scrivendo da molti anni,non hanno mai riflettuto a fondo sulle ragioni, gli itinerari, la struttura della poesia). C’è un pensiero di fondo che va sfatato: la poesia non è un semplice percorso di estrinsecazione delle emozioni, ma è anche un severo e diuturno “lavoro di lima” come dicevano gli antichi. La competenza nella “composizione” (conoscenza, ad esempio, delle figure retoriche) e almeno un’infarinatura della storia della poesia sono assolutamente necessari nel “corredo” del poeta”. 

Nel libro, in brevi capitoletti, dai consigli, fai riflessioni, delinei itinerari possibili. Possiamo definirlo una sorta di laboratorio? A chi si rivolge?

“Certamente è un laboratorio in atto. Una serie di riflessioni attorno all’arte dello scrivere aperto in sostanza a tutti. Io credo che si debba recuperare la concezione della “bottega” rinascimentale. Leonardo Da Vinci forse non sarebbe diventato ciò che poi è stato – quel genio universale – senza la frequentazione della bottega del Verrocchio. Raffaello, se non avesse imparato l’arte dal Perugino, chissà se avrebbe fatto la strada che ha fatto. Insomma, l’arte (qualsiasi arte) è anche apprendimento del “mestiere”,oltre che ispirazione e talento”.

Tutti i mestieri, dal medico all’avvocato, e tutte le arti, dalla pittura alla musica, hanno bisogno di lunghi anni di studio e di apprendimento. Parlando della poesia, Pierre Drieu la Rochelle notava che «senz’Apollo, chi saprebbe che Dioniso è passato? I canti folli di Dioniso si perderebbero nella notte, se la lira di Apollo non li raccogliesse, non li scandisse, non desse loro forma, solidità e vita alla luce del giorno.» Sennonché, secondo alcuni e secondo tanti che si cimentano nello scrivere versi, la poesia farebbe eccezione, basterebbe l’ispirazione. È così? 

“No, non è così. Un filosofo del secondo dopoguerra, Dino Formaggio (maestro di Cacciari, per dirne una), si muoveva lungo questo itinerario,del resto individuato assai bene anche da grandi poeti come Lorca e Seferis. Formaggio giungeva a dire una cosa in cui credo anch’io: che il “lavoro di lima” (le tecniche, il mestiere, le parole, le revisioni, le riscritture) non sono estranee all’ispirazione. Anche l’utilizzo della tecnica fa parte dell’ispirazione. Se improvvisamente scopro che una parola è più illuminante di un’altra,è perché quella parola trovata mi muove la vita di dentro,mi apre degli squarci. Mi fa vedere la realtà in un altro modo. E’ un’alba, una epifania. E’ un’ispirazione. Come dico sempre ai giovani poeti: andate a Recanati e guardate quante revisioni ha fatto Leopardi dei suoi famosi testi. E’ la dimostrazione che l’arte non nasce solo dall’ispirazione (che è necessaria ,è ovvio), ma anche dal lavoro”.

I giovani amano ancora la poesia?

“Dico di sì, solo che trovano la poesia in altri spazi, per esempio la canzone dei cantautori. La poesia è inestinguibile,solo che la poesia odierna è poco appetibile ai giovani. Sia perché spesso è retorica e troppo formale, lontana dai linguaggi odierni (la poesia non deve essere “altro” dalla vita, è vita essa stessa, non deve usare linguaggi obsoleti); sia perché non c’è una vera educazione alla poesia. Sia anche perché la poesia richiede attenzione, concentrazione, sosta, lentezza, cosa che per i giovani è difficile. I testi dei cantautori sono più immediati”. 

Affrontiamo un punto dolente: il rapporto tra scuola e poesia.

“La scuola è assente quasi totalmente,tranne qualche insegnante di buona volontà. Il fatto è che la poesia è una sorta di “contro veleno”,di forma di resistenza. Di allontanamento dai luoghi comuni. E’ una rivoluzione. Quale insegnante vuole trasmettere la rivoluzione? Pochi”.

La poesia, scrivi in una delle tue poesie, è “un cuore che avverte la ritmica del mondo”. Che cos’è per te la poesia? Vuoi darci una tua definizione della poesia?

“Ce ne sono a milioni. Quella che mi convince di più è quella di Allen Ginsberg, poeta della beat generation. Quando gli fu chiesto “a che serve la poesia?” Lui rispose: ad allargare l’area della coscienza. E’ vero,è così”.

Di fronte al predominio planetario incontrastato della tecnica e del mercato la poesia ha oggi ancora un senso? 

“Oggi più che mai. Praticare la poesia vuol dire contrapporsi ad un universo mercificato e piatto, al pensiero “pensato”, alla vita come ricerca del denaro e del benessere materiale. I poeti esistono per dimostrare che si può vivere e pensare in un altro modo. Servirà a poco, forse, ma il loro compito è testimoniare questo”.

Intervista di Sandro Marano su Barbadillo.it
https://www.barbadillo.it/91679-7-domande-sulla-poesia-a-daniele-giancane-larte-e-anche-apprendimento-del-mestiere/