POETA

Ho provato
a sfondare
pareti
di parole

Ho cercato
la chiave
della tua
ricerca

di SENSO.

(1° giugno 2018) A Maurizio
G. NOTARANGELO, Quel che resta, Tabula fati 2018

Viaggio in sé stesso, nell’infanzia, nei ricordi, nel sogno, negli affetti più cari alla scoperta di un altro sé, di un alter ego con cui confrontarsi allo specchio ed al contempo un fuori dal sé, immaginando un ipotetico hotel di quattro o cinque piani dalle stanze con i soli numeri dispari, col chek- in ed il chek-out. Le stanze sono viste come situazioni che si creano in un albergo per me senza porte: la vita.

Situazioni surreali, o frutto di già visto, vecchi spezzoni di film americani, attrici di Hollywood, stars attempate, immaginazione e/o presupposizioni (chi c’è e cosa può esserci dietro una porta in apparenza chiusa), tanta, tanta America anni ’60 e non solo, e la cultura del sogno americano, onirismo. Insomma tanto ‘900 in un ragazzo degli anni ’80 qual è chi scrive.

Fa capolino in una stanza il mare (mio chiodo fisso) in una natura che non c’è in quanto è oppressa e soffocata dalla vita di città e dall’intreccio delle relazioni sociali.

Voglia di apertura, solipsismo? Entrambi. Trovo interessanti i frammenti (STANZA 301, e 303) e incomprensibili, se pur affascinanti, alcune situazioni come il ricordo (probabilmente di infanzia) con «l’estate che cominciava in pieno inverno» (STANZA 311).

Il cenno all’inverno e il «cappotto vecchio di dieci anni» della STANZA 309 mi richiamano pellicole degli anni ’50.

M. EVANGELISTA, Mr.me, Arcipelago Itaca 2022

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Ricordi e foto, foto e ricordi (la STANZA 227 con la mamma che apparecchia sistemando le foto sul tavolo), il forte senso del legame familiare. Dall’io, alla famiglia, alla società, in un percorso irto, spesso oscuro per chi legge, ma che comunque vuole trovare un bandolo, una certezza e si trova a combattere e a sbattere contro un muro di parole e di situazioni (quanto vere, quanto reali, quanto immaginate, quanto desiderate?) sempre alla ricerca di un senso.

E ci si inoltra consapevolmente in un labirinto da cui, nonostante tutto, non si vuole uscire e vi resto attaccata, quasi rapita, come un bambino di fronte ai balocchi o alla cioccolata.

L’autore nella galleria dei quadretti e dei personaggi che dipinge è (spesso o volutamente?) inafferrabile, inaccessibile. È una poesia, la sua, che si presta come non mai alla multiformità, alla polisemanticità e alla variabilità della nostra esistenza.

Maurizio Evangelista

Un Odi et Amo continuo quello di Maurizio Evangelista che riesce a trasfigurare, attraverso la poesia, un mestiere (il suo) in apparenza immerso nella quotidianità: lavorare in un albergo, schiudendogli orizzonti impensati e impensabili.

E dunque il fanciullino di pascoliana memoria è sempre presente (parole sue!). Poesia di interni, di interiorità, senza fronzoli o aggettivi, spoglia e pur ricca di rimandi e riferimenti ad un certo tipo di cultura sempre molto legata al ‘900 e non solo (STANZA 201).

Una vita pullulante quella di questo hotel con i numeri a singhiozzo: tante piccole incantevoli monadi. Ne cito una: quella della stanza 107 che mi rimanda alla “Passeggiata“ di Chagall : «Lui mi afferra e mi dice, / Il cielo sta bene con le tue scarpe della domenica».

No (quasi) punteggiatura, un pensiero incalzante, molto presente la figura materna e un accenno ai nonni (STANZA 225) oltre al senso del viaggio con l’immagine del treno, puntellato di tanti piccoli accadimenti, e il binario ricoperto di erbacce (STANZA 229).

Poesia di sdoppiamenti. L’intento è evidente sin dall’incipit (v. CHEK IN): il voler guardare sé stesso come altro da sé : un’oggettivazione del sé.

Stanze in apparenza aperte, ma in realtà chiuse nell’immaginario di chi scrive. La parola STANZA ha per me un alcunché di prezioso, una speciale suggestione richiamandomi alla mente le Stanze per la giostra e i miei studi ginnasiali . Poliziano docet.

Giulia Notarangelo