Ed eccoci giunti ad un’altra poesia che è certamente tra le più note e ‘fondative’ della poesia per l’infanzia – almeno sino agli anni Sessanta: «Settembre, andiamo».

È tempo di migrare» sta all’interno dei ‘versi archetipici’ di quella educazione al linguaggio poetico, assieme a «Mia madre ha sessant’anni e più la guardo e più mi sembra bella» o «I cipressi che a Bolgheri alti e schietti» che costituiscono la memoria di fondo, incancellabile.

Anche quando si è adulti, questi versi continuano a martellarci dentro e non credo sia soltanto perché si era costretti ad impararli a memoria: è che hanno un fascino, un ritmo, una capacità evocativa senza uguali.

Gabriele D’Annunzio (1863-1938)

Anche ‘I pastori’ di D’Annunzio: ci sembra di stare lì con le greggi, di ripercorrere un’antica tradizione di stazzi e fiumi silenti, di ascoltare rumori e lo sciabordio delle fontane cui si abbeverano gli animali. E il poeta che prorompe in quell’ultima domanda: perché non sono anch’io coi miei pastori? Miei: della mia stessa storia e identità.

PASTORI

Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natía
rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh’esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquío, calpestío, dolci romori.

Ah perché non son io cò miei pastori?

Daniele Giancane